Dott. Dario Terenzi

Dott. Dario Terenzi

Psicologo Clinico, Gruppoanalista in formazione

Matrimonio in crisi

Salve, mi trovo in una situazione matrimoniale complicata. Sono sposata da quattro anni e, sin dall'inizio della convivenza, il nostro rapporto è stato caratterizzato da frequenti e accese discussioni, soprattutto a causa della sua famiglia, con la quale non vado d'accordo. Sono persone molto invadenti, ma mio marito non ha mai preso le mie parti né posto un freno ai loro comportamenti. Io sono una persona riservata, cerco di evitare conflitti diretti fino a quando non posso più sopportare e esplodo. La convivenza è stata un incubo fin da subito: i suoi familiari si presentavano continuamente a casa nostra, anche alle otto del mattino per usare il bagno o nel pomeriggio per pranzare e riposare. All'inizio, complice la giovane età e la speranza che la situazione migliorasse, ho lasciato correre e cercavo di evitare di scontrarmi. Tuttavia, dopo un po', ho fatto presente che per me questa situazione non era accettabile, ma mio marito ha reagito dandomi contro. La casa appartiene ai miei suoceri, quindi molti mobili erano loro e, nonostante i continui litigi, sono riuscita a cambiarne solo alcuni. Altri, invece, devo tenerli per forza, insomma non ho mai sentito questa casa come mia mi sento un ospite. Le tensioni si manifestano anche per i pranzi della domenica. Se mi permetto di dire che preferirei restare a casa, mio marito si arrabbia, e la sua famiglia inizia a chiamare incessantemente per convincerci ad andare. Chiamano mio marito costantemente per sapere cosa sta facendo, dove si trova e con chi è. Arrivavano persino a chiamare a tarda notte o alle sette del mattino. Ho dovuto staccare il telefono fisso per evitare che lo usassero quando mio marito non rispondeva al cellulare. So che è da stronzi ma alla fine per sopravvivere, li ho bloccati sul mio telefono perché la situazione era diventata insostenibile: ricevevo almeno dieci telefonate al giorno con domande insistenti e ripetitive perché il figlio non rispondeva al telefono.Se non rispondevo, iniziavano con le videochiamate. Per quanto riguarda mia suocera, non ha mai accettato che io abbia due gatti e non penso che la cosa le debba riguardare per questo fa continui commenti denigratori. La situazione è peggiorata quando sono rimasta incinta. La gravidanza è stata estremamente difficile, a rischio di aborto, e quando ho comunicato la notizia alla sua famiglia, mia suocera ha passato tutta la serata a ripetermi "non è che ora abortisci?" guardando i referti medici del mio ginecologo senza il mio permesso, cosa che mi ha profondamente infastidita. Nonostante l'avessi invitata a cena, continuava a dire che non voleva venire a causa dei gatti. Alla fine, esasperata, l'ho mandata a quel paese e ho trascorso una notte d'ansia temendo di perdere il bambino. Da quel momento ho deciso di non vederla più per tutta la gravidanza. Dopo la nascita del nostro bambino, la situazione è ulteriormente peggiorata. Vogliono sapere ogni dettaglio della sua vita: cosa mangia, in che quantità, ecc. Chiamano solo per fare domande sul bambino, ma come nonni sono completamente assenti danno consigli/ordini non richiesti, se mi rifiuto di eseguirli mi aizzano mio marito contro. Come nonni sono assenti però avanzano pretese per esempio, quando il bambino è stato ricoverato in ospedale, non hanno mostrato alcun interesse. Mio marito mi ha sempre dato contro, spesso con aggressioni verbali. Se esprimo il desiderio di cambiare casa per avere uno spazio che possa sentire mio, lui si oppone. Se voglio cambiare un mobile, non si può. Quando faccio notare che gli atteggiamenti di sua madre sono offensivi, lui mi dice che sto sbagliando (premetto che non ho raccontato tantissime cose). Pensavo che con l'arrivo del bambino le cose potessero migliorare, ma tutto è peggiorato. Ogni pretesto è buono per aggredirmi verbalmente. Ormai non posso neanche uscire di casa con il bambino senza che lui mi accusi di farlo senza il suo permesso. Chiama di continuo per sapere dove siamo, e informa i suoi di tutto quello che faccio. Durante una delle ultime liti, ha usato frasi molto pesanti, minacciandomi di denunciarmi o addirittura dicendomi che, se non faccio ciò che vuole, potrebbe alzarmi le mani. Lui giustifica questi comportamenti dicendo che si tratta solo di momenti di rabbia che ovviamente genero io con il mio carattere che per carità non sarà dei migliori, fatto sta che io non voglio più vivere così. Non voglio una famiglia così e non voglio che mio figlio cresca in un ambiente del genere. Anche io, in certe situazioni, perdo la pazienza, anche se so che non dovrei, ma ormai sto proprio male male male. Lui dice di amarmi ma come fai ad amare una persona se la fai sentire così, concludo dicendo che la gestione del bambino verte esclusivamente sulle mie spalle. Vorrei capire se sono davvero io a sbagliare, come lui mi fa credere, e come posso uscire da questa situazione in modo pacifico, senza rischiare di perdere mio figlio. Grazie

Gentile Gelsa, le sue parole raccontano una situazione comprensibilmente faticosa e dolorosa oltrechè incerta e densa di preoccupazione per le prospettive di benessere e qualità della sua vita e di quelle di crescita di suo figlio. La prima questione che salta fuori è: di quante e soprattutto quali famiglie lei racconta? Perchè, come a volte succede, per le persone a colmare gli spazi e azzerare le possibilità di una sana progettualità individuale e familiare, sono le nostre rappresentazioni interne e intime del "familiare" e del concetto "famiglia", caratterizzate da rigidità e immobilismo; dimensioni interne a noi e alla persona che immobilizzano l'individuo, regolandone rigidamente e in modo invariabile, dunque patologicamente, visioni e prospettive senza possibilità di emancipazione e crescita affettiva, relazionale e più in generale sociale. A volte inoltre, questa famiglia, esiste anche fuori da noi e da fuori agisce: controllando, opprimendo e saturando in modo claustrofobico le relazioni affettive e familiari, a volte la dimensione esistenziale tutta di uno o più dei suoi membri. In tali scenari non c'è spazio per l'incertezza, per la complessità del mondo e la bellezza della scoperta del nuovo, di ciò che genera nuovi significati, di ciò che apre a nuove esperienze e a nuovi modi di stare accanto e insieme agli altri, siano essi compagni di vita, colleghi di lavoro, familiari o altro. Nella situazione che lei racconta sembrano agire entrambe le dimensioni facendola sentire intrappolata e forse anche sola, in un clima di cronico e rigido controllo dell'altro e di disconoscimento della dimensione della soggettività prima ancora che di quella della coppia. Poco o nulla a volte è possibile scalfire in contesti così fortemente strutturati. Sembra chiaro ciò che lei non vuole, ma resta non detto ciò che lei desidera per se. Desiderio e motivazione al cambiamento in contesti di crisi familiare come questo, schiudono a percorsi faticosi e spesso non necessariamente pacifici che impongono la costruzione di nuove disposizioni interne e consapevolezza della persona verso nuove possibilità di stare bene con noi e con chi sentiamo ancora di amare. 

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Dott.Dario Terenzi

Psicologo Clinico, Gruppoanalista in formazione - Palermo

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