Ho tentato il suicidio ma non ho superato la cosa come speravo
Gentile dottor/ressa,
Mi chiamo Adele e sono una ragazza di 23 anni, delle Marche.
Le scrivo questa lettera perché non so a chi rivolgermi, non ho amici con cui parlarne perché mi sono auto-isolata da qualche mese e non esco quasi più di casa. Per quanto riguarda i miei genitori preferisco non parlarne con loro perché ho paura di farli preoccupare per una cosa che credevano superata.
Spero di essere il più chiara possibile e che possa ricevere una sua risposta per capire come debba comportarmi. Perché non lo so, al momento sento solo tanta sofferenza.
Circa un anno e mezzo fa ho tentato di togliermi la vita ingerendo diverse tipologie di psicofarmaci e bevendo una bottiglietta intera di lexodan, sotto la doccia. Ricordo successivamente di essere svenuta. All'epoca vivevo in una residenza universitaria con altre tre coinquiline, una delle quali mi ha visto sotto la doccia (così mi hanno riferito le altre due) schiumando dalla bocca e ridendo, se ne è andata via.
Mi hanno raccolta e mi sono risvegliata dopo 8 lunghe ore. Non potevo credere di essere sopravvissuta. Ho saputo più tardi che non sarei potuta morire in quel modo e al massimo avrei rischiato un intossicazione, ma ho voluto provare lo stesso.
Onestamente non so bene il motivo, ma a volte ripenso a quello che ho fatto, penso alla faccia dei miei genitori quando gliel'ho raccontato e mi colpevolizzo.
Io ricordo solo che soffrivo tanto in quel periodo. E soffro tuttora perché ho un carattere che mi porta ad essere molto insicura, nonostante di facciata io sembri una persona radiosa.
Ho fatto un anno di psicoterapia per questo motivo, ma ho smesso di andare all'improvviso e l'Asur del mio paese non mi ha più contattata.
Non so bene il motivo, ma spesso mi capita di ripensare a quello che ho fatto. In quel periodo sono stata tradita da molte figure che consideravo care, anche in ambito affettivo. E sono delusioni che mi sono rimaste dentro e per le quali spesso piango da sola la notte o il giorno, ma non voglio che i miei genitori si preoccupino.
Ho provato a parlarne con qualcuno ma non riesco a parlarne del mio tentativo, mi blocco e scoppio a piangere da sola il più delle volte.
Mi sento tanto sola, nonostante abbia un partner (che vedo poco in quanto abitiamo lontani) e ho chiuso molte amicizie, perché non riesco a fidarmi più di nessuno dopo un tradimento che ho ricevuto.
Non riesco a pensare a nessuna faccia amica a me in questo periodo e la cosa mi fa stare male. Passo i giorni chiusa in casa (non ho nemmeno la patente si figuri) a tormentarmi sul perché io non ci sia riuscita. Tante volte mi sento una nullitá per questo, una che fallisce in tutto quello che fa.
Tante volte penso che la vita sarebbe migliore se non esistessi.
Tante volte penso che tutta questa sofferenza è inutile e non mi porterà da nessuna parte.
Ho anche degli incubi a riguardo, su gente suicida in ogni modo possibile o di me che mi butto dal balcone, ad esempio.
La mia domanda era se ci possa essere un modo per andare avanti e non sentirmi colpevole.
Cordiali saluti
Gentile Adele
sono felice che abbia preso l'iniziativa di scrivere e chiedere aiuto, sento forte la sua sofferenza e il suo disorientamento e per questo ritengo molto importante già questo primo passo che ha voluto fare scrivendo quello che la tormenta.
Deve essere stato molto difficile per lei tenersi tutto dentro per tutto questo tempo, immagino anche come debba essersi sentita sola.
Mi arriva forte il suo bisogno di essere rassicurata e accompagnata e mi dispiace che si sia sentita abbandonata anche da chi l'aveva presa in carico. Mi piacerebbe chiederle come mai ha smesso di andare all'improvviso all'Asur del suo paese?
Di certo il "tradimento" di cui parla deve averla segnata molto e non deve averla aiutata a costruire relazioni funzionali e mi verrebbe da chiederle tante cose al riguardo perchè forse ha tante ferite probabilmente anche antiche da elaborare.
Mi sembra proprio, cara Adele, che stia attraversando un brutto momento e che tenda a guardare tutto con le lenti di quella sofferenza che ancora si porta addosso.
Forse la risposta alla sua domanda ha già cominciato lei stessa a darsela: lei ha bisogno di un supporto psicologico che l'aiuti ad andare oltre e a rafforzare quell'Adele fragile che in questo momento sta arrancando sotto il peso della sua sofferenza.
Le consiglio di riprendere un percorso psicoterapeutico che possa sostenerla in questo momento delicato in cui le sembra che la vita non valga la pena di essere vissuta. Sono sicura che se avrà il coraggio di andare avanti, troverà un'Adele capace di reagire e di godersi anche gli aspetti belli della vita.
Rimango in ascolto e qualora ne avesse bisogno non esiti a contattarmi.
Un affettuoso abbraccio.