Attacco di panico: la paura di morire
All’improvviso si fa tutto confuso, l’aria sembra più rarefatta, come se facesse fatica ad entrare dal naso per andare a riempire i polmoni. Non è successo niente, ma sembra che il mondo stia per finire, che la morte sia dietro l’angolo e che il corpo e tutti gli organi interni si stiano ribellando al controllo della mente, per sfuggirle e distruggerci.
Le mani si informicolano, a volte anche le gambe, si ha la sensazione di avere un mattone appoggiato al torace, che fatica a muoversi ritmicamente per riempirsi d’aria. La gola si stringe, sembra di soffocare, si suda tanto, anche se tutti intorno sembrano perfettamente a proprio agio con la temperatura dell’ambiente.
In un attimo il panico ha preso il sopravvento, la sensazione di morte imminente provoca una forte reazione di allarme che fa battere all’impazzata il cuore, mobilitando tutto il corpo e coinvolgendo tutti i sensi.
Quando accade che si verifichi un attacco di panico ci sono tante cose che si possono fare, ma soprattutto alcune da non fare.
Non credo che ci possa essere una modalità standard per capire come comportarsi, dal momento che ogni persona è a sé e anche ogni attacco di panico lo è, ma possiamo cercare di stare un po’ meglio mentre il panico ci attraversa e anche come aiutare qualcuno che magari sta avendo un attacco di panico proprio in nostra presenza.
L’attacco di panico è una risposta irrazionale ad un qualcosa che avvertiamo come minaccioso; la stragrande maggioranza delle volte questa minaccia non è avvertita in modo cosciente ma è frutto di un conflitto a livello inconscio che, con l’aiuto di un terapeuta può essere osservato da vicino e sciolto, eliminando gli attacchi di panico.
Quello che differenzia la paura dall’attacco di panico è che la prima nasce da un pericolo reale, mentre l’attacco di panico origina da un rischio inesistente, un qualcosa di virtuale che fa scattare l’allarme nel nostro cervello, provocando forti reazioni fisiche e psicologiche, come una esasperata interpretazione dei sintomi.
La prima cosa da fare, quando si verifica un attacco di panico, è saperlo riconoscere: la sensazione di malessere grave che si percepisce e lo stato di poca lucidità che ne consegue portano spesso a confonderlo con un malessere fisico per cui si richiede l’intervento del primo soccorso. Se si soffre di attacchi di panico ci sono delle costanti che si ripropongono ad ogni attacco, una sorta di “schema” dell’attacco. Nel momento in cui lo si riconosce già si è circoscritto il problema e una parte del nostro cervello si mette tranquilla, sapendo che è “solo” un attacco di panico e non un infarto.
La seconda cosa da fare è respirare. Fino a qualche tempo fa veniva suggerito di respirare all’interno di un sacchetto di carta, pratica ora sconsigliata poiché inefficace. La cosa migliore è trovare il proprio ritmo di respirazione, dapprima sicuramente molto affannosa, poi più rilassata, provando ad utilizzare il diaframma, in modo da avere un respiro più profondo. Si può provare con la tecnica 5-2-5, ovvero inalare profondamente dal naso, facendo gonfiare il ventre piuttosto che il torace per 5 secondi, trattenere l’aria per 2 secondi, dilatando cosi il diaframma, ed espirare per altri 5 secondi.
Questo semplice esercizio, ripetuto per almeno 5 volte, consente al corpo di ossigenarsi adeguatamente, dopo l’affanno iniziale. Inoltre, concentrandosi sul conto dei secondi, si distoglie, temporaneamente, l’attenzione dall’attacco di panico.
Ho usato più volte il verbo “sembrare”: nell’attacco di panico sembra che stia avvenendo una catastrofe, sembra di morire, sembra di impazzire. È tutto nella nostra mente, in realtà il nostro corpo è sì in allerta, ma non ci sta abbandonando.
Ripetersi più volte che ci sembra solo di morire, che in realtà stiamo respirando e che è solo una bruttissima sensazione ci aiuta a riportare uno stato di relativa quiete.
Mentre si verifica il momento di panico c’è una sorta di blocco del pensiero ma possiamo provare a distogliere l’attenzione, concentrandoci, ad esempio, su un rompicapo, su un programma televisivo, su qualche faccenda domestica. Solo impedendo al panico di dominarci possiamo superarlo.
Più ci opponiamo all’attacco di panico e più lo temiamo, più acquista importanza e potere su di noi: accoglierlo e aspettare che passi, perché passa sempre dopo qualche minuto, lo rende meno totalizzante.
Un’altra cosa importante può essere la condivisione: spiegare a chi ci sta intorno cosa ci accade, descrivere le emozioni e le sensazioni che ci colgono insieme all’attacco di panico è un modo per evitare quel senso di solitudine che spesso le persone raccontano: molte volte viene minimizzato tutto con un “dai cerca di respirare che adesso passa” e questo non fa che aumentare il disagio e il senso di inadeguatezza. Chiedere aiuto, spiegando cosa può far stare meglio in quei momenti e cosa invece aumenta il disagio è un modo per tutelarsi e aiutare anche chi ci sta intorno ad aiutarci. Spesso infatti le persone non comprendono la portata dell’attacco di panico e sapendo che è una cosa “creata dal cervello” pensano che basti non pensarci per farlo passare.
Chi soffre di panico sa che non è cosi semplice e sa anche che sentire minimizzato il malessere che si sta provando non fa altro che aumentare il livello di ansia. A volte chi ha un attacco di panico sente il bisogno di essere rassicurato sul fatto che non sta morendo, oppure desidera un contenimento fisico, magari con un abbraccio, o ancora desidera solitudine. Oppure se è in auto magari desidera fermarsi e fare due passi per respirare. L’altro non ha il potere di curarci, ma può aiutarci assecondando quello che in questi momenti ci può far stare meglio. Non bisogna vivere in funzione degli attacchi di panico, ma bisogna dar loro l’importanza che di fatto hanno nella nostra vita, nell’attesa che passino, con l’aiuto di un terapeuta.
Come ho scritto prima, alla base dell’attacco di panico c’è un conflitto, spesso inconscio: chiedere l’aiuto di un terapeuta, con il quale andare alla radice di questo conflitto è il modo migliore per superare il momento di difficoltà e riprendere a vivere una vita libera, dal momento che gli attacchi di panico sono una grande limitazione della libertà delle persone.
L’attacco di panico, infatti, è una sorta di arresto domiciliare forzato: all’improvviso non si riesce più ad andare in auto, negli ascensori, nei centri commerciali, al cinema… Non c’è nulla di cui vergognarsi, gli attacchi di panico sono molto più diffusi di quello che si crede (A Roma una persona su 4 soffre di questo disturbo e ad essere più colpite sono le donne laureate tra i 25 e i 54 anni, Eurodap 2014).
L’aiuto di un terapeuta è necessario anche per ricostruire l’immagine di sé, momentaneamente intaccata dal panico: non riuscire a gestire l’ansia in maniera adattiva, infatti, ha delle conseguenze anche nel modo di percepirsi, nel rapporto con il proprio corpo e quindi anche nella sfera sessuale.
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