Sono un saccente presuntuoso
Salve, uno dei miei problemi è che sono un saccente presuntuoso. Fin da quando ero bambino, con chiunque mi relazioni, ho sempre esibito la mia (presunta) “cultura“ utilizzando un vocabolario forbito, riferimenti alti, nozionismo, improbabili citazioni insomma tutto ciò che potesse farmi apparire come una persona molto intelligente; purtroppo tutto ciò mi viene naturale, automatico e contribuisce a rendermi come minimo antipatico (chi vuole avere a che fare con un saccente?) e, peggio, non riesco ad avere relazioni autentiche sul piano affettivo (indosso la maschera del guru saggio, oppure cerco di mettermi sulla loro lunghezza d'onda dimostrandomi più esperto di loro nei loro campi di interesse con la (vana) speranza di accattivare la loro simpatia ecc.). Inutile dire che a furia di studiare tuttologia non ho sviluppato una vera cultura, tanto meno una vera competenza in nessun campo, cosa che si fa sentire negli studi e nel lavoro. Ricollego questo mio atteggiamento all'eccessiva attenzione che i miei genitori ponevano sulla scuola, e alle sperticate lodi che ricevevo da mia madre quando riuscivo bene negli studi (che corrispondevano ad un clima da Terrore Bianco quando portavo brutti voti a casa) con una conseguente paura del giudizio altrui da cui mi difendo nella trincea della saccenza. Per superare tutto questo sto cercando di relazionarmi in maniera più autentica possibile con chi incontro e con ciò che faccio (ad esempio ho preso a suonare la chitarra per provare a dar sfogo alla creatività e alle emozioni) anche se torno per incappare sempre nello stesso errore e mi trovo a “fare il professore“, come sempre. Vi scrivo perché sarebbe per me prezioso un vostro pensiero su questo meccanismo perverso e sulle vie per smantellarlo. E come diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.” Vi ringrazio di cuore per la vostra pazienza.
Buona sera Gabriele,
io non credo che questo sia un meccanismo perverso ma lo sembra più un personaggio (come lo ha giustamente definito) che si è dovuto costruire per "sopravvivere" ad un ambiente che iper richiedente a livello di prestazione scolastica.
Venendo lei premiato nel suo essere così sapiente ha trovato in questo giovamento e quindi ha continuato probabilmente a farne uso sino a quando, oggi, si rende conto che nella relazione con l'altro non le è così funzionale.
Quando si condividono delle conoscenze è bello perchè si condividono delle realtà o delle situazioni che contribuiscono ad uno scambio di informazioni e consapevolezze. Nel caso da lei portato probabilmente l'ottica è quella "up-down" in cui sapere più dell'altro non è una consapevolezza adulta ma, un modo per svalutare (e questo porta ad essere allontanati).
Da questa consapevolezza potrebbe essere interessante approfondire il meccanismo che la porta ad agire così. Probabilmente anche quando era in età scolare ha vissuto su di se una sorta di svalutazione che l'ha portata ad essere sfiduciato e non credere abbastanza in se. Tutto questo a quale convinzione l'ha portata? Se non sa abbastanza non vale? O che per essere apprezzati bisogna sapere? Possibile.
Un percorso terapeutico potrebbe aiutarla a prendere questi pezzi e a cominciare ad instaurare una relazione in cui si affida e fida dell'altro e in cui comincia a mostrare davvero ciò che è oltre a quello che sa.
Resto a disposizione