Non riesco a vivere
Salve,sono M. e scrivo qua perchè fondamentalmente sono arrivato alla disperazione.
So perfettamente che eventuali risposte riporranno il monito di iniziare a seguire sedute di psicoterapia, ma mi piacerebbe avere opinioni anche per vie più brevi.
Ho compiuto 25 anni lo scorso fine dicembre, non ho mai avuto una ragazza e non riesco a costruirmi delle frequentazioni, una vita sociale in base alle attività e agli interessi, oltre al piccolo giro di amici d'infanzia composto da soli maschi, che però non porta ad alcuna nuova esperienza per la mia crescita come individuo.
Non ho mai avuto un padre, quello biologico è morto due anni fa, ed era un uomo fondamentalmente buono, ma debole, infantile, obeso e tendente al paranoico, morto d'infarto a 46 anni a casa della madre dopo essersi separato dalla mia quando avevo 2 anni, soleva venirmi a trovare saltuariamente, senza sapere cosa dirmi.
L'ultima frase che ci siamo scambiati è stata infatti la mia:"cosa abbiamo da dirci?".
Mia madre si farebbe a pezzi per me, ma lei non potrà mai essere un esempio per entrare nel mondo: è una donna straniera che è riuscita a mantenersi in un paese non suo, ma senza mai riuscire a trovare un lavoro stabile e di grossa responsabilità come quelli che solitamente competono agli uomini (il che sarebbe successo con titoli di studio o con un'altra determinazione di cui è priva). Ha il lutto di sua madre che non ha ancora elaborato, successe quando aveva la mia età; è fragile, incapace di concentrarsi, tende alla continua commozione quando si parla di determinati argomenti ma al contempo all'estrema immaturità e cocciutaggine nel non riuscire a vedere aspetti limitanti di se, che ai miei occhi la fanno apparire come incapace di evolvere e migliorare: come nel non essere mai entrata in dialogo con me su temi della vita, prima che iniziassi a stare male e al non riuscire ad interagire e a creare rapporti con le persone consapevolmente, nel non essermi mai venuta a parlare, ad educarmi in modo che io non avessi vissuto gli anni che ora sto vivendo e al rifiutare alle volte i miei sfoghi come non attinenti pienamente alla realtà, pur con successive ammissioni di colpa.
A casa vivo anche con mio zio, fratello di madre: un uomo dai buoni sentimenti, un operaio, ma invadente, onnipresente seppur senza mai cercare di educarmi con severità, mi vuole bene nell'idea vaga di non sapere come interagire con un ragazzo senza padre.
Confesso il mio fastidio per la sua presenza fisica più che emotiva o di dialogo, determinata dalla vita e costante, un pò come compensazione ingiusta verso l'assenza di qualcuno che non c'è, un pò a ragione perchè è l'ennesimo esempio maschile negativo della mia esistenza, questa volta però senza che abbia un legame identificativo padre-figlio: è un uomo che vive come una bestia, beve, va a lavoro e torna a casa senza avere alcuna relazione sociale significativa o che arricchisca consequenzialmente le persone con cui vive. Ha 50 anni, è scapolo per paura più che per scelta, dopo una scottatura amorosa ha deciso di fingere un'indipendenza dai rapporti, che però lo relega legato a noi, apparentemente assume l'atteggiamento imperturbabile di qualcuno per il quale questa condizione di non piena libertà ed indipendenza, alla sua età, non è un problema rilevante.
Ora comunque sto arrivando alla consapevolezza sentita, non pensata, che non debba scagliare il mio rancore inconscio verso ciò che è stato, perciò verso anche la sua presenza, e che le risposte per la mia serenità dovrò trovarle da solo fuori di casa, ovviamente.
Inoltre c'è anche il compagno di mia madre,un medico, ma è una figura taciturna, serena e accondiscendente alla forza immatura di mia madre.
Per lui in adolescenza credo di aver avuto certamente problematiche del tipo edipico, ma crescendo lo vedo sempre più con uno sguardo d'affetto rispetto a delle colpe e delle responsabilità educative mancate, che pur provando razionalmente a contenere, riverso incoscientemente verso gli altri due elementi del nucleo.
Non riesco minimamente a capire cosa voglio fare nella vita, a quale ruolo identificarmi. Dal liceo, con più bocciature e isolamenti sociali, all'università, mai veramente intrapresa come condotta di vita, seriamente, pochi esami dati, nessuna nuova conoscenza, più interruzioni, più nuove iscrizioni e ora di nuovo il nulla.
Non ho la minima applicazione nello studio, nell'impegno verso qualunque cosa da conquistare, che sia un obiettivo da studente o una ragazza che desidero. Ma non vedo in nessun aspetto della vita, una luce che io possa accendere impegnandomi, una possibilità.
Non conosco nessuno, non ho amici che portano amici o ragazze, i miei essendo stranieri non hanno contatti e non sanno indirizzarmi o consigliarmi con criterio, piango notte e giorno per come sto sprecando gli anni migliori della mia vita. Non so come capire quale attività io possa desiderare o possa essermi realmente funzionale per il quotidiano, pur avendoci provato in passato, sono ancora a questo punto.
Da due anni vago per strada, di giorno e di notte, come un'anima persa, con gli occhi spesso nel vuoto.
Ho l'angoscia ed il terrore nell'anima, la consapevolezza di avere "un sentire" diverso da quello delle altre persone, che riescono a crescere nel corso del tempo e trovare un lavoro, costruirsi un futuro, essere un buon partito per la competizione della vita.
Ho sicuramente grossa fatica nel sentire piena potenzialità della mia sfera maschile, non inteso in termini di sessualità o impotenza, ma nell'identificazione del ruolo nel sociale, nelle interazioni nel mondo, da un colloquio con uno sconosciuto al "provarci" con una ragazza.
Cosa che è successa lo scorso anno per la prima volta nella mia vita. Ho cercato di frequentare una ragazza, più grande di me di un anno, uscendoci per diverse sere; sempre con enorme fatica ho percorso tutto il processo del "conoscersi" con una nuova persona, rivelando la mia totale inesperienza. Ah, tra l'altro sono un tipo tendenzialmente carino, sempre con una fatica immane, mancando più di una volta il momento giusto, sono riuscito a baciarla o a farmi baciare, ad avere vere e proprie effusioni, che non promettevano altro se non quello! (finalmente aggiungerei). Ma lei la volta dopo mi ha detto che mi vede solo come un amico e che non ci sarà più altro...UN CLASSICO. Lei era o è fidanzata, ma scherzandoci, avendo capito come ormai fosse bruciata, si è sviluppata un'interazione diretta, quasi realmente da amici, sono passato sopra all'umiliazione alla virilità per capire cosa avessi o non avessi trasmesso e lei mi ha rivelato di vedermi come un tipo simpatico, attraente, originale ma strano, molto strano, con il quale non avrebbe voluto fare altro.
Cosa che mi ha forse confermato la mia più grande paura: la sensazione di non poter trasmettere alle ragazze quella solida mascolinità, ripeto non in senso di impotenza, fondamentale affinchè una ragazza si fidi e si lasci andare pur sentendosi attratta da me. Ho la sensazione sempre di non sapere cosa dire ad una ragazza, -pur sapendo che nella situazione avviene tutto più naturalmente-, che atteggiamento assumere, che emotività avere, non la controllo, non sono padrone di me pur riuscendo ultimamente ad arrivare ad un punto in cui prima non era mai arrivato.
Ho paura di non poter trasmettere sicurezza ad una donna vista la mia impossibilità ad avere un'identificazione solida con un maschile.
MI SCUSO PER IL MIO ESSERE PROLISSO E RINGRAZIO PER EVENTUALI RISPOSTE.
Salve M. Mi sembra che Lei abbia piena consapevolezza di ciò che la circonda e di quelle che sono le dinamiche familiari e personali. Purtroppo, però, la domanda è: “Cosa intende farci con tutto questo”?. A volte scrivere può risultare molto utile, soprattutto per capire meglio ciò che celiamo nel nostro inconscio. Tanti cari auguri per la sua vita.