Bisogno di normalità e nodi evolutivi nell'adozione del figlio dell'altro coniuge
La diversità rispetto alle altre adozioni.
Oltre che per quelli in stato di abbandono, la legge 184/83 prevede l’adozione di minori che si trovano anche in altre situazioni, per “casi particolari”, che specifica.. Nel volume complessivo del lavoro sull’adozione, i servizi territoriali incontrano una percentuale costante, seppur bassa, di richieste relative all’articolo 44, solitamente quelle di coniugi che chiedono di adottare il figlio dell’altro coniuge, che rientrano nella previsione dell’art. 44, lett. b).
In questo gruppo si trovano famiglie con caratteristiche e motivazioni diverse da quelle delle coppie sterili, che invece costituiscono la stragrande maggioranza delle domande di adozione. Diversa è anche la modalità con la quale si di relazionano con gli esperti che si occupano di loro: mentre di solito le coppie che chiedono un figlio in stato di abbandono mostrano di sottoporsi di buon grado, se pur a volte solo formalmente, ai colloqui fissati dagli operatori, le famiglie che arrivano per una richiesta legata all’articolo 44 lasciano facilmente trasparire i sentimenti di sorpresa, fastidio o addirittura ostilità suscitati in loro dall’iter dell’indagine. Chi ha presentato la domanda, e cioè il coniuge che non è genitore biologico di quel bambino, ritiene logico e naturale poter esercitare alla pari con il partner la potestà parentale su un bambino del quale già si occupa con funzioni genitoriali. Il figlio ha il logico e naturale desiderio di avere un cognome che non lo costringa a dare sempre spiegazioni ai suoi compagni. La famiglia ha la logica e naturale aspirazione ad essere come tutte le altre. Ripetutamente dichiarano, o fanno intendere con più messaggi, che sono famiglie normali e che l’istituzione deve loro una convalida di una situazione già definita nei fatti e negli affetti, e che perciò non c’è bisogno di fare approfondimenti sulla loro vita.
Come non approvare queste idee quando la famiglia si è ormai costituita legalmente da anni e non manda segnali di malessere? Potrebbe sembrare superfluo indagare situazioni già consolidate e che si presentano funzionali, ma lasciando prevalere la constatazione dei fatti piuttosto che la riflessione, si corre il rischio di non costruire nessuna ipotesi. Credo infatti che l’indagine sulla richiesta legata all’articolo 44 sia una delle più interessanti e stimolanti, perchè ci fa incontrare famiglie che sotto il bisogno di normalità celano quasi sempre sofferenze non elaborate e importanti conflitti affettivi.
Sono famiglie che spesso condividono caratteristiche comuni: lo stadio evolutivo nel quale si trovano, la qualità delle vicende sperimentate, il bisogno di normalità che implicitamente esprimono, la difficoltà a riflettere su di sé e la propria storia. Sono proiettate nel futuro, con progetti di consolidamento; desiderano dimenticare le rotture e le perdite subite; non vogliono ridiscutere il passato, come se ciò potesse pregiudicare l’equilibrio del presente. Con l’adozione mirano a ricreare la famiglia ideale perduta o mai avuta, e investendo idealisticamente su progetti futuri svuotano di significato affettivo le difficoltà attraversate, proprio quelle che danno ragione della domanda che avanzano. Nel loro passato ci sono sempre una o più gravi perdite, vissute in modo più o meno traumatico, e che possono attenere sia ad aspettative che a persone: il coniuge (nel caso dei vedovi), il partner (nel caso delle madri nubili), i genitori contenitivi (nel caso di famiglie di origine disgregate), il paese di origine (nel caso di immigrati). Quanto meno è stata elaborata la perdita e tanto più è negato il dolore, tanto più la famiglia appare a rischio evolutivo, portando una domanda di adozione che condensa un’enorme quantità di bisogni di riparazione e normalizzazione.
Quando la madre ha un passato socialmente sconveniente e denso di eventi traumatici come una famiglia di origine poco contenitiva o inesistente, una o più gravidanze fuori dal matrimonio, uno o più abbandoni da parte del partner, troveremo facilmente una domanda di adozione nella quale la famiglia convoglia grandi aspettative di riscatto sociale. Tutto il nucleo familiare si muove intorno all'effetto magico della pratica adottiva: se il bambino diventerà figlio legittimo anche la madre sarà redenta. A volte la famiglia presenta addirittura una realtà mistificata e deformata dalla prevalenza del desiderio, quando arriva a chiedere che il bambino non venga informato della finalità dei colloqui o della sua vera storia, perché non sa del suo passato e non deve sapere. La famiglia ricostituita si presenta alla società con le carte in regola: un matrimonio normale, una casa normale, un lavoro normale, aspettandosi dalla società che le riconosca anche un figlio normale, con il completamento di un cognome del marito come si conviene.
Samantha ha 12 anni e il secondo marito della madre chiede di adottarla. Lei è nata da una relazione che la madre ha avuto precedentemente con un altro uomo. La signora ha quasi sempre vissuto, fino alla maggiore età, in istituto, lasciata dai genitori che lavevano riconosciuta ma che non lhanno cresciuta né mai sono andati a trovarla. Dopo unesistenza travagliata e vagabonda, la signora sposa l’attuale marito. Emigrato a centinaia di chilometri di distanza dalla famiglia di origine con una modalità che evoca bisogni di distanziamento intensi, questo uomo ha poi realizzato in un lavoro sicuro e tranquillo dentro una grande istituzione una regolarità che ben si adatta al suo modo di essere rigido e conformista. Enunciando ideali di spiritualità ai quali ha convinto tutta la famiglia, si presenta come lancora di salvezza della moglie, confermato da lei in questo. Dopo il matrimonio i coniugi hanno avuto un’altra figlia e desiderano che entrambe le sorelle abbiano lo stesso cognome. Desiderano che Samantha non sappia che il padre biologico in realtà non è il primo marito della madre, come le hanno sempre fatto credere, desiderano essere una famiglia normale, dimenticando il passato. La famiglia appare armoniosa e solidale, piena di progetti per il futuro. Samantha è ancora un po bambina, ma si mostra serena; dice di essere finalmente felice ora che può stare a casa con la mamma, invece che in istituto come prima del matrimonio; conferma che vuole avere il cognome di questo “nuovo papà”.
In situazioni come questa dove tutto sembra andare bene, spesso si percepisce una sensazione di fragilità e di forzatura insieme, non meglio definite. Sentendo che la famiglia potrebbe volere l’ adozione per indossare finalmente anche l’ultimo abito che la società chiede a persone degne di rispetto, nasce il sospetto che qualcosa potrebbe non funzionare, malgrado la buona volontà e i migliori intenti, e che gli autentici bisogni del bambino potrebbero passare in secondo piano.
L’esperienza ci ha insegnato che l’accoglimento di una richiesta burocratica non può colmare il bisogno di risarcimento che pervade tali famiglie che, in mancanza di un’elaborazione del proprio passato, possono facilmente ripetere altre esperienze fallimentari e drammatiche. Sappiamo che non serve offrire restituzioni, peraltro non richieste, che attengono profondamente gli affetti, a persone che non possono accedere al proprio mondo interno a causa dei sentimenti troppo dolorosi che ciò susciterebbe, persone che ricorrono a difese primitive e massicce cercando di far funzionare un’assetto relazionale fragile e precario.
A distanza di non più di due anni dalla definizione dell’adozione, la mamma di Samantha chiede la separazione, sospettando molestie sessuali del marito sulla figlia da lui adottata.
Come muoverci allora? In nuclei che intuiamo a così alto rischio evolutivo, è credibile che la domanda di adozione possa realizzare il preminente interesse del minore? Certamente non lo esaurisce, ma può aprire la strada ad una consulenza.
In seguito al mandato del T.M. i servizi che incontrano casualmente queste famiglie hanno l’occasione di vedere in loro ferite mai rimarginate, sofferenze profonde ma negate. Il loro ruolo si può allora declinare su più versanti per cercare di attrezzare un po’ meglio la famiglia a crescere il figlio. E’ necessario accogliere queste famiglie con il loro naturale desiderio di normalità, ma è collusivo accettare di condividere segreti sull’origine del bambino; è necessario riconoscere le difficoltà che hanno attraversato ma è utile non illuderle che siano tutte finite; è necessario rimanere nel mandato valutativo del T.M. ma possibile proporre una seconda fase, dove porsi come autentico aiuto per il nuovo percorso evolutivo che la famiglia ha intrapreso.
Dott - Monza e della Brianza
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