Psicologa Psicoterapeuta cognitivo-costruttivista
Staccarmi emotivamente da mia madre
Gentilissimi,
ho trentotto anni, da oltre tredici anni abito e lavoro all'estero. Ho studiato lingue ma devo ammettere che sono espatriata per sfuggire a mia madre, da sempre simbiotica, controllante, ansiosa e manipolatrice. Mi dispiace doverla definire così, perché ha anche molti lati positivi e davvero piacevoli (è divertente, ironica, generosa, pragmatica), ma questi pregi emergono solo se e quando faccio esattamente tutto ciò che stabilisce lei, quando lo dice lei, ai suoi ritmi e secondo le sue modalità, oppure quando un evento esterno imprevisto non la fa cadere in una delle sue crisi.
Lei ha avuto un trauma da piccola, ha perso una sorellina e credo che di questo abbia incolpato suo padre, cioè mio nonno, un uomo molto dedito al lavoro e autoritario (ma che io ho adorato, è stato il mio unico modello maschile positivo in famiglia). Lei si è attaccata molto alla madre, cioè mia nonna, che ha curato per tutta la vita fino alla sua scomparsa, qualche anno fa. Al contrario, ha sviluppato un odio per mio nonno tanto da sposarsi con il suo primo fidanzato proprio per uscire di casa.
Però, non essendosi mai davvero emancipata, ha riversato tutte le sue frustrazioni sul marito, e io fin da piccola ho dovuto assistere a litigi violenti e infiniti, con minacce irripetibili e abusi fisici e verbali. Lei piangeva e urlava anche se io imploravo di smettere e lui reagiva con altrettanta foga, ora penso in parte perché pungolato e provocato fino all'esaurimento. All'epoca non capivo. Per me la vittima era mia madre e mio padre un mostro ci faceva soffrire. Lei non mi ha mai permesso di passare tempo da sola con lui. Sosteneva in sua assenza che gli davo fastidio e che dovevo stare solo con lei. Mio padre, purtroppo, era spesso all'estero per lavoro, quindi la sua assenza non giocava a suo favore. È riuscita nell'intento perché, in effetti, l’ho odiato fortemente. Quando sentivo la sua macchina arrivare, cadevo nell’angoscia che litigassero di nuovo, non uscivo con gli amici o non andavo a dormire dalla paura che succedesse una tragedia mentre io non ero lì a guardarli, per esempio che lui la uccidesse.
Poi mio padre si è ammalato gravemente ed è morto quando avevo quindici anni. È stato uno shock. Da un lato non poteva più farci del male, dall’altro mi è dispiaciuto tantissimo averlo odiato e non avere approfittato del poco tempo insieme per conoscerlo meglio. Non c’era dialogo, lui non sapeva come parlarmi della malattia e io covavo troppo rancore nei suoi confronti.
In ogni caso, rimasta sola con me (sono figlia unica), mia mamma ha iniziato non soltanto a vivere in funzione della mia esistenza, controllandomi, soffocandomi e seguendomi ovunque, ma anche a riversare le sue frustrazioni precedenti su di me, esattamente come aveva fatto con mio padre. All’improvviso non ero solo sua figlia, ma anche suo marito. È stato in quegli anni, tra i quindici e i ventuno, che ho capito che quando lei vuole dare sfogo alle sue esplosioni di rabbia, non c’è assolutamente nulla che io possa fare. Mi colpevolizza di tutte le sue infelicità, minaccia di fare gesti estremi per farmi vivere per sempre col senso di colpa (cosa che in effetti già faccio) e mi riempie di ricatti morali. È capace di togliermi la parola per settimane, sbattere porte e telefoni in faccia solo perché una volta posso stare al telefono solo dieci minuti invece di un’ora.
Quando ero in Italia mi rovinava ogni relazione sentimentale (faceva scenate di gelosia e s’intrometteva su tutto) e anche la vita lavorativa (si presentava sul posto di lavoro e rispondeva ai miei clienti, oppure mi denigrava nelle fasi in cui ero disoccupata). Se le spiegavo, a volte con calma, a volte arrabbiata, che mi stava tarpando le ali e mi opprimeva, lei mi dava della meschina egoista.
La lontananza mi ha fatto benissimo, ho scoperto di essere una persona di indole pacifica, empatica e tranquilla (con lei ero sempre ansiosa, rabbiosa e triste senza nemmeno rendermene conto) anche se c’è sempre questo velo di malinconia e depressione che fa parte di me e ho imparato ad accettare.
Scrivo al presente perché, tutt’oggi, non riesco a uscire dai suoi meccanismi malati e, per non farla infuriare, continuo a comportarmi allo stesso modo: cerco di essere accomodante e arrendevole finché resisto, poi pian piano mi sento annullare e spegnere come una candela, e così un bel giorno non reggo più e me la dò a gambe levate.
Non riesco a staccarmi emotivamente da lei perché mi fa compassione, è sola, i nonni non ci sono più, non ha amici (si offende per ogni piccola cosa e non è mai propositiva). Dal suo punto di vista, o esce con sua figlia o sta in casa (mia nonna faceva uguale con lei).
Non sono riuscita a crearmi una nuova famiglia all’estero perché sento sempre che un giorno lei avrà bisogno di me e io dovrò rimpatriare. Forse una parte di me vorrebbe anche rimpatriare ma temo che poi lei mi fagociti di nuovo se le abito a troppi pochi chilometri di distanza. Inoltre ho paura di fare figli perché so che avrò sempre lei che mi gira intorno e rivendica i suoi diritti di nonna. Il suo sogno più grande, infatti, è sempre stato quello di vedermi ragazza madre, senza una figura maschile accanto, in modo da crescere mio figlio noi due sole (che poi tradotto nella sua mente significa che me lo crescerebbe lei, perché si è sempre imposta su tutto, non posso nemmeno accendere un fornello senza ritrovarmela sul collo).
A causa del Coronavirus, mia madre ha iniziato a soffrire di attacchi di panico, ed essendo da sola, mi ha esplicitamente chiesto di tornare da lei ad aiutarla. Era marzo 2020, tutto era nuovo e sconosciuto, ho deciso di assecondarla, continuando a pagare l’affitto del mio appartamento all’estero. Da allora faccio un po’ avanti e indietro ma con i mesi sta diventando dura. Quando entro in quella casa, nonostante la mia età, ritorno la bambina spaventata e impotente in balia degli umori della madre e questo è davvero uno schiaffo a me stessa, agli anni d’indipendenza che mi sono costruita da sola, con tanti sacrifici ma anche tante soddisfazioni.
So che mi devo staccare emotivamente, ma come si fa? Ho bisogno di imparare tecniche e strategie. Due anni fa sono già stata in terapia per lo stesso motivo, ma l’ho sospesa perché la psicologa insisteva che io interrompessi qualsiasi contatto con mia madre e a me sembrava un po’ estremo. È davvero questa l’unica soluzione? Non c’è una via di mezzo? Vorrei solo starle vicina senza morire dentro. E poi vorrei un marito, forse un figlio, sicuramente un cane, senza il terrore di diventare un giorno come lei.
C'è qualche speranza?
Grazie infinite per l'ascolto e per qualsiasi suggerimento.
Gentile Signorina,
come prima cosa vorrei far presente che in alcuni righe si intravede molta forza e speranza di creare prima o poi un rapporto con sua madre e come darle torto? Tutti vorrebbero avere una famiglia unita e vicina.
Mi spiace però anche aver percepito giudizio negativo da parte sua verso se stessa. Cosa che invece mi permetterei di dirle che non si merita ma anzi le auguro di trovare presto la sua modalità per volersi bene e credere in modo continuativo nella gran persona che è lei. Seppur ha avuto una storia di vita "faticosa" lei comunque sta sempre cercando di lottare, di credere negli altri, di sperare che forse anche mamma possa cambiare, ecc.
Sicuramente la vita di sua madre non è stata facile e si osserva molta difficoltà nelle relazioni sociali, educative, di accudimento e in generale nella vita.
Qui però nasce il suo problema passato e presente: il carattere, il temperamento, le mancanze, ecc. di mamma. Lei non vorrebbe da una parte, da quanto capisco da questo messaggio "abbandonare" sua madre. Questo le fa molto onore con tutto quello che ha passato. Dall'altra parte però mi sto anche chiedendo cosa può essere possibile fare con questa persona? Quali atteggiamenti potrebbero farla "migliorare" e magari accettare che lei non è più la bambina di una volta, che non serve "soffocarla" per sperare che non le venga una malattia o che lei non vada via per sempre.
Da un messaggio non me la sento di dirle di abbandonare o rimanere ma la farai maggiormente ragionare su cosa allora si potrebbe fare quando la rivede o la risente al cellulare, cosa la spinge a volerle star vicino oltre all'amore che un figlio può provare per sua madre? Come si sta comportando, ora, quando lei torna?
Essendo che in alcune argomentazioni ho trovato confusione ma anche rabbia e/o voglia di rinascita personale perchè non rivalutare un nuovo percorso di psicoterapia non volendo, mi sembra di capire, riaprire la porta con la "vecchia" professionista?
Non solo ora lei avrebbe un'altra età ma anche altri sogni o magari altri vissuti, pensieri, emozioni e preoccupazioni da raccontare e da esplorare meglio. In questo nuovo percorso potrebbe anche rimettersi in gioco lei dandosi non solo come obiettivo una riformulazione del rapporto con mamma ma anche magari far riemergere alcune risorse che mi sembra ad oggi non sempre lei riesce a vedersi o riconoscersi. Potrebbe, altrimenti, anche vederlo come modalità altra di osservare queste emozioni e pensieri negativi, essere anche supportata e non giudicata.
Resto a disposizione per informazioni, richieste, domande o eventuale consulenza.
Cordialmente
Dott.ssa Federica Ciocca
Psicologa e psicoterapeuta
Ricevo a Torino, Collegno e online
Psicologa Psicoterapeuta cognitivo-costruttivista - Torino