Non riesco ad accettare la morte di mio padre

Ho perso il mio papà due mesi fa, dopo nemmeno sei settimane di malattia. Malattia che gli è stata diagnosticata quasi per caso e annunciata come se fosse una semplice unghia incarnita; io ero lì con lui e ho visto con i miei occhi il trasformarsi di quell'uomo forte e gigante in un bambino impaurito ma dignitoso che ha chiesto con un filo di voce quanto gli rimaneva da vivere. Abbiamo tenuto questo segreto (per sua volontà) solo per noi, fino a quando la malattia non ha iniziato a segnarlo e mia madre ha capito tutto. Lui voleva solo proteggerla, non voleva darle questo dolore.
Mio papà aveva, ha, 59 anni. Una vita di lavoro, di fatica, di sacrificio, solo per creare un futuro migliore a me, sua unica bambina ormai di 34 anni. Ma per lui sempre la sua bambina.
Quel dannato giorno gli ho promesso che avrei fatto ogni cosa per salvarlo e guardandolo negli occhi gli ho assicurato che l'avrei fatto guarire: ho passato le successive cinque settimane a girare disperata per ogni ospedale, clinica, santone nel raggio di 700 km e mi sento in colpa per non aver mantenuto la promessa. Ma io ci credevo, io credevo di poterlo salvare.
Sono stata con lui fino all'ultimo respiro, all'ultimo battito, incredula. Ma non avrei mai voluto lasciarlo andare.
Mio papà è stato ed è il mio grande amore. Padre severo quando necessario, era anche il mio migliore amico, il mio confidente, il mio "compagno di misfatti", come ci piaceva dire quando facevamo scherzi a mia madre. Ha compreso la mia ribellione adolescenziale, ha assecondato le mie piccole pazzie, era presente sempre, anche da lontano. Era il mio più prezioso punto di riferimento.
Dopo aver passato il primo mese dalla sua morte nella totale negazione della cosa, come se il mio cervello non potesse nemmeno pensare a quello che fosse successo per non impazzire, mi ritrovo con una montagna crollata addosso. Non riesco più a fare nulla, se non ingozzarmi di cibo -credo- per riempire il vuoto. Mia madre è completamente crollata e faccio di tutto per non farmi vedere a piangere per darle un po' di forza.
Mi rendo conto della sciocchezza della cosa ma continuo a cercare un modo per far tornare in vita mio padre, come se esistesse una magia così potente da riportarmelo. Sono tormentata dal pensiero di quello che avrebbe desiderato fare in futuro (era appena andato in pensione) e che non potrà mai fare; tormentata dal pensiero di ciò che avevamo in programma di vedere insieme. Ma soprattutto tormentata dal pensiero che mio padre non ci sarà più nei momenti più importanti sia belli che brutti della mia vita.
Mi sento come se mi avessero tagliato una gamba, come se avessi una voragine di vuoto al centro dello sterno e io, sinceramente, non riesco più a fare nulla.
Credo di essere stata molto prolissa, perdonatemi. Ma non so più come gestire il dolore.

Cara Claudia le sono vicina con il grande dolore che sta provando.

Lo so che le parole possono sembrare inutili, ma io provo ugualmente.

Gli studiosi ci dicono che una perdita affettivamente importante richiede del tempo per essere elaborata.

Elaborarla non significherà che lei non proverà nostalgia, tenerezza e dolore ripensando al suo papà, ma che non ne sarà devastata.

Di solito la prima fase corrisponde ad una forma di incredulità e rifiuto dell'evento.

Successivamente si farà in modo di fare le stesse cose della persona, si conserveranno gli oggetti, le idee ecc in modo da tenere giustamente legata a noi la sua immagine.

Successivamente e lentamente lei vedrà che il dolore diminuirà e riuscirà a circoscriverlo in una parte del suo cuore, nella quale il suo papà sarà sempre presente in lei, ma come aiuto per lei.

Vorrei che queste parole la aiutassero a considerare che il tempo è un grande alleato nella gestione del dolore.

Solo se ritiene di essere in grande difficoltà può richiedere un sostegno per lei.

Un augurio

Giordana Milani

domande e risposte

Dott.ssaGiordana Milani

Psicologo clinico - Biella

  • Disagio o difficoltà relazionali sociali, di coppia o familiari
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