Impossibilità di realizzazione personale
Sono una ragazza di quasi 30 anni che da 10 ha deciso di non vivere. Mi sono isolata da tutto e da tutti, interrompendo la mia crescita.
In questi ultimi anni mi sono rivolta ad un terapeuta e la mia vita è leggermente migliorata.
Le cause sono da riscontrare in traumi e come la mia famiglia mi ha cresciuto (una buona famiglia, ma iperprotettiva).
Ho ancora tante fobie (es. lavorare), ma nel giro degli ultimi mesi ho fatto progressi, lavorando qualche giorno a settimana e cercando, se me la sento, di accettare piccole nuove sfide.
Ho però un grosso problema da superare: faccio fatica a pensare e a mettere in moto e realizzare obiettivi solo miei personali.
Vivo in un rapporto di odio-amore con chi mi circonda, sopratutto i genitori. siamo codipendenti.
ma anche s emi è ben chiara questa cosa fatico tra un po' anche solo a pensare a cose solo mie, oppure ci penso ma dopo qualche giorno mollo il progetto. fatico anche a comunicare a chi mi circonda l'intenzione di fare un qualsiasi cosa.
Sono bloccata e mi rendo conto che se continuo così non realizzerò mai nulla. Cose che la terapeuta mi ha tirato fuori in un anno.
Desideri fattibili, misurabili e concreti, che finchè stanno nella mia testa va bene. Vederli realizzare mi spaventa, e non credo sia solo perchè rischio di "perdere le figure di rifermento", ma anche per altro.
Comincio a essere molto demoralizzata, perchè fatico a comprendermi.
Mi hanno diagnosticato ansia generalizzata, disturbo della personalità dipendente e evitante con tratti borderline e ossessivo.
Non è esplicitata nella sua lettera la domanda che pone a questo sito di psicologi. I quali per rispetto alla sua terapia e alla sua psicoterapeuta esitano ad esprimere valutazioni. Quel che mi sento di dirle è di liberarsi di quelle diagnosi, prive di qualunque valore terapeutico per lei. Le suggerirei inoltre di non torturarsi del fatto che non riesce a qualcosa - e poi che vuol dire non riuscire a pensare a se stessa? qual'è il senso terapeutico di una simile domanda, che non fa altro che rinforzare la sua già fragile disistima di sé. Quindi la inviterei, se la sua terapia procede, se sente il valore propulsivo della relazione con la terapeuta, se dopo un anno ha potuto verificare qualche nuova sana elaborazione, ad affidarsi al tempo che ci vuole per giungere a sentirsi finalmente se stessa e capace di affrontare quel che deve e quel che desidera.