Quando la spinta a compiacere gli altri allontana da sé stessi e dalle relazioni autentiche
Nelle dinamiche relazionali, solitamente, la maggiorparte delle persone tende ad oscillare tra due opposte modalità. Ovviamente si tratta di una definizione del reale che taglia un po' con l'accetta le situazioni per meglio caratterizzarle. Le sfumature esistono sempre. C'è chi, in eterno conflitto con l'altro, tende a prevaricarlo, nella convinzione che solo imponendosi con forza può essere “visto” ed “ascoltato” e c'è chi, al contrario, si preoccupa sempre di piacere agli altri, teme di venire abbandonato, escluso, deriso, rifiutato, teme il conflitto, e per questo indossa la maschera del “buono”, del compiacente che si adatta. In questo articolo ci soffermeremo sulla descrizione di queste modalità di passività, sottomissione e compiacenza, per vedere che, seppur messe in atto per piacere agli altri, creano un atteggiamento controproducente. Impariamo a conoscere le caratteristiche di queste persone.
Fanno tutto quello che gli si chiede, dicono quello che gli altri si aspettano che dicano, sono sempre d’accordo con chi hanno di fronte e, in ogni caso, mai apertamente in disaccordo. Si adeguano ad ogni circostanza e pare non facciano mai lo sforzo di farlo, ma che anzi, gli vada benissimo così.
Dove andare stasera? Mah, decidete voi, a me va bene tutto!”.
Cosa ne penso? Non saprei, ma son d'accordo con te”
Facciamo come vuoi tu!”
Fanno fatica a manifestare le loro reali emozioni o forse anche di esserne consapevoli. Se sono arrabbiati, sorridono. Se sono delusi, sembrano soddisfatti. Se hanno mille impegni, si mostrano disponibili ad accettare anche altre richieste pur di non deludere gli altri.
I compiacenti sono persone che vivono dominate dalla paura di scontentare chiunque abbiano davanti, vivono con ansia qualsiasi relazione perchè temono di non piacere o di essere rifiutati se non sono all'altezza delle aspettative degli altri. E inoltre non possono manifestare quello che pensano veramente perchè, se questo è contrario a ciò che pensa l'altro, potrebbe generare una situazioni di conflitto o anche solo di tensione e stress che loro temono terribilmente.
I compiacenti, con questo modo di fare, portano le relazioni - amicali, sentimentali e lavorative - verso un inevitabile fallimento. Un fallimento di cui non si spiegano le ragioni e che fanno una gran fatica ad accettare, perché convinte che la strategia del “non deludere” sia la migliore per far andare bene le cose. È un caso estremo, certo. Ma è vero che tanti di noi sono mossi nel loro intimo dal desiderio di piacere agli altri, al punto da rischiare a volte di snaturare ciò che siamo.
Paura dell’abbandono
Alcuni concetti dell'Analisi Transazionale (http://www.annalisasammaciccio.com/index.php/articoli-e-pubblicazioni/23-il-modello-degli-stati-dell-io-in-analisi-transazionale) possono aiutarci a descrivere e comprendere meglio queste dinamiche emotive e relazionali.
Sin da piccoli, come dei “Piccoli Professori” (il termine si riferisce all'uso che fa l'Analisi Transazionale del concetto di Piccolo Professore) abbiamo usato la nostra capacità intuitiva, la nostra creatività, per comprendere che all'occorrenza sarebbe stato meglio per noi indossare la maschera di “colui che non delude”, di “colui che asseconda” per aver dei vantaggi, nella relazione con i nostri genitori, per esempio o con altri adulti di riferimento, quali gli insegnanti. Questi meccanismi ci consentono, sin da piccoli, di apprendere regole e comportamenti adeguati ad un contesto, senza però limitare la nostra spontaneità e creatività.
Alcuni di noi, poi crescono non riuscendo più a togliersi la maschera, limitando la naturalezza del proprio Bambino Libero, spegnendo l'intuizione del Piccolo Professore e investendo tutta la loro energia in uno Stato dell'Io chiamato Bambino Adattato. Chi non riesce mai a togliersi la maschera di “colui che si adatta” ha una tale paura di deludere e di venire abbandonato che tutta la sua vita viene condizionata. Forse il comportamento dei genitori, e poi le prime esperienze di incontro con il mondo esterno, lo hanno convinto che, se non si contraddicono gli altri, si viene accettati o, quantomeno, non si viene puniti: si ottiene la loro clemenza ed il loro amore.
Ma funziona? Fino a che punto?
Chi vive così sacrifica la qualità della propria vita in cambio della sopravvivenza emotiva, ovvero sacrifica la propria personalità, i propri bisogni, il proprio Vero Sè, nello sforzo di diventare e di essere “come tu mi vuoi”. E vivendo fuori dal contatto con sé stesso, chi passa la propria vita nell'adattamnento, accumula frustrazione, stress, ansia. Gli altri spesso hanno la sensazione di avere a che fare comunque con una persona poco autentica, fanno fatica ad afferrarne la vera essenza. E' come se si domandassero “ma tu, veramente, chi sei?”. Del resto, chi viva nella compiacenza poi accumula bollini di rabbia, e dall'essere passivo a accondiscendente, passa facilmente nella posizione opposta del Persecutore, accusando gli altri di poca gratitudine.
E' tipico in una relazione di coppia, per esempio, uno dei due partner non si espone mai, non esprime disaccordo, ma nemmeno esplicita ciò che desidera, e poi ha uno scoppia di rabbia. L'altra reagisce dicendo: "Potevi dirlo che non eri d’accordo!", ebbene è vero: poteva dirlo. O, meglio:doveva. Per rispetto di sé stesso.
Avrebbe dovuto affermare se stesso e sopportare la probabile reazione negativa dell’altro, visto che, alla fine, essa è comunque arrivata, ed è ben peggiore di quella che poteva essere all’inizio.
La profezia che si auto-avvera
Occorre riflettere con attenzione su questo punto chiave. Se per motivi legati alla propria storia personale non si fornisce all’altro una conoscenza reale di sé, tutto sarà inquinato fin dall’inizio e ciò che si temeva - il “conflitto” che allontana e l’abbandono - si realizzerà puntualmente. Se invece ci si farà conoscere per come si è, quel che accadrà sarà davvero quel che deve accadere. E la vita, per quanto impegnativa, potrà essere reale e appagante.
E quindi impara a piacerti e non a piacere
Ma come?
Conosci ed apprezza ciò che sei
La prima persona che deve star bene con te sei te stesso. Quindi inizia a scoprire le tue risorse, inizia a metterti in ascolto di ciò che sei, impara a far luce alla dissonanze, alle contraddizioni tra ciò saresti tentato a fare, ad essere e ciò che inizia a germogliare dentro di te, di diverso e che andrebbe proprio in direzione opposta. Dagli spazio, non agirlo in maniera ribelle, ma esprimilo. Riconosci le tue esigenze e falle presente agli altri. Se non le conoscono non potranno mai prenderle in considerazione, ma se non le conosci neppure tu...non puoi pretendere che lo facciano gli altri.
Ognuno è responsabile delle proprie necessità e delle proprie emozioni
A volte, a forza di adattarsi alle esigenze degli altri, si finisce per non sapere più quali sono le proprie. Orientati di più su di te, sulla tua emotività. Dai più ascolto alle tue emozioni, ai tuoi pensieri. Imparerai pian piano a tirarli fuori in maniera adeguata e utile a te, sopratutto.
dott.ssa Annalisa Sammaciccio psicologa psicoterapeuta a Padova
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