Vergogna e fobia sociale: a confronto
A volte lo scopo di avere una buona immagine è fine a se stesso, non è più solo uno scopo importante, ma il più importante; in questi casi, si ha spesso paura di fare figuracce, si prova vergogna e si teme di essere giudicati negativamente.
Il giudizio che gli altri danno di noi è molto condizionato dall’autoimmagine, ovvero la valutazione che diamo di noi stessi in termini di quanto siamo capaci di raggiungere ciò che valutiamo significativo per la nostra vita.
L’autoimmagine si costruisce piano piano, immaginiamo un bambino che si chiede “Quanto sono capace di riuscire in un compito, quanto sono capace di avere attenzione, quanto sono capace di imparare un gioco, sport?”
Dal concetto di autoimmagine deriva direttamente quello di autostima, che consiste nel grado di positività o negatività di un insieme di autovalutazioni importanti circa l’essere in grado di concretizzare i propri scopi.
Se il bilancio delle valutazioni che una persona fa su stessa è negativo, l’unico modo per avere una buona immagine sarà contare sulle valutazioni positive da parte degli altri, godere della loro stima, in un certo senso si comincia a sopravvalutare l’opinione altrui.
Purtroppo però, in questi casi si diventa anche eccessivamente sensibili ai giudizi esterni, alle valutazioni negative, pertanto, pur di evitarle si punta sull’accondiscendenza e remissività.
Poi, come in un circolo vizioso, l’atteggiamento remissivo è interpretato dagli altri negativamente e provocherà sia valutazioni che autovalutazioni negative.
Vergogna
Quando si ha paura di essere valutati negativamente dagli altri, oppure ci si rende conto che è già capitato, ci si vergogna.
Possiamo immaginare la vergogna come una sorta di “sistema d’allarme” a difesa degli scopi dell’immagine e dell’autoimmagine, in quanto la sofferenza che ci provoca ci avvisa della loro frustrazione o del rischio di frustrazione.
Dalla Vergogna alla Fobia Sociale
Vergogna e fobia sociale condividono alcuni ingredienti:
1.timore o dispiacere di essere valutati e di autovalutarsi male
2. modificazioni a livello
3. metavergogna
valutazioni negative che noi stessi elaboriamo sulla vergogna che proviamo possono dar luogo alla vergogna della vergogna
Nella vergogna patologica, risultano però degli ingredienti specifici, per cui una persona con Fobia Sociale:
1. attribuisce maggiore importanza alla vergogna, ovvero ritiene che vergognarsi sia fonte di valutazioni negative da parte degli altri molto più di chiunque altra persona
2. è certa di avere una caratteristica di base che lo espone all’esperienza della vergogna in una maniera eccessiva e irragionevole a fronte di un’aspettativa irrealistica di non dover assolutamente vergognarsi in presenza di altri e per tale motivo “fare una figuraccia”
3. prova metavergogna aspecifica, nel senso che valuta negativamente per esempio il proprio rossore (che potrebbe essere stato provocato anche dal caldo o da un’altra emozione come la rabbia), a prescindere dal motivo per cui si era innescato, poiché indicatore di debolezza, di un’insicurezza di fondo e della dipendenza dal giudizio altrui.
4. è molto prudente e concentrato su se stesso quando si trova in mezzo alle persone. Molto spesso è anche bombardato da immagini intrusive di momenti in cui si vergogna e appare goffo, o con il viso arrossato, per proteggersi dalla possibilità che queste si materializzino in un’esperienza di giudizio negativo, mette in atto comportamenti protettivi che non fanno che peggiorare ansia e vergogna.
Terapia Cognitivo-Comportamentale
In terapia, i pazienti hanno modo di comprendere come nasce il disturbo e soprattutto perché si mantiene, si affronta il problema della metavergogna, l’aspettativa irrealistica di non dover mai provare imbarazzo, si programmano e si mettono in atto esperimenti comportamentali volti a limitare i comportamenti protettivi e la focalizzazione su di sé.
Un intervento interessante e promettente consiste in un lavoro specifico sulle immagini intrusive legate a ricordi precoci di esperienze sociali sgradevoli in cui il cambiamento sia indotto da esperienze emotive piuttosto che attraverso la modifica del pensiero o del comportamento.
Riferimenti bibliografici
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Lorenzini R. e Sassaroli S. (2000) La mente prigioniera, Raffaello Cortina Editore, Milano
Miceli M. e Castelfranchi C. (2002) Emozioni, in Castelfranchi C., Mancini F. e Miceli M. Fondamenti di Cognitivismo Clinico, Bollati Boringhieri, Torino
Wells A. (1999) Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia, curatore edizione italiana: Sica Claudio, Psicologia McGraw-Hill, Milano
psicologa, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale - Frosinone
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