Elaborare dignitosamente un lutto rilevante
Gentili Psicologi, ho 62 anni, figlio unico e celibe,e mia madre novantenne è deceduta da poco. Non ostante mi avesse avvertito da tempo, data l'età avanzata, il dolore è egualmente pesante. Ho letto l'articolo sull'elaborazione del lutto ed ho notato che, delle 4 fasi, le più difficili sono la seconda e la terza, nelle quali la mancanza della persona cara si fa più sentire. Chiedo molto brevemente: come si può elaborare dignitosamente un lutto rilevante? Ringrazio anticipatamente per l'attenzione.
Prenderei le mosse proponendo una riflessione sulla “terminologia“ con cui è posta la Sua domanda. la parola “elaborare“ fa riflettere. E' una parola assai diffusa, attualmente, per caratterizzare la tematica a cui lei si riferisce, il “lutto“. etimologicamente rimanda al significato di “affaticarsi“, “lavorare con zelo“, fare qualcosa con molta “arte e diligenza“; riferito al cibo, poi, è un'espressione che allude al processo della digestione, il cui compito è di disporre il cibo all'assimilazione da parte dell'organismo. Non voglio dilungarmi oltre, in merito. Ciò solo per sottolineare un aspetto della questione che và problematizzato. Una perdita affettiva come la Sua è qualcosa con cui ci si trova a dover “fare i conti“ per tutta la vita. E ciò è qualcosa di assai più naturale e fisiologico di quanto generalmente si creda. Ricordi, stati d'animo, rimpianti; sensi di colpa, speranze deluse, cose non dette... Tutto questo “accade“, inevitabilmente, in relazione alla persona cara che si è perduto. Ed è comunque “qualcosa di dignitoso“, a prescindere da come e quando accada. La relazione con sua madre è tutt'altro che cessata. Ora essa si alimenta di immagini interiori, ma anche del legame che sussiste tra Lei e le persone che l'hanno conosciuta, o che la conosceranno “attraverso“ di lei. Questo “lavoro“, questo “travaglio“ è - anche, ma non solo - per l'appunto, “sofferenza“. Qualcosa che accade, a prescindere dai suoi pur migliori, “dignitosi“, propositi. Un saluto