Le dieci frasi da non dire ad un malato di cancro
“La ragione per cui abbiamo due orecchie ed una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più, parlare di meno”. Credo che questa frase del filosofo greco Zenone di Cizio sia il fondamento da cui partire per l’approfondimento che segue.
A ciascuno di noi sarà capitato, o prima o poi potrebbe capitare, di dover interagire con un familiare, un amico, un collega, un conoscente, cui è stato diagnosticato un tumore.
Una preoccupazione frequente è: “E adesso cosa gli dico?”
Il cancro spaventa, così come la paura della morte che questa malattia evoca. Per tenere a bada le proprie emozioni, spesso si è portati ad esprimere pensieri che non sono di alcun aiuto al malato, bensì lo irritano, lo deludono, lo allontanano.
Ecco allora un breve vademecum delle frasi da evitare a partire da un breve esempio.
Avete dinanzi a voi un vostro amico, ha un’espressione turbata, uno sguardo addolorato, trattiene le lacrime a fatica. Vi dice: “Ieri l’oncologo ha confermato quanto temevo: ho un tumore al polmone. La sola parola mi fa paura, ho paura di soffrire, di morire. Se non avessi fumato tanto forse ora non avrei il cancro”.
1 “Dai, non piangere … non fare così”
Ciò impedisce l’espressione delle emozioni del malato e protegge noi stessi dalle emozioni dolorose trasmesse dall’altro.
2 “Non devi nemmeno pensare che morirai!”
E invece la persona lo pensa, lo dice, ed è una paura concreta. Anche in questo caso non sappiamo accogliere e sopportare le angosce che la persona sta cercando di condividere con noi.
3. “Vedrai che andrà tutto bene, adesso inizierai le cure, i medici sono molto bravi”
Le frasi fatte, le rassicurazioni, servono a tranquillizzare noi stessi, negando i reali bisogni dell’altro e impedendone l’espressione.
4. “E’ sbagliato disperarsi, ti fa solo male e non serve a nulla”
L'approvare o il disapprovare comunica un messaggio di superiorità e porta ad anteporre le proprie valutazioni ai bisogni reali dell’altro.
5. “Prova a distrarti, non ci devi pensare”
Stiamo parlando del cancro, di una malattia che spaventa molto. Come è possibile non pensarci? In questo modo rischiamo di banalizzare il dramma che il malato sta vivendo, che non si sentirà per nulla capito nel suo dolore.
6. “Devi essere forte”
Perché a tutti i costi deve dar prova di forza? L’altro deve essere libero di essere come è e accettato in quanto tale, soprattutto in un momento di estrema fragilità.
7 “Cerca di essere positivo: un atteggiamento ottimista aiuta a combattere la malattia”
Si tratta di un giudizio, che tende a colpevolizzare la persona, che se non saprà reagire non potrà guarire.
8. “Perché non provi a leggere qualche libro su come affrontare il cancro? Penso che ti possa aiutare”.
I consigli sono le soluzioni che possono andare bene per noi stessi ma non per l’interlocutore.
9 “Parliamo d’altro, dai. Ti va di venire a cena da me domani sera?”
Cambiare argomento quando il malato affronta un problema scottante è un modo per negare il suo bisogno di parlarne e proteggere noi stessi da sentimenti spiacevoli.
10 “Ti senti così male perché ti rimproveri per aver fumato … ti senti in colpa, come se fossi tu stesso la causa del tuo male”.
Evitare le interpretazioni, che rischiano di distorcere la realtà dell’altro sulla base delle nostre convinzioni.
E allora cosa possiamo dire?
Innanzitutto non dobbiamo per forza dire qualcosa. Anche il silenzio è una forma di comunicazione, di rispetto, di partecipazione emotiva, di comunione affettiva talmente profonda da non richiedere parole.
In secondo luogo, se vogliamo dire qualcosa, dobbiamo prima saper ascoltare e capire. Ascoltare vuol dire, prima di tutto, mettersi nei panni dell’altro, capire le cose dal suo punto di vista, attraverso un atteggiamento di ascolto che comunica: per me sei una persona che conta, il tuo problema è importante, ed io sono pronto a dedicarti del tempo e a condividere con te emozioni che mi creano dolore ed angoscia.
Una possibile risposta potrebbe essere questa:
“Capisco che anche solo pronunciare la parola tumore ti faccia paura, e che ti porti a pensare alla sofferenza, alla morte…”.
Qualcuno potrebbe obiettare (come molti dei miei ex studenti) “Ma come, mi limito a ripetere come un pappagallo ciò che il mio interlocutore ha detto?”.
Sembra semplice, ma non lo è. Trovare il coraggio di ripetere le parole “tumore” e “morte”, avere la forza di stare realmente vicino all’altro, sopportando le nostre stesse paure, il nostro dolore, consente al malato di aprirsi, di non sentirsi abbandonato in quella terribile situazione dove all’angoscia della malattia si aggiunge quella della solitudine.
psicologo, psicoterapeuta, sessuologo - Bergamo
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