Dott. Davide Bonfanti

Dott. Davide Bonfanti

psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista

Mi sento estranea alla mia vita. Sono sempre in ansia e senza entusiasmo.

Mi sento estranea alla mia vita. Sono sempre in ansia e senza entusiasmo. Se mi capita qualcosa di bello e positivo sono felice. Se mi succede qualcosa di negativo oppure devo prendere una decisione allora o rimuovo il fatto, oppure cerco di risolvere il prima possibile (spesso male) e penso “vabbè”. Per qualunque cosa cerco di trovare la soluzione più rapida e semplice per risolvere e se sbaglio trovo un'altra soluzione semplice e rapida e penso “vabbè”. Sono pigra. Se qualcuno mi dà una brutta notizia, cerco subito una spiegazione e penso “ok, a posto, anche questa è risolta”; in altre parole mi fascio la testa. Se devo risolvere un problema, mi viene una botta di ansia, perdo lucidità e cerco di risolvere il problema nel più breve tempo possibile in modo da uscire dalla fase di ansia. Non so gestire l'imprevisto. Ho paura. Durante la fase di ansia, è come se vedessi tutti gli elementi che compongo il problema e la soluzione, come tessere di un mosaico, tessere tutte sparse. Non riesco a vedere il problema nel suo insieme. Non riesco a crescere personalmente perché sono bloccata. Ho paura. Mi sento estranea alla mia vita. Non trovo soluzione; non penso “se facessi quella certa cosa andrebbe meglio”; penso “non so come fare”. Quando devo fare un lavoro (con calma, in ufficio) la prima cosa che penso è: “'aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah', oh mio dio non sono capace, come faccio?? Potrei fare così, no cosà oppure colà, è più semplice...no ho sbagliato è meglio fare così...” quasi a caso, basta fare e finire e basta. Non ho forza. Se ho un problema, cerco sempre di trovare un modo per fasciarmi la testa e non risolverlo, un po' perché sono pigra, un po' perché affrontarlo mi farebbe entrare in ansia e non troverei un modo per risolverlo. Se il problema persiste chiedo aiuto a qualcuno che ritengo competente e non valuto l'aiuto, eseguo, perché sono già in ansia per la risposta (per paura di non capirla, per quello che comporterà a me ovvero mi fascio la testa, perché penso che non ci ho pensato già prima io, perché potrebbe essere che non io non sia d'accordo ma non so perché, perché non riesco a pensare...). Quando eseguo, penso “vabbè, va bene. Non penso. Un po' perché sono pigra, un po' perché poi mi viene l'ansia. Se penso vado in loop, le tessere del mosaico si spargono. Cerco di non mostrare la mia ansia agli altri, fingo. Molti mi ritengono un persona calma. Non penso e sono estranea alla mia vita. Vorrei poter programmare TUTTO nella vita per arrivare preparata a tutto. Chiedo consiglio su come poter cambiare qualcosa. Grazie

Salve Roberta, sono rimasto colpito dalla sua lettera, dalle parole che ha usato per descriversi, credo che lei sia una donna molto intelligente, e che sia già sulla giusta strada per trovare un equilibrio in cui si possa sentire più soddisfatta di se stessa. Si definisce infatti "estranea e sé stessa", una condizione che mi richiama alla memoria la questione della "presenza", il non essere presenti a sé stessi e quindi alle vicende del mondo. Con diverse gradazioni il suo non "essere presente" richiama al senso di essere sopraffatti dagli eventi e l'ansia data dalla mancanza di fiducia di non avere le capacità di svolgere un compito. Sembra che i compiti siano sempre non alla sua portata. Descrive una sensazione che è molto sentita dalla popolazione femminile, e cioè il vivere con la convinzione che manchi qualcosa, qualcosa di molto importante, decisivo per raggiungere uno stato di potere su di sè e sul mondo. Dico che è sulla buona strada proprio perché questa convinzione spesso viene elusa e piuttosto che affrontarla, per comprenderla, diventa la scusa per adeguarsi facilmente all'immagine del femminile data dall'esterno (mass-media in primis).  

Provi ad analizzare la questione, nel senso di de-costruire la sua convinzione, Focault diceva che vivere di convinzioni è da studipi, ma si può essere risoluti. La faccio un esempio di ciò che intendo per de-costruire, se è l'idea di soddisfazione che sembra mancare, ricordiamoci che l'orgoglio in molte culture è visto come un difetto da combattere, eppure sembra che lei stia anelando a questa forma, il concetto di "pride", perché in essa pone fiducia per raggiungere una sicurezza, con la "s" maiuscola. Una sicurezza così è connessa ad un senso di protezione che ha dell'utopistico, sia che vada verso un totale controllo delle situazioni sia che vada verso un totale dis-controllo lasciando ad altri la questione della propria sicurezza. IN MEDIO sta il rimedio, affronti la questione in modo sereno, legga autrici come Simone De Beauvoir e si confronti con altre donne e se può e vuole intraprenda una analisi per capire quanto la STORIA ha inciso e continui ad incidere sul senso di potere della donna, alimentando false convinzioni.

Auguri