Psicologo, Psicoterapeuta cognitivo comportamentale
Dove sta l'errore?
Oltre dieci anni fa conosco una donna mia coetanea (40 anni) . Io single lei con una figlia di 13 anni, avuta da un precedente matrimonio, ma separata da 7/8 anni. Lei aveva avuto già altre due storie successive alla separazione. Sinceramente preso dal sentimento e dal piacere non ho dato il giusto peso al fatto che lei avesse una figlia e siccome ne volevamo uno anche noi, dopo un anno decidiamo di andare a vivere insieme. Il figlio è arrivato l'anno dopo.
All'inizio con la ragazza i rapporti erano tranquilli, io cercavo di farmela amica e non di fare il padre perché lei lo aveva e lo vedeva spesso.
Entrati in casa nostra, chiaramente seppur non ero il padre volevo che cmq venissero rispettate le mie regole di casa, regole che venivano cmq in gran parte condivise anche dalla madre. La ragazza di suo non era una persona socievole, molto chiusa e lo è anche oggi nonostante abbia ormai 27 anni. Cmq sia mi teneva ad una certa distanza e lo stesso faceva con la mia famiglia di provenienza, cosa che confesso mi dava molto fastidio. Con l'adolescenza poi non vi dico. Le regole non esistevano proprio e io non volendo andare allo scontro, mandavo avanti la madre, che però non riusciva per niente a farsi ascoltare, di conseguenza ritenevo di subire oltre il dovuto e me la prendevo con lei.
La ragazza si allontava sempre più da me, perché capiva che certe cose che le diceva la madre venissero da me. Insomma la mia autorità era quasi pari a zero e ne soffrivo, mi sentivo con due piedi in una scarpa, in casa mia.
Sinceramente dopo qualche anno ero saturo e ho sempre incolpato la madre di questo e quindi giù discussioni giornaliere.
Oggi è finita, siamo separati (cosa che avevio previsto e più volte detto a lei) chiaramente non solo per questo, ma per quanto mi riguarda il mio rapporto con la figlia ha impattato tantissimo su noi, anche perché ha creato nel tempo delle astosità che poi si riflettevano anche in altre situazioni, ma la mia compagna continua a dire che dovevo io trovare un canale di comunicazione con la figlia, io sostengo che non mi è stato mai permesso dalla ragazza, ci ho provato più volte, non ho mai avuto litigi con lei, ad un certo punto ho rinunciato a qualsiasi richiamo nei suoi confronti, anche perché io non sono uno molto paziente e la ragazza è peggio di me.
Aldilà di tutto questo una domanda mi resta, a chi toccava far riconoscere la mia autorità in casa, a me o alla madre? Ad esempio, lei non l'ha scridava mai davanti a me, è successo si e no 3/4 volte in 13 anni, poi o aspettava che io non ci fossi oppure addirittura si chiudevano in camera della ragazza e se io provavo ad entrare per capire cosa stesse accadendo, non mi veniva cocesso, ovviamente dalla madre. Questo a parer mio non ha fatto altro che ridurre ancora di più la mia figura agli occhi della ragazza. Io ero l'estraneo, seppur ero il padre del fratello.
Scusate la lunghezza del post.
Saluti
Salve Marco, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè posso comprendere il disagio provocato da questa situazione e quanto possa essere impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare strategie utili per identificare e gestire quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL