Forti dubbi sul comportamento del mio psicoterapeuta
Salve
sono nove mesi che porto avanti un percorso di psicoterapia sistemico relazionale. Sono più consapevole delle dinamiche familiari disfunzionali all'origine dei miei problemi, ma non ho fatto altro che peggiorare. Ho 26 anni, 2\3 amicizie, mai avuto rapporti sentimentali, ho studiato cose che odio, ho avuto attacchi di panico e l'inizio della depressione quando ho iniziato a lavorare nel campo legato ai miei odiosi studi. Ancora oggi se ne sento solo parlare mi sento male, ho preso psicofarmaci per 3 anni per poi smettere da sola.
Sono peggiorata nove mesi fa quando mio padre ha tentato di riportarmi in quel mondo lavorativo. Ora mi ritrovo a non aver costruito nient'altro, perché non sono riuscita a ribellarmi e ad iniziare.
Dopo saltuarie esperienze lavorative, mi ritrovo ad aver lasciato il mio precedente lavoro da AEC con ragazzi disabili che svolgevo con passione e ad essere una persona vuota , frustata dal fatto di non essere mai riuscita a inscriversi all'università che desidera per il muro soffocante di mio padre che mi sta distruggendo e con l'angoscia di finire da un momento all'altro nell'ex lavoro di mio padre.
Lui é andato in pensione molto presto l'anno della mia maturità e da lì mi ha distrutto e portato allo sbaraglio, tentando di attuare i suoi piani e organizzarmi la vita.
Insieme a mia madre, sua succube, hanno quasi fatto i debiti e si sono sbrigati ad acquistare l'appartamento al piano di sopra al nostro per evitare che possa mai allontanarmi. Hanno deciso che farò il lavoro di mio padre basato su ciò che mi ha scatenato attacchi di panico e depressione e vivrò sopra di loro, senza privacy e constantemente disponibile ad aiutare loro che sono anziani. Dicono che dopo tutto quello che faccio passare loro per i miei comportamenti malati il minimo é dover badare a loro.
Per quanto riguarda il rapporto con il mio terapeuta, gli ho parlato chiaramente dei miei sintomi invalidanti, della mia maturata mancanza di fiducia in lui ma nulla. Ogni volta che esco da una seduta sto sempre peggio.
Il mio desiderio di farla finita aumenta perché mi sento sola. Non sento più emozioni positive da anni e prevale l'angoscia. Ho un filtro che appiattisce tutto. Non riesco a lavorare, piango e rimetto spesso. Pratico autolesionismo da mesi per sfogare l'odio e tentare di stare calma e ancorata alla realtà. Sono perennemente distrutta, la testa mi pulsa. La sua superficialità mi distrugge. Sono mesi che gli chiedo se non sia il caso di rivolgersi ad un medico ma mi dice di aspettare e vedere mentre io mi contorco sempre più in me stessa. Sto affrontando sintomi devastanti da sola. Ogni volta che mi dice che qualsiasi cosa dipende da me e lui non può farci nulla crollo. Da sola non ce la faccio anche perché devo nascondere i mie sintomi a casa.
Vi chiedo gentilmente di chiarirmi le idee su alcuni suoi comportamenti.
1. non sono mai stati fissati obiettivi e ogni volta si parla a seduta di quel che capita nonostante avessi detto più volte i miei problemi. Mi risponde che gli obiettivi non sono fissi e cambiano con il tempo in Base a cosa dico. Inoltre non mi può dire neanche in linea di massima quante sedute e quanto tempo occorre ma parla di anni.
2. con fatica sono riuscita a portare i miei genitori a tre sedute. Lui non ha fatto altro che rafforzarli facendo loro i complimenti perché li capisce in quanto genitore anche lui. Ha inserito in maniera vaga e indiretta l'idea di un mio probabile percorso universitario. Mi ha poi ripetuto che lui non dirà mai nulla ai miei genitori del loro comportamento disfunzionale perché non è il suo compito
3. mi ha detto che non ci può fare niente se non provo fiducia. Lui in me la prova ma io no ed è un problema che devo risolvere da sola perché nessuno potrà mai aiutarmi. Mi sono fatta aspettative eccessive dalla psicoterapia perché lui può solo provare lentamente a riflettere su eventuali mie risorse interiori. Pensa che io cerchi un padre che mi risolva i problemi mentre io tento solo di trovare qualcuno che mi orienti. So bene che devo essere io a passare all'azione.
Mi ha detto tante volte che se un paziente sceglie di suicidarsi a lui non interessa perché singifica che ha fatto la sua scelta e hanno vinto le resistenze. Il paziente non ce l'ha fatta, ma il problema é suo, lui non può fare nulla.
Vi prego, ditemi che la psicologia non è questo e che ho speranza di trovare un esperto che sia concretamente interessato a migliorare la salute del paziente e che lo possa orientare, nei momenti più bui e pericolosi per la sua salute, in eventuali soluzioni che ovviamente sarà il paziente a dover scegliere e praticare.
Vi ringrazio per l'attenzione e spero possiate chiarire i mie dubbi sul suo comportamento.
Salve Valentina,
suppongo che queste frasi non siano bastate a descrivere pienamente quello che vivi ma sono sufficienti per comunicare, attraverso le tue parole, un profondo disagio. Non entro in merito al lavoro del collega che ti sta seguendo ma quello che posso dirti è che la scelta dello psicoterapeuta è importante. Il rapporto tra paziente e psicologo è parte del percorso di cambiamento, ossia se non vi è fiducia, compatibilità da entrambe le parti e per qualsiasi motivo, difficilmente porterà frutti positivi per la crescita personale ed il miglioramento della condizione problematica del paziente. Detto ciò, sentiti libera di scegliere a chi affidare le tue difficoltà per ricevere un adeguato ed efficace supporto. Per mia esperienza, posso dirti che, con il paziente si "trascorre 1 ora insieme" circa durante la settimana, nel resto delle ore (167) dove non è presente il terapeuta, è essenziale che il paziente inizi piano piano, step dopo step, a percorrere il suo cammino per raggiungere degli obiettivi chiari, concreti e realmente possibili da stabilire insieme e, soprattutto, partendo dalle risorse, dai bisogni, dai limiti ma anche dalle qualità che il paziente possiede....Che tu possiedi!
Rimango a disposizione per eventuali altri dubbi o domande.