Dipendenza patologica
Quando l'altruismo può diventare patologico? E quanto può favorire relazioni di dipendenza non propriamente ottimali?
Nella nostra cultura, generalmente, l'altruismo e il prodigarsi per gli altri sono considerati aspetti "nobili". Consistono in atteggiamenti e modalità di relazione che tendono a favorire gli altri, in modo disinteressato, in cui la persona che compie il gesto altruistico può anche non aspettarsi nulla in cambio.
Però ci sono anche delle forme di altruismo patologico, in cui l'aiuto viene dispensato anche se non richiesto, comporta un danno anziché un ritorno positivo e peggiora la situazione che si pensava di mantenere o migliorare.
In questo caso l'altruismo che non tiene conto degli esiti finali e molte volte viene messo in campo per la paura del rifiuto, dell'abbandono, per sentirsi indispensabili, per ottenere qualcosa in cambio nei termini della benevolenza, della stima, del sentirsi amati.
E' modalità tipica delle persone con bassa autostima e dall'identità fragile, che hanno bisogno di trovare un proprio posto nel mondo e si prodigano in tutta una serie comportamenti mantenuti in quanto ritenuti funzionali anche se in realtà non lo sono.
Seguendo la teoria di George Kelly (1955) ci troviamo davanti ad un disturbo quando, di fronte ad una difficoltà, le nuove esperienze vengono anticipate e ripetute mantenendo le stesse caratteristiche delle precedenti. Si arriva quindi ad un blocco del sistema, ossia si continua ad usare il solo modo che si conosce. Il disordine che ne consegue riguarda un modo non produttivo di costruzione dell'esperienza, in cui la persona continuamente si ripropone con le medesime modalità pur non tenendo conto delle disconferme a cui va incontro, e limita la verifica e l'elaborazione attiva di nuovi significati maggiormente utili con i quali agire.
Pensiamo ad esempio a quando si cerca di tenere a bada la paura del rifiuto, in funzione del mantenimento della propria autostima e della propria identità. Può accadere nella vita di coppia ma anche semplicemente all'interno dei gruppi sociali (relazioni, lavoro...). E' atteggiamento tipico dello yes man o della yes woman: più si offre all'altro e più si continua a dare, alla ricerca di un riscontro che sembra non arrivare mai .
Altro esempio è a ben nota figura della crocerossina, che dispensa aiuto anche a chi non lo richiede o non lo apprezza. Lo fa per il piacere di sentirsi indispensabile, si prodiga verso chi magari nemmeno lo richiede. Come può accadere in un rapporto genitori-figli, nella relazione amorosa o in alcune relazioni sociali, ciò addirittura contribuisce a non facilitare lo sviluppo dell'identità dell'altro.
Tuttavia, chi offre l'aiuto si ritiene indispensabile in quanto il beneficiario delle attenzioni è ritenuto bisognoso ma....questo è un copione che va in crisi se manca il bisognoso!
La crocerossina, infatti, ha il fine ultimo non di guarire la persona beneficiaria delle attenzioni, bensì di continuare ad accudirla: motivo per cui, se avviene la "guarigione", si sente disoccupata.
Essendo incapace di dedicarsi a sé stessa dovrà cercare un'altro bisognoso, accanendosi ad accudire ancora una volta qualcuno che non ha bisogno del suo aiuto.
Accade ciò in alcune relazioni amorose, tenute in piedi perché uno dei due partner pensa che l'altro, al quale dispensa il suo aiuto, non sarebbe in grado di cavarsela da solo.
Per entrare maggiormente nella specificità della situazione, può essere calzante pensare alla differenza tra coloro che promuovono la relazione di aiuto in ambito sanitario, prodigandosi per le altre persone. Però, mentre la crocerossina ha bisogno che il suo paziente non guarisca mai (per poter continuare a sentirsi persona degna), nella professione sanitaria fortunatamente si ricerca la guarigione del paziente, anzi si auspica il distacco inteso come guarigione.
Un altro caso tipico di altruismo patologico è quello della dipendenza affettiva, situazione che si può verificare non solo all'interno della coppia ma anche in altre relazioni di tipo sociale, come ad esempio nei gruppi. La finalità del non sentirsi soli è quella di evitare il dolore, costruito come terrificante: dolore causato da perdita, abbandono, dalla disconferma....come se si potesse essere degni di vivere solo attraverso la presenza di altre persone, dai quali si è riconosciuti ed accettati.
Ad esempio, accade quando nella relazione di coppia non si riesce a vivere senza una persona accanto: e qui possono sorgere danni, in quanto molte volte la persona scelta è a sua volta particolare, spesso a sua volta dotata di una bassa autostima ma che va ad assumere il ruolo di "re" nel piccolo regno della dipendenza affettiva.
Si può così creare un doppio legame terrificante: lo vediamo nei casi del femminicidio e della violenza domestica, in cui entrambi nella coppia ricevono qualcosa per loro indispensabile, che però tiene in vita un rapporto malato.
La persona che dipende cerca conferme che però le possono venire date solo fino ad un certo punto, e si sente in uno stato di costante e sempre maggiore bisogno di riconoscimento, che rivendica continuamente e non permette l'interrompere della relazione ormai costruita su un terreno incerto.
Pensando alla strutturazione di un percorso terapeutico, è forse più semplice lavorare con chi si trova ad affrontare la paura del rifiuto: essendo il sentimento di fondo contraddistinto da paura, può verificarsi una maggiore immediata motivazione a cercare e creare condizioni alternative, finalizzate ad allontanarsi dalla situazione di disagio.
Nel caso invece della sindrome della crocerossina, il problema consiste invece nella dipendenza dal piacere di ciò che si può fare per l'altro: non essendo infatti la crocerossina in grado di dedicarsi a sé, sta bene quando fa le cose per gli altri. Può essere utile in questo caso prendere in esame le costruzioni nucleari di chi porta il problema, a partire dalle quali sono derivate dimensioni di significato ad esse subordinate.
Per finire, nel caso della dipendenza affettiva la domanda che viene portata in terapia molte volte non è "aiutami ad uscire dalla mia relazione malata" bensì : "aiutami a mantenere la mia relazione, anche se so che è malata".
Anche in questo caso, all'interno del percorso terapeutico, si esaminano le dimensioni significative della persona che porta il problema, per permettere che alcuni significati rilevanti possano essere permeabilizzati e possano favorire l'ingresso di nuovi elementi maggiormente funzionali al raggiungimento di uno stato di maggiore coerenza e solidità interna.
Elisa Gasparotto
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