Blocco emotivo, senso di colpa e insicurezza. Alla ricerca di un senso...

Buongiorno a tutti, mi chiamo Giuseppe e vivo a Verona, ho 50 anni e sono una persona fondamentalmente fragile e insicura. Infatti convivo ancora con la mia anziana e parzialmente invalida madre. Svolgo un lavoro precario che non riesco più a sopportare : operatore socio-sanitario, mi occupo di disabili ma lo stress e il burn-out mi hanno fatto allontanare parzialmente da questo lavoro sottopagato che ho sempre considerato un ripiego. Se sopravvivo è grazie a mia madre. Sono ovviamente single da una vita sebbene abbia avuto qualche breve relazione (pochissime) ma sempre senza futuro. Anche da giovane e giovanissimo non ho mai avuto successo come possibile compagno/partner, questo a causa di una bassa autostima alimentata da insuccessi scolastici e scuole non adatte. A causa di ciò i sensi di colpa per aver deluso le aspettative paterne prima, e la profonda insoddisfazione personale poi, mi hanno sempre fatto sentire “indegno” e vergognoso dei miei fallimenti.
I problemi scolastici sono poi diventati lavorativi : l’attuale impiego come operatore socio sanitario è stato un ripiego giacché anni addietro lavoravo in un settore completamente diverso ma di cui ero nauseato (operaio nel settore lapideo). Settore in cui non vedevo prospettive, inoltre la pesantezza fisica unita alle oggettive condizioni di scarsa salubrità del luogo di lavoro mi hanno fatto abbandonare tale ambiente per sempre. Senza un riferimento (mio padre era già scomparso) ho dato stupidamente retta ai consigli di un conoscente a me simile come problematiche esistenziali e disagi lavorativi da cui la sciagurata scelta di essere operatore socio sanitario. Nonostante ciò anno dopo anno cominciai a recuperare gli anni di studio persi : dopo il diploma di maturità venne la laurea ma a 37 anni e con una laurea “debole” le uniche possibilità erano di aprire p.iva e andare a fare il rappresentante a provvigione. Cosa che ho fatto ma ho capito molto presto di non esservi tagliato oltre a non saper gestire l’ansia che l’incertezza di un lavoro simile genera. Successivamente ho provato a riciclarmi come formatore (l’ennesimo ripiego) ma nonostante l’energia per garantirmi continuità lavorativa ho raccolto poco, molto poco. Deprimendomi. Del resto sono impieghi per liberi professionisti con anni di esperienza sul campo, cosa che io non potevo vantare.

In tutti questi anni privi di senso il confronto con i coetanei mi ha sempre fatto vergognare di me stesso. Tutti i vecchi conoscenti li ho visti crescere come adulti, dapprima realizzati affettivamente e compiuti come lavoratori/professionisti (quindi uomini completi e non “a metà” come me) per poi diventare mariti o compagni con una famiglia voluta e costruita.
Ma riconosco che me la sono in parte cercata, ho preferito non assumermi fin da adolescente determinate responsabilità per poi crogiolarmi nel rimpianto, nel lamento, nei sensi di colpa e nella depressione.
I fallimenti non sono mancati ma questo perché ero lontano da me, stupidamente ho seguito i consigli di persone “esterne” giacché la conoscenza di me stesso era scarsa e l’insicurezza altissima. Come ora. Infatti sono bloccato da anni, fermo, invischiato in una palude esistenziale priva di senso, con una madre anziana che rappresenta l’unica persona con cui avere un dialogo e con cui posso confidarmi ma fino ad un certo punto : non mi va di vuotare il sacco dei miei malesseri e amarezze, alla sua età non lo merita anzi meriterebbe di meglio da suo figlio.

Quando vedo una donna che mi piace scappo, evitando che possa così chiedermi : “Che lavoro fai, vivi da solo..?”. Sono bloccato nelle mie paure, nella paura di un futuro minaccioso, attirato dalle “distrazioni” anziché concentrarmi sul presente, ma l’angoscia e il disagio di affrontare una realtà ormai labirintica mi porta a lasciar correre. Mi sento svuotato e isolato giacché le poche amicizie di un tempo sono scomparse da anni anche per evitare confronti per me devastanti, e di crearmene di nuove mi è impossibile : sento di essere, apparire “strano”, poco credibile, come uno sfigato di mezza età, forse patetico.
E mi aggrappo al passato. Da decenni lo commemoro masochisticamente recandomi nei luoghi per me simbolici in cui ho vissuto emotivamente determinate situazioni. Talvolta negative. Mi ci rifugio durante le mie crisi e sento che ho perso me stesso, continuo a perdere me stesso, ripenso a quando ero lì, più giovane e coglione di adesso ma con qualche speranza in più. In questo modo fuggo dal presente anche perché di trovare motivazioni mi è quanto mai arduo. Penso si chiami accidia, come mio padre mi disse molto duramente in alcune occasioni stanco degli insuccessi scolastici e della mia inerzia. Avrei voluto vederlo orgoglioso di me e per diverso tempo ho convissuto con un senso di colpa tenace.
Cosciente del malessere ho frequentato per alcuni anni dei corsi sull’autostima ma di risultati ne ho visti pochi a parte la crescente consapevolezza cioè un sempre più visibile filo che collega anni, persone, relazioni, luoghi di lavoro, non-scelte e stati d’animo.
A questo punto cosa posso fare prima di darla vinta ai miei maledetti demoni ? Per sbloccare una situazione del genere (e placare un doloroso e mai sopito malessere) è necessario l’intervento di un professionista ?

Ringrazio per la risposta scusandomi per la prolissità di questo sfogo.

Giuseppe

Buongiorno Giuseppe,

Credo che lei abbia colto il nucleo della sua sofferenza nel momento in cui dice di essersi allontanato da se stesso. Finora si è mosso in maniera passiva, come lei stesso sottolinea nel suo scritto, cercando delle soluzioni già pronte all’esterno, invece di cercare dentro di sé le proprie risposte all’esistenza. Si è “appoggiato” a idee comuni, esterne, ai modi comuni d’intendere l’esistenza. Al contempo “subisce” queste idee comuni perché continua a valutare se stesso sulla base di criteri esterni, lontani dalla sua interiorità, sentendosi sminuito se non gli corrisponde. Anche questo la porta ad allontanarsi da se stesso, perché continua a pensarsi e a guardarsi attraverso lo sguardo comune invece di cercarsi interiormente. Il continuo riferimento all’esterno non l’aiuta a scoprire se stesso ma la porta ad inseguire passivamente ciò che il senso comune ritiene essere di valore. In questo inseguimento è inevitabile perdere se stessi…

Il suo senso di  fragilità è un segnale importante che non va messo a tacere con soluzioni superficiali perché le sta permettendo di percepire che ha spezzato quel legame così vitale con la sua parte profonda per aderire all’esterno. Ritrovare se stessi è in primo luogo ristabilire quell’unità con la dimensione profonda da cui spesso ci si distacca credendo di potersi muovere in assenza di essa, affidandosi  esclusivamente alla guida della razionalità. Questo porta inevitabilmente a seguire delle guide esterne perché la razionalità aderisce ai modi comuni di pensare e non riesce a vedere né a concepire altro in questa sua pretesa di procedere senza la guida  dell’interiorità. La persona procede in tal modo slegata da se stessa, dalla sua parte profonda, con il rischio di raggiungere un obiettivo e poi sentirsi svuotata per la mancanza di un legame con ciò che la caratterizza profondamente. E' questa separazione dal suo mondo interiore a tenerla nel malessere.

Mi auguro che lei affronti un percorso psicoterapeutico capace di ristabilire questo legame con il profondo, la parte più autentica di sé, che le sta mandando dei segnali per favorire questo riavvicinamento….

domande e risposte

Dott.ssaLaura Lopopolo

Medico Psicoterapeuta - Cremona

  • Psicoterapia ad orientamento junghiano
  • Ansia
  • Attacchi di Panico
  • Depressione
  • Disturbi dell'autostima
  • Dipendenze (affettive, sesso, cibo, gioco d'azzardo, ecc.)
  • Sofferenza legata al rapporto con il proprio corpo
  • Fobia sociale e timidezza eccessiva
  • Disturbo ossessivo compulsivo
  • Disturbi psicosomatici
  • Bulimia
  • Sostegno alla separazione, e all'elaborazione del "lutto" del distacco
CONTATTAMI