Un clamoroso ritorno negli abissi: come interpretarlo?
Buongiorno e complimenti per il servizio che offrite.
La mia sarà una lettera un po' lunga - forse un po' noiosa - ma confido nel buon cuore di chi vorrà leggerla e prenderla in considerazione. Sono un uomo (sì, un uomo, non riesco a definirmi un ragazzo) di quasi 33 anni, un'età che non mi piace e che non sento di meritare. Perché? Cercherò di spiegarvelo cercando di essere il più lineare possibile. Sono nato e cresciuto in una famiglia davvero particolare, una famiglia composta da una madre assente nei confronti dei bisogni del figlio (il sottoscritto) e dedita soltanto al "mantenimento dell'ordine" a casa e da un padre succube dei suoi metodi dittatoriali. La mia curiosità infantile l'ho pagata molto molto cara: si sa, i bambini mettono le mani ovunque, sono curiosi, attenti al mondo che li circonda e amano sperimentare, talvolta anche causando qualche piccola rottura accidentale di ninnoli, soprammobili e quant'altro. Ebbene, tutto questo ha scatenato le ire più funeste di mia madre, la quale era in grado di non parlarmi per giorni se qualcosa cadeva per terra o se inavvertitamente la tovaglia da tavola si sporcava o se, semplicemente, cadevano delle briciole per terra. I "giorni di abbandono" erano da lei decretati in relazione alla "gravità" della mia colpa, sentenziando una sorta di ostracismo programmato di 7, 10 o 15 giorni. Non mi parlava, mi ignorava. Io non esistevo più per quel tot di giorni. Rievocare nella mia interiorità quelle parole, "io non ti parlo più" oppure "non hai più una mamma" o "non ti meriti niente" mi fanno un male indescrivibile, lacerandomi in profondità come lame ardenti. Non ho mai potuto replicare o dire la mia riguardo ai suoi comportamenti, spessissimo la sua risposta era "più fai, peggio è..." ed io sono cresciuto con l'idea straziante (ma poi, per forza di cose, accettata) che l'amore, l'affetto, vadano meritati e che non ci sia nulla di dovuto o scontato, nemmeno l'amore di una madre. Crebbi e andai avanti con un "format" ben preciso: il mio comportamento, il mio agire, non doveva in alcun modo ledere mia madre. Dovevo tenermela stretta. Le difficoltà in tal senso ci sono ancora oggi, alla mia età. Me ne vergogno tantissimo. A 22 anni ho iniziato una relazione con la mia attuale compagna, una relazione che è stata pesantissima da gestire, in quanto i miei genitori non hanno mai - ed in alcun modo - accettato l'idea che io cambiassi abitudini, uscissi, avessi altri orari e che, primo fra tutti i mali, usufruissi della loro macchina per uscire la sera con lei. Per loro, queste uscite serali quasi quotidiane usufruendo della macchina, hanno costituito un "affronto" talmente grave da vedersi costretti ad accollare (della serie, "non può essere mio figlio") tutta la colpa della suddetta abitudine (l'uscita serale con la macchina) alla mia ragazza, accusandola di "comandarmi" ed al contempo accusando me di essere una "pappamolla" che si fa comandare. Per anni, da quel periodo, ci sono state pesantissime discussioni, ogni volta che uscivo con lei sentivo un grandissimo e fortissimo senso di colpa, mi facevano sentire un menefreghista nei confronti della famiglia, un egoista. Io e lei abbiamo potuto fare pochissimo insieme: tutto quello che lei mi proponeva di fare, come andare al mare, passare un weekend insieme, veniva da me rifiutato o raggirato, inventando fantomatiche scuse di impossibilità. lo facevo per evitare il dolore del rifiuto. Lo facevo per tenermi stretta mia madre. Oggi io e la mia ragazza stiamo ancora insieme, ma non so cosa voglio da noi, sono enormemente confuso, stanco, stanchissimo! Dal momento della mia nascita, in quel 1987, ad oggi è stato tutto PESANTISSIMO per me, ed oggi a "soli 32 anni" mi sento vecchio, arrivato, finito, logoro, bollato e consegnato. Solo in certi rarissimi istanti si affaccia in me l'idea luminosa di una nuova vita. Una vita più leggera, più semplice, in un contesto nuovo e che sia tutto mio, con un amore nuovo. Sì, un amore nuovo. Non capisco più se amo la mia ragazza, e non so se questo "vuoto emotivo" che non riesco a decifrare possa essere causato dal senso di grandissimo appesantimento che ha caratterizzato la nostra relazione - ed in generale la mia vita fino a questo momento - oppure se effettivamente il non capire cosa ci sia tra noi nasca da tutt'altro genere di ragioni. Ecco, questo è un po' il sunto di come mi sento oggi, il sunto di una vita emotivamente pesantissima e difficile e che dentro e mi fa sentire "arrivato". Ma vorrei ora passare alla seconda parte della mia storia. Questa seconda parte non ha una ratio cronologica, in quanto ciò che sto per raccontare risale a solo 3 anni fa, più o meno. Sì, tre anni fa è successa una cosa importante: dopo molto tempo trascorso in una sorta di agonia lavorativa, (alimentata - tra l'altro - da un'intensissima crisi depressiva post laurea triennale e dalla quale ho impiegato anni per riprendermi ed uscirne fuori del tutto), frequentando un corso professionale ed ottenendo la qualifica, sono riuscito ad inserirmi in un contesto lavorativo molto stimolante e che, almeno all'inizio, mi piaceva molto. Da li, tutta una serie di proposte di lavoro si sono affacciate e quello che sembrava un mondo agonizzante e senza possibilità "di fuga" da quella prigione familiare, si è in realtà rivelato piuttosto attivo ed oggi - sebbene sia stancante - mi ritrovo con orgoglio a svolgere più attività contemporaneamente. Il cominciare a guadagnare dei soldi mi ha dato una carica di ottimismo incredibile, consentendomi, tra le altre cose, di comprarmi la macchina e di "chiudere" definitivamente con quelle questioni di cui parlavo poc'anzi. Unica impossibilità, purtroppo, quella di andare a vivere da solo, per conto mio, in quanto non riuscirei a coprire pienamente le spese di mantenimento e non ho intenzione di chiedere nulla ai miei. Comunque, da quel momento - e per la prima volta nella mia vita - tutto ha assunto una sfumatura completamente nuova per me, c'era moltissimo ottimismo ed anche il rapporto con i miei sembrava addirittura migliorato (sebbene con tutti gli immaginabili limiti...). Sembrava avessi superato ogni shock. Stavo davvero bene. Ma andiamo adesso al dunque: l'ottimismo di quel periodo e la grande carica di fiducia ad esso annessa, mi aveva condotto ad imbastire un "piano di rinascita personale". Sì, volevo definitivamente chiudere con quella pesantezza che aveva caratterizzato tutti quei miei anni ed il progetto era davvero ambizioso: volevo trasferirmi in un'altra città (andando così finalmente via dalla casa dei miei), trovarmi un nuovo lavoro - magari settimanale o part time - ed anche iscrivermi al corso di laurea magistrale per ultimare gli studi, il tutto con ogni buona intenzione di studiare con impegno per puntare a diventare, addirittura, un insegnante di discipline scientifiche nella scuola media o superiore. L'entusiasmo era alle stelle. Mi sentivo vivo e pronto alla rinascita. Tuttavia qualcosa è andato storto: durante i miei movimenti per cercare casa, ottenere informazioni per il pagamento delle tasse universitarie e quant'altro, piano piano ho sentito ritornare quell'angoscia e quella pesantezza fortissima; quel senso di libertà, di rinascita, di "seconda possibilità" e di leggerezza erano spariti e, oggi, mi sento esattamente come ho descritto all'inizio: finito, vecchio e senza speranze di avere una vita nuova e che sia finalmente tutta mia. Faccio presente che ho comunque scelto di iscrivermi all'università, ma studiando da casa, nella solita casa - con i miei - dove sto tanto tanto male. Mi dico che l'ho fatto perchè non me la sono sentita di lasciare dei lavori sicuri (per quanto molteplici e collaterali) per un nuovo contesto lavorativamente insicuro, sebbene in cuor mio mi stia colpevolizzando tantissimo per questa scelta, reputandomi un fallito e una persona di cui auto-vergognarsi di essere, vivendo ancora, a quasi 33 anni, con i miei genitori e con i quali tra l'altro vivo malissimo! La relazione con la mia ragazza (se relazione si può chiamare) continua a darmi un sacco di dubbi e incertezze, alimentando ulteriormente il mio dolore. Insomma, la mia vita non è appagante, non è la mia! Per un attimo mi ero illuso di poter riuscire a riprenderla in mano e invece no, non ce l'ho fatta. Sono di nuovo punto e da capo. Ora, la mia domanda è: perché è accaduto questo arresto improvviso? Perchè mai avrei voluto auto-sabotarmi? Devo forse pensare che scegliere di continuare a studiare non era la scelta giusta per me? Ammetto di avere moltissimi dubbi a riguardo, e vedo tutto con grandissimo pessimismo. Devo forse pensare di rassegnarmi al fatto che non avrò mai una vita tutta mia, semplicemente perchè non la merito? Forse non ne sarei completamente in grado di gestire una vita tutta mia, penso sempre più spesso...
Grazie a chiunque averà voglia di leggere questa lettera e mi scuso per la digressione forse eccessiva.
Dario
Bravo... Ha utilizzato il termine giusto "autosabotarmi".... Gli esseri umani spesso lo fanno! Anche se doloroso preferiamo rimanere a sguazzare nel dolore.. Che però conosciamo, e non rischiare per qualcosa di sconosciuto. Anche se si trattasse della felicità o quanto meno della serenità. . La libertà fa paura sempre Bene non si faccia frenare da troppi pensieri e paletti mentali, faccia un percorso di sostegno psicologico che l aiuti a comprendere come intraprendere la SUA strada, faccia il suo cammino di crescita e di autonomia e in bocca al lupo
Cordiali saluti
Dott.ssa Giangreco Angela