Psicologa clinica cognitivo - comportamentale - Neuropsicologa forense
Situazione familiare opprimente
Buonasera,
Qualche anno fa, quando ero poco più che un’adolescente, è morta la mia mamma a cui io ero estremamente legata dopo una lunghissima malattia. Durante il corso di questa malattia (iniziata quando avevo circa 11 anni), non ho provato quei sentimenti che si “dovrebbero” provare in questa situazione: ero completamente priva di emozioni, di sentimenti nonostante fosse la persona più importante della mia vita. Tra me e lei c’è sempre stato un rapporto splendido, era una persona estremamente intelligente e gentile che riusciva a capirmi, a comprendermi. Nonostante questo, non riuscivo a provare tristezza, smarrimento, rabbia. Niente. Non ho risentito della situazione dal punto di vista scolastico è veramente pochissime persone sapevano di tutto questo. Piano piano, dopo la sua morte ho iniziato a sviluppare dei comportamenti che non avevo mai assunto prima: una forte ipocondria (spesso penso alla morte, a seguito di una malattia, con terrore e impotenza), smarrimento e frustrazione e ansia. Questi sentimenti se ne vanno quando sono impegnata a fare altro (lo studio, soprattutto): mi immergo nella preparazione di un esame e ho “soltanto” una forte ansia per quest’ultimo. Quando non ho esami, però, e quindi qualcosa su cui concentrarmi spesso penso alla morte: vivo con questa costante “angoscia di morte”, come se fossi la prossima a doversene andare.
Io e mio padre abbiamo sempre avuto caratteri diversi. Della mia educazione e della mia crescita se n’è occupata completamente mia madre, lui è sempre stato in casa con noi, non mi ha mai “ignorata” ma io ero “affare di mia madre”. Quando è morta, mi sono ritrovata in casa con qualcuno che alla fine non conoscevo e abbiamo faticosamente cercato di costruire questo rapporto che ora definirei buono, nonostante le differenze caratteriali e gli scontri. Mi sento oppressa, però, dalla mia situazione familiare in generale: sono figlia unica e quindi tutte le attenzioni sono sempre state concentrate su di me. Da quando mio nonno materno è morto, mia nonna ha iniziato a sviluppare una sorta di ossessione (così la definirei) per me: mi chiama almeno 6 volte al giorno, pretende che vada spesso a trovarla (cosa che io, in generale, non amo fare perché sono piuttosto solitaria ma direi anche settaria quando si tratta di persone con cui passare del tempo e io e lei abbiamo due caratteri incompatibili). È una nonna con cui non ho mai avuto un bel rapporto (neppure mia madre ce l’aveva) perché è una persona iper-critica, invadente, entrante, arrogante, incline ad attacchi d’ira. Tutte caratteristiche che non sopporto ma allo stesso tempo so che devo, almeno in parte, tollerare queste sue “incursioni” perché è sola. Mi chiama sempre, vuole sapere costantemente che cosa faccia e con chi sia, quando torni a casa, che vada a trovarla, che faccia quello o questo. È una situazione che io non sopporto: mi sento oppressa e ho fatto presente, senza alcun cambiamento, questa situazione sia a lei che a mio padre. Niente.
Anche il resto della mia famiglia è invadente: mi chiamano, vogliono sapere che cosa faccia e mio padre, per abitudine, riporta loro ogni mio “movimento”, ogni mio successo scolastico, ogni cambiamento. Io non ce la faccio più: ho bisogno di libertà e nessuno sembra curarsi di questa mia richiesta. La trovo un’invasione nella mia sfera personale che non riesco più a tollerare e sento di aver perso gran parte (se non tutta) la mia adolescenza per una situazione emotivamente pesante e, adesso, mi sento incastrata in un ruolo che non ho scelto di avere. Vorrei essere libera e spensierata ma sento sempre questa pressione, questo fiato sul collo.
Ho pensato di lasciare l’università, nonostante sia quasi alla fine e abbia ottimi risultati soltanto per trovare un lavoro e poter andare via da casa mia, avere indipendenza e spazio e decidere di non rispondere al telefono per giorni. Mi sento oppressa e questo non fa altro che alimentare questa mia ansia e non so come poter spezzare questo circolo, visto che ho più volte fatto presente la mia voglia di libertà ma nessuno, come se fossi una bambina, sembra curarsi di ciò che dico.
Spero possiate darmi un consiglio.
Cara Francesca, comprendo quanto possa pesarle la situazione che vive in famiglia, comprendo anche il suo vissuto dove a seguito della assenza di una madre molto in sintonia con lei, gli altri membri della famiglia si sono ingegnati a colmare questo vuoto in maniera maldestra, scambiando il controllo esasperato per affettività. Come uscirne? Modificando il suo modo di affrontare gli inevitabili conflitti. Lei mette in atto uno stile passivo, cioè sopporta le invadenze per non venire giudicata male dai suoi, salvo scoppiare quando non ne può più e pensare di ricorrere ad una soluzione drastica per sottrarsi.
Invece le propongo di cambiare atteggiamento, cioè di imparare a rapportarsi in maniera non più passiva, ma assertiva. Cosa significa? Imparare a esprimere i propri punti di vista in maniera che possa essere accettabile dall'altro. Ci vuole un po' di pazienza, ma è possibilissimo. Provare per credere! Legga "Piacersi non piacere" di E. Rolla.
Quanto alla modalità con cui ha reagito ad 11 anni al lutto, si è semplicemente difesa dall'impatto emozionale e dal dolore inaccettabile con l'apparente indifferenza trasferendo il focus del disagio su paure irrazionali. Forse proprio per questo avrebbe bisogno di elaborare la perdita anche se sono passati anni, magari con l'aiuto di un professionista. Resto a disposizione online, se vuole approfondire. Un abbraccio
Psicologa clinica cognitivo - comportamentale - Neuropsicologa forense - Belluno - Padova