Fiducia e Relazione terapeutica

Buongiorno,

Il tema che portò in evidenza è “La relazione terapeutica”. Non capisco perché la mia terapeuta mi metta in difficoltà volontariamente. Mi parla che devo avere fiducia nella relazione in lei che devo aprirmi che la terapia si fa in presenza (è una fissa sta cosa della presenza) ma poi mi mette all’angolo del ring e mi colpisce. Sento il lei una totale rigidità e silenzio. Mancanza di confronto e dialogo. Io sono il paziente io sono colui che ha bisogno e son fatto male è chiaro il messaggio. Lei lavora così per cui o mi adeguo o mi cerco un altro terapeuta. Ma dico non è che perché una cosa è difficile si molla. Ma scherziamo.... e poi la stimo è una professionista de coccio!!!!! E io non sono da meno.

Mi sono aperto evidenziando gli aspetti che non so gestire. I miei limiti e difficoltà. E lei mi sta mettendo in difficoltà proprio su tali aspetti. Sono incazzato con i miei limiti frustrato dalle regole imposte dal setting ma determinato a non mollare.

Non critico le regole del setting, della relazione ma voglio capirne il motivo perché agisce così.

Sono consapevole che già di mio faccio una fatica enorme nel dare fiducia nell’aprirmi. La terapista ai miei occhi si sta dando da fare per mettermi in ginocchio. Mi fa star male. Non mi ascolta per per nulla e va dritta per la sua strada.

Non capisco il perché agisce così è cosa posso fare per creare la fiducia. Sono io che non sono capace di stare nella relazione terapeutica? Sono io che sbaglio approccio nei confronti della terapeuta? Mi domando sono un pessimo paziente perché non riesco a fidarmi della terapeuta e non comprendo le sue azioni?
Di mio ho un grosso difetto, non riesco a essere statico nella relazione con la terapeuta; sbaglio faccio errori ma voglio essere parte attiva nella relazione. Meglio chiedere perdono che permesso.

Ringrazio coloro che vorranno rispondere.

Caro Sisifo,

in terapia si va per stare meglio, per avere spunti di pensiero nuovi, per lavorare sui sogni.

L'analisi è apertura, è fluidità. E' certamente anche discesa nel proprio inferno, ma con un Virgilio davanti, che illumina e guida. Altrimenti dopo dieci anni si è ancora lì.

E' molto difficile, dal di fuori, decidere di mettere parola in quello che lei dice. E' molto difficile avere una opinione sugli atteggiamenti di un collega che non si conosce. Quindi non riesco a immaginarmi una risposta. 

Certo che quello che lei descrive richiama certi vecchi stereotipi delle scuole analitiche, stereotipi che spesso sono funzionali alla struttura del singolo terapeuta. Chissà, la sua sembra essersi scordata che il Guaritore è sempre ferito, e non c'è terapia comunque che debba escludere amorevolezza e vera empatia, senza bisogno di colludere col paziente. Amorevolezza ed empatia arrivano anche se c'è distanza sulle idee e sulle prassi. Casomai, si ascolti su questo lato e poi decida.

In bocca al lupo.