Dall’istinto al porno: ecco le cause più recondite della violenza sulle donne
Al giorno d’oggi sentiamo spesso un gran parlare di violenza sulla donna, un dato che non stupisce tanto se pensiamo che quotidianamente emergono news di cronaca nera narranti le tristi storie di donne di qualsiasi etnia e ceto sociale le quali rimangono loro malgrado vittime di episodi di violenza di vario genere ed entità. E forse se ne parla così tanto proprio perchè è un fenomeno che solo recentemente − da un punto di vista storico − è emerso agli occhi e alle orecchie della società occidentale. Dopotutto fino a pochi decenni fa, con il regnare del concetto di famiglia e società patriarcale, non si dava gran peso al fatto di alzare le mani verso chi era posto sui gradini inferiori della scala sociale, ovvero donne e bambini. Le molteplici e fantasiose iniziative poste in essere dalla società civile al fine di condannare questa violenza e mostrare solidarietà nei confronti delle vittime di tale fenomeno (mostre, premi letterari, cortei, affissioni varie, apposita personalizzazione dell’immagine del profilo di Facebook, tam tam sui social, realizzazione di opere e manufatti simbolici...) possono essere utili al fine di sensibilizzare la cittadinanza su tale problematica sociale, ma prescindono da qualsiasi possibilità pratica di indurre la cessazione del fenomeno stesso. Esemplificando, parrebbe assurdo immaginare che un uomo il quale è avvezzo a picchiare la sua compagna un bel giorno smetta di farlo solo perchè vedendo un po’ di foto e post su Facebook contornati dall’hashtag “NO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE” oppure assistendo alla condanna di tal cosa da parte di qualche associazione, opinionista o politico vario, si convinca che ciò sia effettivamente un atto riprovevole e pertanto smetta di porlo in essere. Se fosse così semplice far cambiare atteggiamenti alle persone allora basterebbero le etichette del tipo “Il fumo uccide” sui pacchetti di sigarette per farle smettere di fumare e l’avvertenza “Il gioco può creare dipendenza patologica” al fine di evitare la dipendenza psicologica dal gioco.
Purtroppo non è così, perchè fortunatamente la mente umana è troppo complessa per poter funzionare in maniera così semplice e meccanica. E soprattutto, nella mente coesistono emozioni e razionalità: le prime portano a condotte molto spesso istintive, la seconda ad altre che sovente sono oggetto di attenta pianificazione e valutazione. Quando l’uomo alza le mani sulla donna non lo fa quasi mai con razionalità − e ciò è confermato anche dalle numerose sentenze che specificano che gli atti violenti nei confronti della donna non erano premeditati − ma con istintività e rabbia, dunque facendosi guidare dall’emotività. Quando qualche donna mi dice che il suo uomo non manifesta mai delle emozioni con lei, la tiro su di morale rispondendole che dovrebbe considerare anche il rovescio della medaglia: se lui manifestasse delle emozioni, ma negative, non sarebbe di gran lunga peggio? La violenza sulle donne è dunque un comportamento istintivo posto in atto a seguito del manifestarsi dell’emotività di un uomo, in particolar modo riconducibile alla sfera della rabbia, del rancore, un’emozione che − come tutte le altre emozioni − è prodotta dal sistema limbico, una parte molto primitiva del nostro sistema nervoso, che ha fatto la sua comparsa di gran lunga prima del lobo prefrontale, ovvero la parte del cervello più deputata al ragionamento critico e alla razionalità. Usare la violenza vuol dire dare sfogo ai nostri istinti primordiali, veicolati principalmente da paura e rabbia, che d’altra parte si sono rivelati adattivi da un punto di vista evoluzionistico in quanto ci hanno permesso di sopravvivere in millenni di storia evolutiva. Ovviamente in una società civile bisognerebbe dare spazio più che altro alla razionalità, ma la mente è spesso legata a componenti più primordiali quali le emozioni...e sta a noi scegliere quale delle due strade seguire: quella della razionalità o quella dell’istinto. E molti uomini scelgono proprio quest’ultima.
Ora viene lecito chiedersi come mai in una società civile come quella odierna può mai accadere che le emozioni prendano il sopravvento, come mai la civiltà non sia in grado di elevare un uomo dalla sua condizione di fiera selvaggia, quale è stata non per sua volontà sin dalla notte dei tempi. Per quanto sarebbe idilliaco pensare che un giorno la civiltà ci renda esseri perfettamente razionali ed equilibrati, tutti cittadini e genitori modello, c’è da constatare che però molto spesso è la civiltà stessa a (ri)condurre un individuo alla sua natura bestiale, inducendolo a dare sfogo totale alle sue pulsioni e al soddisfacimento dei piaceri più venali. Questo è quanto fa ogni giorno − o forse meglio “ogni notte” − l’industria pornografica, i cui profitti si basano proprio sullo sfruttamento dell’indole bestiale celata in qualsiasi uomo. La pornografia permette di poter soddisfare i desideri e le pulsioni più recondite dell’animo umano, qualunque esse siano, alimentando − se utilizzata in eccesso − deliri di onnipotenza, derealizzazione, dipendenza psicologica e molte altre psicopatologie. Ma la pornografia − soprattutto se di tipo violento, dunque sadomaso o hardcore o comunque se basata su taluni atti sessuali implicanti violenza e/o umiliazione − può anche giocare un ruolo chiave nel determinare la liceità, per un uomo che ne fa uso ingente, della violenza sulla donna: infatti c’è uno stretto legame tra la violenza fisica di tipo sessuale e quella fisica di tipo offensivo, e purtroppo tale distinzione non si fa quasi mai, tanto si sente distinguere la violenza solamente in fisica e non verbale/psicologica. Ma la violenza fisica, riguardo alle donne, è anche di diversi tipi, a seconda del contesto: può essere infatti messa in atto per punire una donna o invece solo per provare dell’appagamento sessuale. In tantissime pratiche sessuali oggetto di video pornografici e facilmente reperibili in rete, la donna è molto spesso raffigurata come mero corpo-oggetto, tant’è che potrebbe sembrare quasi una sorta di bambola gonfiabile giusto un tantino più evoluta e dinamica della sua equivalente di gomma, è tipicamente passiva − ragion per cui è l’uomo che decide cosa fare e lei accetta ed esegue senza battere ciglio − e pertanto si fa mettere le mani addosso (e ovviamente non solo quelle) subendo qualsiasi tipo di pratica e manipolazione possibile e immaginabile. Ora, se un uomo che fa largo uso di pornografia, che spende tutto nel night club e se ha ancora qualcosa da spendere lo utilizza per andare con qualche escort che facilmente si può trovare online (o che tali cose le ha fatte in passato, ma comunque sempre in maniera tangibile e sistematica) arriva a considerare lecito poter fare ciò che vuole del corpo di una donna, almeno in ambito sessuale, potrebbe anche arrivare a pensare che se è lecito fare tutto ciò, allora ragionevolmente lo è anche farlo per altre ragioni, come quella di voler punire una donna. Il passaggio tra la violenza sessuale e quella offensiva può essere pertanto molto, ma molto breve, e qualsiasi donna − sebbene consenziente − la quale a vario titolo (ottenimento di soldi o di favori, voglia di imitare le pornostar del web, desiderio di vendicarsi dell’ex sperimentando cose molto più spinte con il nuovo partner...) si presti a subire “violenza” sessuale, ovvero a pratiche sessuali che ne fanno uso, dovrebbe essere conscia che così facendo potrebbe essere lei stessa a favorire l’insorgere della violenza su una sua pari. D’altronde si sa che la violenza genera violenza, ma è il caso di specificare che la violenza − di qualunque tipo sia − genera violenza.
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