Ho dato tutto ciò che avevo... Ora non mi rimane più niente.
Buongiorno,
sono sempre stata un po’ particolare, già da bimba, però sempre adeguata agli occhi degli altri. D’altronde, rispecchio perfettamente la mia famiglia: una famiglia come tante per gli altri, benestante, con tre figli in salute... Con relazioni disfunzionali e tanti segreti al suo interno. I miei genitori hanno un’infanzia traumatica alle spalle. Mio nonno materno è morto per abuso di alcol quando mia mamma era bambina. Si racconta che abbia cominciato a bere quando la sorella di mia mamma, primogenita, è bruciata viva a 7 anni (correva attorno ad un fuoco). Da quel momento mio nonno diventò anche violento, soprattutto con la moglie. La nonna materna soffriva di depressione e ci ha lasciati presto, quando mia mamma aveva circa la mia età (sui 30 anni). Il fratello di mia mamma è morto di droga qualche anno più tardi. La famiglia di mio papà non è messa meglio. La nonna paterna è scappata dalla guerra, fratelli fucilati alle spalle, e ha sposato un uomo freddo e autoritario. Io l’ho conosciuta depressa e non si è mai ripresa. Penso che i miei nonni non ci abbiamo neppure voluto bene, a me e ai miei fratelli. Mia mamma si mostra sempre sorridente e socievole, anche quando sta soffrendo. Fa semplicemente finta che nulla succeda. Ho imparato presto a capire quando soffre e a preoccuparmi di lei... Mia mamma ha il difetto che accetterebbe qualsiasi cosa, soprattutto da mio padre, senza alcun rispetto per se stessa. La dualità di mio padre ha sempre messo sotto sopra tutta la famiglia. Dolcissimo e bisognoso come un bambino, con pochissima autonomia, oppure aggressivo e senza controllo. L’aspetto più sconcertante è la sua incoerenza: se deve scoppiare scoppia, poco importa quale sia il motivo. A volte il motivo semplicemente non c’è e ne trova uno a caso. Urla come un pazzo, diventa paonazzo, tossisce, trema, insulta (“devi proprio essere scema”), ci colpevolizza (“io non so perché voi siete così”, “per fortuna che nella vita ho il lavoro che mi dà soddisfazione”), poi più nulla... Da un momento all’altro tutto si normalizza e mia mamma ci racconta la barzelletta che “è normale. Gli uomini sono così, in tutte le case succede”. Quando ero bimba non riuscivo a concentrarmi a scuola, non ascoltavo mai. Ero una bambina che “guardava tutto il giorno dalla finestra”, però avevo degli amici e buoni voti. Avevo un problema più grande di me che mi angosciava... In situazioni di stress tremavo tantissimo (quando mi chiamavano alla lavagna ad esempio) e vivevo questi momenti come delle umiliazioni tremende. Una volta ci hanno chiesto di pensare al desiderio più grande e io ho pensato che non volevo più tremare. Tutti vedevano, nessuno se n’è mai occupato. Pregavo tutte le sere, sperando che ci fosse qualcuno pronto ad ascoltare. Oggi ho “risolto” il problema con i betabloccanti. Comunque, ritornando indietro... A 15 anni non volevo saperne dei maschi, ero convinta che fossero tutti uguali. I miei compagni pensavano fossi lesbica. Pian piano sono cambiata, perché ho capito che il problema ero io e non loro, ma questo cambiamento ha avuto e ha tuttora delle conseguenze. A 18 anni la mia vita sociale si è fatta più intensa, ho cominciato ad avere le prime storie, ma si è bloccato l’intestino e non è più ripartito. Paralizzato completamente. Non vi dico quante volte sono stata dal medico e quanti esami mi sono stati fatti. L’intestino è sano. I rapporti sessuali mi creano stress e non provo alcun piacere, ma sono bravissima a recitare, quindi non si è mai accorto nessuno. E non l’ho mai confidato a nessuno... Ho pensato di andare da un sessuologo, ma sarebbe uno sforzo inutile. Mi chiedo se il mio corpo riprenderà mai a funzionare. Nonostante una fatica incredibile a tenere la concentrazione, mi sono laureata e ho un bel lavoro. Ho sempre avuto molta fiducia nella mia intelligenza, ma per niente nel mio impegno. Il mio lavoro è bello, ma mi chiede di relazionarmi spesso con le persone e lo vivo come uno stress. Arrossisco molto facilmente e questo problema mi fa soffrire. Non ho mai avuto intenzione di evitare le professioni sociali, anzi ne sono attratta, e mi chiedo quanto questo atteggiamento peggiori le cose. Non potevo fare l’impiegata? Così mi complico la vita. Nel tempo libero mi sento spesso a disagio nei gruppi, non riesco ad essere spontanea, e istintivamente non mi fido delle persone, anche se razionalmente lo so che non ne ho alcun motivo. Mi sento costantemente sbagliata. In realtà, a me piace stare in mezzo alla gente e cerco sempre compagnia. È come se ci fossero due me: la donna che vuole emergere e la bimba che ha paura. La parte buona e la parte cattiva che non sono integrate. In generale le persone mi vogliono bene facilmente, sono buona e sorridente, ma mi ritengono fragile. Ho avuto delle relazioni con dei ragazzi in passato, durate diversi anni, ma non mi sono mai sentita “a casa” e temo che, nonostante non fossero i compagni giusti, non dipenda da loro. Ora è da cinque anni che sono sola. Gli uomini si interessano a me, mi ritengono bella, ma poi rinunciano. Ogni volta che qualcuno si allontana mi conferma che valgo poco, perdo una parte di me, della mia sicurezza e della mia autostima (ormai inesistente). Chi dice “Non hai niente da perdere se ci provi” non fa bene i conti con la realtà... Sono sempre stata un po’ sottotono, ma ho anche sempre avuto mille motivazioni e obiettivi. Prevedevo un futuro migliore per me, tra alti e bassi. Ho fatto di tutto per stare bene e per far stare bene gli altri... Oggi ci ho rinunciato perché nulla di ciò che ho fatto porta ad una soluzione. Sono caduta in una depressione abbastanza importante. Il mio corpo fa ciò che vuole, ha delle reazioni esagerate, che davvero non capisco. Non ho risolto i problemi intestinali, né quelli sessuali. Perdo un sacco di capelli e ho pensato ad una protesi. Ho livelli di istamina lati nel sangue e, oltre alle continue infiammazioni, non posso più mangiare diversi alimenti (mi provocano reazioni pseudoallergiche e sono a rischio di anafilassi). Ho rinunciato a trovare qualcuno. Sto imparando a convivere con ansia sociale e reazioni annesse, perché io d’altronde alla vita sociale non rinuncio. Ho sempre fatto psicoterapia, ma non è sufficiente, perché si lavora troppo sul pensiero, ma io penso già bene. Forse avrei bisogno di un farmaco? Potrebbe migliorare i problemi fisici, oltre a quelli d’umore?
Grazie per il tempo che dedicate alle persone e cari saluti.
Gentile Chiara, la sua vita e quella dei suoi familiari sembra un romanzo denso e cupo, dalla cui trama è estremamente difficile uscire. Mi ha molto colpito la somiglianza con la storia di un mio ex paziente, che per motivi di privacy non racconto. Ma posso dirle che questa persona ora sta molto meglio e che dopo alcuni anni di psicoterapia psicoanalitica e un breve periodo di supporto farmacologico (ho lavorato in collaborazione con una psichiatra), ha imparato a convivere con la sua pesantissima storia, spezzando alcuni legami tossici e mutando certi meccanismi nocivi appresi in passato. Non la conosco e non so dirle se nel suo caso ci sia bisogno anche di una stampella farmacologica per un po'. Ne parli con il suo terapeuta. E non pensi che non le rimanga più niente. Se ci ha scritto qui è perché, giustamente, la speranza non è morta. Se necessita, mi ricontatti pure con il modulo apposito. Io ricevo a Monza. Moltissimi auguri