Gentile Naiji, senza voler togliere nulla all’importanza delle diagnosi, alle volte, tuttavia, queste rischiano di diventare delle mere etichette che ci vengono “appiccicate” addosso e che poco o nulla ci dicono su chi siamo realmente e su quale sia il nostro vissuto. Mi spiego meglio; se lei cerca di dare un senso al suo desiderio di voler andare via in un altro paese, attraverso l’agorafobia, non può che giungere a quello che ha definito giustamente un “paradosso”. È evidente che l’agorafobia non deve essere considerata il suo vero problema, ma soltanto la modalità con cui il problema si manifesta. Le faccio un esempio: se mentre viaggia in auto le si accende la spia della benzina, vuol dire che la benzina sta per terminare e la spia serve a segnalarglielo. L’agorafobia, come la spia della benzina, le segnala che c’è un problema, si tratta di capire qual è. Ovviamente i dati in mio possesso sono esigui, ma la inviterei a riflettere su due elementi: 1) il problema, qualunque sia, è legato ad un episodio che risale a poco più di un anno fa (qualche tempo dopo, infatti, si accende la “spia” dell’agorafobia, 2) lei ritiene che allontanandosi potrebbe stare meglio, quindi il problema è circoscritto all’ambiente in cui vive, sia inteso come luogo fisico, sia (e ritengo soprattutto) inteso come persone che la circondano. Spero di esserle stato d’aiuto. La saluto cordialmente