Soffro di bulimia, ma ho paura della psicoterapia

Salve, sono una ragazza di 21 anni e da due anni mangio e vomito (o mangio poco). Il mio peso ed il cibo sono la mia ossessione; ho iniziato da 6 mesi una terapia (per volere di mia madre) ma sinceramente la psicoterapia mi fa paura, ho il terrore che la mia analista possa cancellare tutti i miei schemi mentali ed io non collaboro..lei crede che io riesca a poter uscire da questa situazione (un problema per gli altri) senza l'aiuto di un medico?magari mettendoci tutta la mia forza di volontà? Sa alcune mattine sorrido e penso di essere guarita ma poi durante il giorno il mio umore è pessimo. Non esco più, ho lasciato il mio ragazzo e non riesco a portare a termine le mie attività..tutto sembra non avere più un senso..come posso fare per riavere una vita serena? E' giusto sentirsi in colpa per vedere il cibo come il tuo peggior nemico? Dimenticavo una cosa importante...la scorsa settimana volevo riprendere la terapia, ma l'appuntamento me lo hanno dato tra 1 mese; la società e le strutture non ascoltano i nostri bisogni...
Sono assolutamente d'accordo: le strutture non ascoltano i nostri bisogni però per i disturbi dell'alimentazione ci sono centri, si informi. d'altronde lei sta già facendo una psicoterapia, spero che con questa terapeuta riesca a dirle quello che ha detto a me, altrimenti la psicoterapia è veramente inutile. Dopo aver fatto questo, se non funziona, cerchi serenamente un altro psicoterapeuta, evidentemente non eravate fatte le une per le altre. Certo l'obiettivo della psicoterapia è quella di portare a termine i sintomi ma solo dopo averli sostituiti con la capacità di vivere più o meno normalmente. E' assolutamente normale la sua paura, ma anche questo è materiale di discussione in seduta. Non credo proprio che lei da sola possa uscirne, non per sfiducia, ma perchè lei è affetta da un problema che riguarda il controllo: del cibo ingerito, del cibo evacuato, del peso. Come potrebbe farcela da sola? Pensi solo ad uno di quelli che credo essere i problemi in psicoterapia: chi controlla chi?