Dott.ssa Maria Rita Milesi

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Dott.ssa Maria Rita Milesi

psicologo, psicoterapeuta, sessuologo

L'amore bugiardo

La verità: questo è il tema del nuovo film di David Fincher. Una verità che non riguarda unicamente le vicende della coppia protagonista della pellicola (Amy e Nick) con i suoi tradimenti - dei patti e delle promesse d’amore iniziali-, ma che interroga ciascuno di noi, calati in una realtà dove verità è ciò che i mass media diffondono, una realtà che seduce con specchietti per le allodole, abbagliando con falsi modelli, fragili verità e allontanando l’individuo da ciò che è più prezioso: la ricerca e l’espressione della propria autenticità.

La coppia

Iniziamo dalla verità nella coppia. Amy e Nick, i protagonisti del film di Fincher, si incontrano, si innamorano. Come in tutti gli innamoramenti, l’incantesimo è basato su un’idealizzazione reciproca (quindi non su ciò che l’altro realmente è) e su aspettative, desideri, attese che ciascuno dei partner ripone sull’altro/a. Spesso e volentieri inganniamo noi stessi (e l’altro/a), restii a riconoscere e a rendere palesi elementi personali e del partner, spesso perché scomodi, spesso perché inconsapevoli a noi stessi e all’altro/a, stabilendo un accordo tacito, implicito, collusivo con la persona che vive al nostro fianco.

Anche per Amy e Nick, dopo qualche anno, complici le difficoltà economiche e di vita, l’illusione e l’idealizzazione reciproca fatalmente svaniscono. Il tempo gioca a favore della realtà, della verità, dell’autenticità di ciascuno dei due, cosicché finiscono per scontrarsi con una inevitabile disillusione. Amy e Nick non sanno costruire giorno per giorno il loro amore, fondandolo sulla quotidianità, sull’autenticità e sulle scomodità di sé e dell’altro/a. Come molte coppie, Amy e Nick anelano alla novità, al mistero, che cercano di nutrire attraverso “caccie al tesoro”, indovinelli, indizi per ritrovare l’illusione perduta. Del resto, entrambi sono scrittori, fanno della fantasia, dell’inventiva, della creatività il loro modo di vivere. Tuttavia, una volta che la realtà interviene e si conosce l’altro per come realmente è, l’idealizzazione che alimenta le illusioni dell’innamoramento diventa impossibile.

Nick

Nick perde il lavoro, è uno scrittore ormai alla deriva, non vi è più nulla dell’uomo brillante e sorprendente che Amy ha conosciuto; diviene apatico, passivo, fugge nella realtà virtuale dei videogiochi e in una relazione passionale con una giovane e seducente allieva. La sessualità con Amy si è trasformata in un atto routinario e freddo, ha perso la magia e i colori dell’amore, sbiadendo nella desolazione che contamina tutto ciò che si dà per scontato e familiare.

Nick tenta di sopravvivere alla frustrazione personale e matrimoniale guardando altrove, cercando la soluzione al di fuori di sé e al di fuori dalla coppia. Non sa, non può o non vuole vedere la verità, diserta da sé e dall’altro, incapace di leggere nella propria interiorità e in quella di Amy, una donna che inganna e si inganna in un continuo gioco delle parti.

Quanti matrimoni e quante relazioni naufragano per via dell’incapacità di riconoscere che una crisi è in atto, che il partner e/o noi stessi siamo infelici, sordi e ciechi di fronte ad una verità che si preferisce disconoscere, maggiormente rassicurati da un copione non autentico perché nulla mette in discussione. Spesso, solo quando non c’è più nulla da fare, l’altro/a diviene disponibile a tutto pur di salvare il rapporto. Quando finalmente si è pronti a fare i conti con la verità, può essere troppo tardi.

Per la coppia protagonista del film, la resa dei conti è impregnata di odio, rabbia, rivalsa. Vi è un lato oscuro della psicologia umana, che regola l’amore, il rapporto con sé e con l’altro, che può trascendere in un’aggressività innata, pronto a distruggere ciò che un tempo si è amato.

Amy

Amy scopre il tradimento di Nick e non sopporta questa verità, non può rinunciare alla coppia perfetta, patinata, ammirata e invidiata dagli amici. Amy è una donna dall’identità fragilissima, plasmata sulla protagonista dei racconti di invenzione di una famosa serie di libri che i suoi genitori hanno costruito su di lei, “la mitica Amy”. La giovane donna vive da sempre una finzione, un copione, che via via adatta alle aspettative di chi le è vicino: prima i genitori, gli uomini che incontra, gli amici, il marito.

L’identità, quando è salda e autentica, implica un senso di risolutezza, intenzionalità e padronanza: la persona sperimenta se stessa come la medesima nelle diverse circostanze, investe stabilmente nei propri valori e nei propri ideali.

Amy è assolutamente lontana da tutto ciò: mantiene eroicamente la taglia trentotto per piacere al marito, veste in modo elegante e raffinato, è sempre perfetta, incarna l’ideale di donna e moglie imposto dal contesto culturale e sociale in cui vive. Non potrebbe essere altrimenti: è cresciuta confrontandosi con le aspettative irrealistiche di due genitori anaffettivi, convinta che per ottenere amore deve essere come gli altri desiderano. Amy non ha una propria identità: nel tempo costruisce un “falso sé” incentrato su di un'accondiscendenza radicale alle aspettative altrui, che sovrappone alla volontà propria, alla propria autenticità, al proprio essere, alla propria verità.

 

Fuori dal copione

Cosa succede quando la “coppia ideale” crolla, quando il copione tanto faticosamente interpretato non può più essere recitato? Amy si trasforma. Progetta un piano diabolico e perverso per castigare il marito: scompare, non senza aver prima pazientemente e lucidamente costruito prove ed indizi contrari alla verità per far incriminare Nick di uxoricidio. E’ pronta a sacrificare la propria vita e quella di lui.

Paradossalmente, proprio attraverso l’inganno e la vendetta che elabora nei confronti del marito, Amy può dar spazio a una parte autentica di sé. Non è più la donna schiava del ruolo di moglie perfetta, disponibile, finemente truccata, elegantemente abbigliata, rispondente ai perversi canoni di magrezza che la società impone. Emerge una Amy rabbiosa, vendicativa, imbruttita, ingrassata. E’ disposta a tutto, perché senza il copione non è più nulla.

Questa rabbia dirompente, unita al bisogno tanto estremo di raddrizzare un torto con qualsiasi mezzo, è tipica di chi ha subito una profonda ferita narcisistica nelle prime fasi della vita, presumibilmente perché trattato dai genitori in modo sadico. Di fronte ad un evento umiliante (come il tradimento) Amy risponde infliggendo attivamente all’altro un dolore che lei stessa ha sperimentato.

La collettività e la verità

Quanto attuali e familiari appaiono le scene del film in cui i mass-media divengono co-protagonisti della scomparsa di Amy. Appelli televisivi, programmi TV morbosi, interviste a familiari, amici e presunti amici, schiere di giornalisti impegnati a “costruire” la verità. Chi è Amy? Cosa le è successo? E’ fuggita? E’ stata rapita? E’ stata uccisa? E’ il marito il colpevole?

Incredibilmente quando Nick, davanti alle telecamere, si pone in modo autentico, è percepito dai più come colpevole dell’uccisione della moglie. Totalmente impreparato ad affrontare la situazione, mostra la sua apatia, la sua inerzia, non manifesta emozioni, si lascia guidare passivamente dagli eventi. Incarna perfettamente il ruolo del marito colpevole: non si dispera, ha un’amante giovane e bella, il suo matrimonio si rivela per quello è, un rapporto profondamente in crisi.

Quando Nick sembra finalmente aprire gli occhi e rendersi conto che rischia la pena di morte, chiede aiuto ad un avvocato di grido. Davanti alle telecamere “recita” il ruolo del marito pentito, disposto a cambiare totalmente, implorando il ritorno della moglie. I mass media, i telespettatori non aspettavano altro che quelle parole per dar credito a Nick. Proprio ora che mente, che recita falsità davanti alle telecamere, è credibile, è innocente.

La polizia, impegnata in un’indagine alquanto ardua, impantanata e fuorviata da indizi bugiardi, incalzata dalla massa che esige “un” colpevole e non la verità, rischia di cadere nel tranello. Solo la detective protagonista si ostina a cercare il vero: contro i colleghi, contro le facili evidenze, scegliendo la via meno facile. Alla stregua del nostro Io più autentico, che lotta costantemente e faticosamente, dibattendosi tra conflitti interiori, destreggiandosi tra le false verità e gli ingannevoli modelli proposti dal mondo esterno, per trovare spazio, ossigeno, realizzazione ed espressione di sé.

The end

Chi non ha visto il film, non troverà in queste ultime righe il finale.

La conclusione consiste in una serie di domande rivolte al lettore, nella convinzione che la pellicola di Fincher debba interrogare ciascuno di noi: Vivo la vita che voglio? Sto assecondando le aspettative di altri? Quali compromessi sto accettando? A che punto è la mia vita di coppia? Quanto sono consapevole dei miei desideri e di quelli del partner? Se sto soffrendo emotivamente (ansia, depressione, problemi con l’alimentazione, con la droga, etc.) sto dando voce a ciò che di più vero e autentico la mia esperienza intima propone ed esige?

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