Psicologa clinica cognitivo - comportamentale - Neuropsicologa forense
Amore "a condizione", come uscirne?
Buongiorno, sono uno studente di 22 anni e ho dei problemi che potrei definire sistematici. Avverto un malessere in sottofondo fin dall'infanzia, e nel corso del tempo ho tentato di distinguere sempre meglio le cause dai sintomi, specialmente negli ultimi anni. Questo malessere generale per molti anni ha costituito la mia unica realtà, per cui spesso non riuscivo neanche ad accorgermi di avere dei problemi, molti dei quali li ho "scoperti" solo di recente. Divido la mia domanda in sezioni per essere più chiaro.
- I MIEI PROBLEMI ATTUALI
Mi sento come se fossi odiato da tutti di default, e di dovermi conquistare l'affetto altrui dimostrandomi un valido alleato. Non riesco ad essere emotivamente indipendente, sento il bisogno di dovermi continuamente affermare come meritevole d'affetto. Questa situazione mi impedisce di creare facilmente amicizie e, ancor di più, mi impedisce di rapportarmi serenamente con le ragazze. Quando ero alle superiori sentivo di star crescendo ed ero speranzoso che le cose cambiassero semplicemente con il tempo, ma dopo il primo anno di università la mia vita si è appiattita così tanto da perdere molte speranze, ho attenuato il tutto facendo un paio di esperienze all'estero sperando che mi ridessero vitalità, invece quando tornavo a casa mi sentivo peggio di prima, come se i viaggi per me fossero una droga. Quando mi è capitato di rimanere a digiuno per un intero giorno per poi neanche riuscire a dormire (sono rimasto sveglio fino alle 7) mi sono preoccupato e ho contattato degli psicologi nella città in cui studio, ma proprio in quel periodo è scoppiata la pandemia e ho dovuto far rientro nel mio paese.
- I MIEI GENITORI
In breve, mio padre è sottomesso a mia madre da un punto di vista emotivo, mia madre è sottomessa a mio padre a livello razionale.
Mio padre sembra voler controllare i propri sentimenti con la logica. È molto calmo e pacato, per niente violento e anche molto disponibile. Ciononostante non ha amici, è sempre solo e, almeno da come la vedo io, sembra alla continua ricerca di attenzioni (talvolta pur di scendere nel ridicolo). Ha in testa delle regole non scritte di come ci si comporta con gli altri che possono funzionare quando bisogna essere diplomatici, ma ovviamente creano distacco quando si cerca un'amicizia sincera.
Mia madre al contrario lascia sopraffare la sua logica dai suoi sentimenti. Ragionare con lei a volte è impossibile, sembra di parlare con un muro, quando le parli fa finta di ascoltarti per poi ripetere le stesse identiche cose deliranti a cui tu avevi già risposto. È molto affettuosa e premurosa, ma sembra che lo sia solo per orgoglio personale.
Inoltre entrambi i miei genitori mi sembrano molto ingenui e "bambini", a volte sembra non si rendano conto del mondo che li circonda. Essendo primogenito credo di essere maturato a suon di batoste emotive che i miei genitori si sono rifiutati di affrontare quando erano giovani.
- IL MIO RAPPORTO CON LORO
Il problema più grave è il loro "amore a condizione", specialmente da parte di mia madre. Quando dice stupidaggini riesco ad ignorarla tranquillamente, al limite mi viene un po' da ridere, ma mi dispiace che sembra non volermi più bene solo perché non sono d'accordo con lei. Peggio ancora quando si parla dei miei comportamenti relazionali e di tutti quegli argomenti in cui mio padre non saprebbe intervenire (e, anche se lo facesse, proverei imbarazzo perché la mia mente l'ha bollato come "sfigato"): in questi casi infatti non so o non voglio controbattere, e finisco per credere ciecamente a tutto ciò che dice mia madre. Purtroppo non mi rendevo conto che a volte lei era contro di me a prescindere, in particolare quando si parlava di ragazze: anche se era palese che una ragazza mi aveva trattato male, o era stata strafottente nei miei cofronti, lei era sempre pronta a difendere chiunque ma mai me che sono suo figlio. Sono arrivato a sentirmi demonizzato per qualsiasi mia voglia sessuale, tanto che spesso ero io ad autosabotare un rapporto che sembrava funzionare. Purtroppo da questa situazione non ci sono ancora uscito, non sono mai stato fidanzato e l'età che avanza è un ulteriore stress che mi fa sentire totalmente abbandonato a me stesso.
A questo punto non so come comportarmi con loro: o li accetto e stringo i denti, o sono costretto ad ignorarli, dato che scarterei l'idea di voler far cambiare atteggiamento.
- ADOLESCENZA
Le cose si sono complicate quando ho iniziato ad aprirmi ai miei compagni: per via di un "effetto pigmalione negativo" cercavo di stringere con quei compagni che mi ritenevano antipatico perché inconsciamente li consideravo più sinceri, e dopo esserne uscito con l'autostima a pezzi cercavo altri compagni dello stesso tipo, creando un circolo vizioso distruttivo, una sindrome di stoccolma insomma. Ero anche assetato di attenzioni e talvolta finivo per fare il pagliaccio pur di risultare divertente. In tutto questo inoltre in confronto agli altri sembravo un bambino perché, sempre per i ricatti emotivi di mia madre, non riuscivo a sviluppare un mio stile e una personalità individuale. Un esempio esplicativo è che ancora adesso ho una paura terribile dei negozi di abbigliamento: da quando ero piccolo mia madre ha sempre scelto i vestiti per me, e quando provavo e scegliermeli io spesso mi diceva che erano orribili, viceversa quando lei mi propinava dei vestiti che non avrei mai scelto dovevo accettarli perché se no ci rimaneva male. Ma la cosa peggiore che mi sono sentito dire, da entrambi i miei genitori, è che se mi vesto male sono loro a farci una figuraccia, come se io fossi il loro figlio-trofeo da esporre al pubblico, privo delle proprie responsabilità.
Infine, ora che sono all'università, non mi sono trovato affatto bene con i miei coinquilini della casa in cui studio, ma ancora una volta mi sono sentito dire che sono io a non essere abbastanza socievole con loro. Dopo questa goccia il vaso è traboccato: dato che in quel periodo avevo la stanza tutta per me (vivo in una doppia ma il mio coinquilino non c'era) sono potuto scoppiare a piangere e sono rimasto per giorni rinchiuso in camera.
Di determinate esperienze rilevanti ne potrei raccontare a bizzeffe, preferisco ometterle solo per non dilungarmi ulteriormente.
In conclusione mi ritrovo con un incolmabile senso di vuoto affettivo, con la continua sensazione di non essere importante per nessuno e con la pressione dell'università addosso che di certo non aiuta. Spero che approviate la mia domanda e chiedo un vostro parere riguardo la mia situazione.
- PSICOTERAPIA
Ho scartato la scelta di iniziare una psicoterapia online, sia perché essendo la prima volta preferisco un incontro di persona, sia perché la mia casa è piccola e vorrei che in nessun modo i miei parenti sapessero di questa mia scelta. Inoltre, proprio perché devo fare tutto da solo, ho un budget limitato e preferirei spenderlo al meglio: vivendo in un piccolo paese non so se rivolgermi ad uno psicologo locale con il rischio che conosca i miei genitori, o aspettare che cessi la pandemia per tornare nella città dove studio. Vi chiedo cosa ne pensate di queste ipotesi e che tipo di percorso sia il più adatto da intraprendere.
Caro Marco, la sua lunga ma chiarissima lettera rivela un'intelligenza introspettiva non comune. Il suo modo di percepire il mondo che la circonda probabilmente risale a schemi adattivi che in risposta all'ambiente ha aggiustato fin da bambino, che interferiscono in maniera inconsapevole col suo modo di essere e percepire i rapporti con gli altri. In lei sono presenti pensieri e convinzioni disfunzionali che andrebbero sostituiti con credenze funzionali. Il suo bisogno di piacere agli altri è evidente, quasi in un processo di "coazione a ripetere" dove cerca di vincere in sostanza con sua madre, e si pone obiettivi molto ardui e quasi impossibili. Esperienze come le critiche dei suoi coinquilini, mi creda, sono frequenti, ma per lei devastanti. Con queste premesse costruire una buona autostima è difficile.
Sono straconvinta che un valido percorso psicoterapeutico sarebbe indispensabile nel suo caso e darebbe ottimi frutti. Scelga con attenzione da chi vuol farsi seguire, in paese o altrove, prenda informazioni sulla formazione, ecc; si ricordi che esiste un severo codice deontologico che obbliga i professionisti al massimo riserbo sui pazienti. Essendo una psicoterapeuta cognitivo comportamentale, propenderei per un professionista di questa formazione; in realtà, è il terapeuta giusto quello con cui riuscirà a stabilire una buona alleanza terapeutica e che la farà sentire obiettivamente meglio...si fidi delle sue intuizioni e della sua intelligenza emotiva.
Se mi scrive in privato posso anche consigliarle delle letture che le apriranno l'orizzonte.
Un caro abbraccio
Psicologa clinica cognitivo - comportamentale - Neuropsicologa forense - Belluno - Padova