Processi cognitivi del benessere: la mindfulness
Processi cognitivi del benessere: la mindfulness
di Gaia Vicenzi
Le life skills sono riconosciute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come le competenze necessarie per la costruzione e il mantenimento del benessere soggettivo, in quanto abilità che ci permettono di affrontare con efficacia le sfide e le richieste del nostro agire quotidiano. Le stesse (che sono considerate dieci) sono state raggruppate in tre aree: abilità cognitive, emotive e relazionali. Sono considerate competenze relazionali l’empatia, la comunicazione efficace e le relazioni efficaci. Sono considerate competenze cognitive la capacità di risolvere i problemi, di prendere decisioni, il senso critico e la creatività. Sono considerare competenze emotive la consapevolezza di sè, la capacità di gestire le emozioni e lo stress.
Credo che ognuna delle dieci abilità, e in particolare le abilità emotive, per poter essere appresa e applicata necessiti della capacità di essere “mindfulness”.
La mindfulness è la capacità di portare volontariamente l’attenzione al momento presente in modo non giudicante (Kabat-Zinn, 1994).
La mindfulness è l’effetto della pratica della meditazione, intesa come l’esercizio della mente di riportare l’attenzione al momento presente, concentrandosi sullo stesso e lì tornando ogni volta ci si accorga che la stessa attenzione sia stata sviata da un flusso di pensieri, di ricordi, di immagini o da una generica assenza di consapevolezza.
Ci sono diversi tipi di meditazione; ciò che varia nelle stesse è il focus su cui viene portata la concentrazione: sulle sensazioni del respiro, del corpo, di un’immagine, di un suono o sulla consapevolezza aperta indistintamente a tutto ciò che accade nel momento presente. Inoltre, si distinguono le pratiche della meditazione formale da quelle della meditazione informale, in cui la concentrazione è portata su ciò che si sta facendo, inserendo l’azione stessa in una pausa significativa di consapevolezza.
La psicologia clinica ha adottato diverse forme di meditazione come strumento per la cura dei disturbi psicologici. Uno di questi metodi è quello individuato da Kabat-Zinn, l’MBSR: Mindfulness Based Stress Reduction. Kabat-Zinn negli anni ’70 ha fondato la Stress Reduction Clinic, in cui veniva fornito un programma per la riduzione dello stress basato sulla mindfulness. Da allora sono stati proposti centinaia e centinaia di interventi rivolti ad implementare le risorse emotive, la capacità di gestire le emozioni e lo stress in persone con diversi disturbi (cardiopatie, cancro, AIDS, dolore cronico, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia e attacchi di panico, cefalee, ipertensione, disturbi gastrointestinali…Segal et al, 2006). Le evidenze a conferma della validità dei risultati ottenuti sono confermate da centinaia di articoli della letteratura scientifica che si è interessata di approfondirne i risultati con procedure di misurazione validate.
E’ riconosciuta l’efficacia dei risultati sulla prevenzione delle ricadute nei disturbi depressivi dopo un intervento della Mindfulness Based Cognitive Therapy (MBCT, di Segale, Teasdale, Williams); ugualmente la mindfulness è considerata uno strumento importante all’interno della Dialectical Behavior Therapy (DBT di Linehan) e dell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT di Hayes, Stroshal e Wilson).
Ognuno di questi programmi identifica l’importanza di “allenare” la mente - quale che sia il centro dell’attenzione in un determinato momento- a permettere ai pensieri, ai sentimenti e alle sensazioni di andare e venire, senza giudizio, osservandone il flusso senza forzarlo, prendendone atto e lasciandolo correre “in modo gentile”.
Goldin descrive il processo della meditazione mindfulness con un modello circolare: in primo luogo vi deve essere l’intenzione di meditare (per ridurre lo stress, aumentare il benessere, esplorare il proprio sé): questa porta a voler seguire il proprio respiro dirigendo su di esso l’attenzione (con concentrazione, aperta consapevolezza, calma, in un flusso continuo). Accadrà prima o poi di essere distratti (l’attenzione si sposterà su ruminazioni, preoccupazioni, pensieri erranti e senza logica, sopore o sonnolenza). E’ in questo stato che occorre riguadagnare il focus dell’attenzione, con un atteggiamento senza giudizio, senza criticismo, con curiosità e gentilezza riportando l’attenzione sul respiro e ritornando così all’inizio del processo.
I meccanismi cognitivi implicati della mindfulness sono diversi. Vi è il decentramento dalle proprie emozioni, dai propri pensieri, dalle nostre immagini: l’osservazione non giudicante di questi porta a disidentificarsi con gli stessi. Noi non siamo le nostre emozioni e i nostri pensieri: questi scorrono semplicemente dentro di noi ma non sono noi. Inoltre, vi è un’attenzione focalizzata, ovvero il processo per cui porto e mantengo l’attenzione su uno stimolo in modo volontario. Anche la regolazione emotiva è implicata nel processo: non seguire i pensieri e le emozioni ma ricentrarsi sul momento presente riduce la carica emotiva di cui si impregnano quando la mente insegue la mente. Ciò porta ad un cambiamento nella visione di sé e riduce i pensieri negativi e le ruminazioni.
Un’importante area di applicazione della mindfulness si colloca nella cura del disturbo di ansia sociale, che – tra i disturbi psichiatrici- è fra i più comuni e diffusi. L’80% delle persone che ne sono affette ha iniziato a soffrirne prima dei 18 anni (Otto et al, 2001) e spesso precede – se non curato- lo sviluppo di depressione, abuso di sostanze e altri disturbi d’ansia (anche in connessione con il fatto che molte persone lasciano la scuola e l’università a causa dell’ansia sociale).
Quando una situazione sociale è vissuta come ansiogena, questa fa scattare automaticamente una visione distorta del sé (“io non sono come dovrei essere”, “io non sarò gradito”) che fa vivere la situazione come pericolosa (“questa situazione è un pericolo per me”) e questo induce ad un rapidissimo spostamento dell’attenzione ai processi che avvengono dentro di sé: la persona non guarda a ciò che accade fuori (dove nulla è davvero un pericolo) ma è solamente consapevole di ciò che sta provando internamente e questo rinforza il disagio. L’effetto di questo processo è duplice: da un lato si tende ad evitare le situazioni ansiogene, dall’altro si attivano sempre più pensieri negativi e sintomi somatici; questi due elementi si influenzano a vicenda, amplificandosi. Ciò che mantiene in vita l’ansia sociale è la presenza di pensieri negativi sul proprio sé e l’attenzione selettiva sulle credenze negative che nel corso del tempo una persona ha strutturato su di sé.
Studi condotti con la fMRI (Immagini di Risonanza Magnetica Funzionale) hanno dimostrato che soggetti che hanno partecipato al programma di due mesi della mindfulness per la riduzione dello stress (MBSR) sono in grado – in modo significativamente differente rispetto a gruppi di soggetti che non meditano- di identificare le emozioni e di regolarle in modo efficace.
Altri studi hanno dimostrato che gli effetti benefici di venti minuti al giorno di meditazione si possono osservare già dopo una settimana dall’inizio della pratica.
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