Buonasera comprendo la situazione,ben illustrata, mi sono interessato a lutto e malattia da lutto da tempo e quella che una volta era chiamata “melanconia”, e ciò di cui parla evidenzia un andamento piuttosto classico, nel senso che la sofferenza della perdita assume una connotazione maggiore a distanza di tempo, in relazione ad una sempre più difficile accettazione del poter stare ancora male a distanza di tempo. Chi lo ha detto che piangere per la perdita di suo marito anche se è passato del tempo non sia giusto? Trovo che manifestare la sensazione di perdita attraverso il pianto e il parlare della persona che non è più presente sia una forma di elaborazione del lutto sul piano della normalità; il lutto è un processo, che metaforizziamo attraverso termini come “portare il...elaborare il..” che richiamano al fardello/lavoro, e alla digestione/trasformazione, nel mentre “sono in...” è una dichiarazione importate di consapevolezza di essere in un viaggio, in uno stato particolare di sofferenza, disinvestire emotivamente in qualcuno che ha permesso una sua evoluzione personale nel bene o nel male, testimone della sua storia di vita. Un ultimo consiglio, se crede che possa servirle, provi a ricordare anche i lati ambigui se non negativi della persona che ha amato, non farà del male alla sua memoria, la realtà non è mai un insulto, questo aiuterà lei e i suoi figli a fare tesoro di alcuni lasciti senza “portare il peso della persona nella sua globalità” si ricordi che i detti e le metafore ci dicono molto, se la perdita va elaborata, va scomposta a volte compiendo un atto decisionale, decido di accettare il mio “essere in lutto e di poterlo superare attraverso il differenziare, distinguere ciò che potrò continuare a tenere e cosa dovrò salutare”. Auguri