Mi sento tranquilla soltanto negli ambiti in cui mi muovo sicura
Buonasera, ho 36 anni e vivo la vita di un'adolescente. Non ho figli, non sono mai stata sposata, vivo con mia madre che si occupa di tutto quello che riguarda la casa(anche le mie cose) e non collaboro nemmeno in parte nella gestione delle incombenze quotidiane. Non riesco fra l'altro ad avere un dialogo adulto con lei, uso dei silenzi pesanti come macigni che sono tipicamente adolescenziali. Non guido, non ho mai guidato. Sono terribilmente spaventata di mettermi in gioco, di prendere decisioni che possano compromettere la mia tranquillita'. Ma non sono comunque tranquilla. Le persone che mi circondano mi vogliono bene, sono aperta, non giudico mai, sempre pronta a capire ed ascoltare. Ma questo si ferma alla cerchia delle persone che ho deciso di far entrare a far parte del mio microcosmo. Mi sento tranquilla soltanto negli ambiti in cui mi muovo sicura (nel lavoro, nel sesso, nelle amicizie strette)ma esposta all'ignoto mi sento senza pelle, come quando avevo 16 anni e tendo a chiudermi, ad evitare le situazioni. In passato ho gia' frequentato psicologi, l'ultima volta circa 7 anni fa. Mi avevano diagnosticato una forte ansia e una leggera depressione. Negli ultimi anni ho avuto due grossi colpi: la perdita di mio padre e il tradimento da parte del mio ex che mi ha lasciato e si e' messo con la mia piu' cara amica. Ho perso a causa di quest' ultimo episodio, molta sicurezza in me stessa e negli altri. Ho avuto un periodo piuttosto borderline, ma ne sono praticamente uscita, anche se tendo da sempre un pochino ad eccedere. Attualmente sto con un uomo che amo, ma a causa sua potrei dover decidere di trasferirmi all'estero. Vorrei cercare di prendere le redini della mia vita, di cominciare ad osare, di non far si che le mie decisioni siano dettate dalla paura di non farcela. Tutto cio' che e' responsabilita' o decisione mi inquieta. Grazie per volermi dare un parere.
Buon giorno. La sua lettera ha il potere di rappresentare bene a chi legge la sua condizione, e di toccarne la sensibilità. Quel che appare è una sofferenza dovuta all’impossibilità, che ormai si prolunga, di poter realizzare la propria individualità, le proprie risorse (indubbie) e la propria sostanza (di qualità). Non posso che rilevare l’impressione che la sua è proprio la situazione migliore per un percorso psicoanalitico. Non ci sono nella sua realtà diagnosi da centrare, né patologie, né malattie, ma ‘solo’ la necessità di creare quel che finora non si è potuto. O meglio: co-creare nell’ambito di una buona relazione terapeutica. Ormai la psicoanalisi non si rivolge più alla ricerca di un quid patologico da stanare e guarire, quanto piuttosto costruire quel che paure derivate da esperienze angosciose hanno impedito di formare nella personalità. E la personalità risulta come ‘mutilata’ di qualche normale abilità – abilità affettiva e relazionale, in quanto la situazione traumatica originaria e, spesso, persistente si è dispiegata proprio sul piano affettivo e relazionale. Se ritiene possiamo avere un colloquio esplorativo senza impegno. Buone cose!