Quando i papà dormono sul divano
Dormire insieme alla madre o ad entrambi i genitori è molto diffuso ed è argomento di discussione non solo in famiglia, ma anche tra gli esperti. Su tale argomento le opinioni sono diverse e spesso opposte.
Il termine cosleeping , letteralmente “dormire insieme”, viene utilizzato per indicare tutte quelle situazioni della prima infanzia, in cui il bambino dorme insieme a uno o ad entrambi i genitori, per l’intera notte o parte di essa. Tale termine è generale e può riferirsi sia alla condivisione della stanza (room sharing), sia alla condivisione del letto (bed sharing). In letteratura vengono descritte differenti categorie di cosleeping, distinte in base all’età di insorgenza del fenomeno: ciascuna di essa definisce il cosleeping primario, secondario, e tardivo. Il cosleeping primario, che fa riferimento al primo anno di vita, è una scelta dei genitori ed è collegato all’allattamento al seno; quello secondario o reattivo, inizia di norma dopo i dodici mesi e si protrae fino al compimento del secondo-terzo anno di vita, in risposta a un disturbo del sonno del bambino o a cattive abitudini dei genitori; infine quello tardivo definisce i casi in cui il bambino, in età scolare, dorme in maniera stabile e continuativa con uno o entrambi i genitori e questa abitudine si protrae fino all’adolescenza. È importante approfondire le modalità attraverso le quali si manifesta il cosleeping tardivo, ed individuare le motivazioni che ne spiegano l’insorgenza ed il mantenimento nel tempo, poiché può essere associato a problematiche del bambino come ad esempio l’ansia da separazione o a difficoltà dei genitori. La permanenza prolungata nel lettone diviene un “campanello d’allarme” a partire dal quarto anno di vita, sia perché il bambino entra in una fase importante dello sviluppo psicologico e dell’identità sessuale, sia perché questa abitudine può essere espressione di problemi riguardanti la relazione di coppia. In questi casi, la presenza di uno o più figli nel letto diventa un alibi per evitare momenti di intimità con il partner. Il cosleeping tardivo può essere infatti, un segnale di una problematica di coppia, il figlio si ritrova tra mamma e papà che in questo modo evitano inconsapevolmente di affrontare i conflitti coniugali: il bambino piange, non vuole stare nella sua cameretta, quindi dorme con la mamma e il papà si trasferisce sul divano. Questa modalità potrebbe celare una difficoltà nella coppia, conseguente, ad esempio, alla fase di transizione alla genitorialità, a problemi sessuali, a rotture e a cambiamenti nel sistema familiare. Naturalmente, non è la sola variabile sonno condiviso-sonno solitario ad essere indicatore della qualità della relazione coniugale e genitoriale. L’accudimento notturno è solo una delle aree della relazione genitori-figli ma le modalità di affrontare tali pratiche riflettono la natura di questa relazione e sono in continuità con l’accudimento diurno. Non sono le abitudini relative al sonno dei figli a creare di per sé, legami particolari o difficoltà che non siano già state definite da quanto accade durante il giorno, per questo è importante capire quanto il cosleeping tardivo sia un bisogno irrinunciabile del bambino o dei genitori.
Ai genitori compete l’arduo compito di integrare, in ogni fase del ciclo vitale, la dimensione coniugale e quella genitoriale, non spostando sui figli eventuali disaccordi con il partner. La dinamica della coppia si interseca sottilmente con il gioco dei ruoli genitoriali, ma costituisce sempre un sottosistema con una sua autonomia, a cui tocca gestire risorse, conflitti e una dimensione che sia solo per la coppia, senza sensi di colpa. Curare la relazione di coppia, vuol dire anche ritagliarsi giornalmente una quantità di tempo, suddividere i lavori domestici e familiari, in modo che nessuno dei due partners senta il sovraccarico, conservare un’intima complicità e riconoscere e rispettare sia i bisogni individuali, sia quelli di coppia. I partners devono saper affrontare la sfide di nuove relazioni parentali, il posto dei figli in famiglia deve sempre essere con mamma e papà e non tra loro, pertanto durante la crescita è opportuno limitare le loro eventuali incursioni nel letto genitoriale e favorire la capacità di elaborare la separazione dalle figure di attaccamento e l’instaurarsi di una progressiva autonomia. Quando è necessario, anche se non è facile, bisogna saper dire anche di “no”, spiegando, motivando, esercitando l’autorità, che non è autoritarismo. In sintesi, il fenomeno del cosleeping primario, non ha influenze negative sullo sviluppo del bambino, al contrario in questa fascia d’età, gli studi riscontrano, tra i benefici, maggior successo dell’allattamento al seno per prevalenza, durata e qualità, e riduzione dello stress e del pianto. Quando invece, il “dormire insieme” diventa una consuetudine negli anni, è importante approfondirne il significato in base al contesto culturale, all’età del bambino, alle relazioni e dinamiche familiari e alla presenza di eventi salienti nella vita della famiglia.
Bibliografia
Novara D. (2010). Tutti assieme nel lettone.Che ci fa il bambino grande nel lettone con i genitori?psicologia Contemporanea, 217,58-63.
Cortesi F, Giannotti F, Sebastiani T, Vagnoni C, Marioni P (2008). Cosleeping Versus Solitary Sleeping in Children With Bedtime Problems: Child Emotional Problems and Parental Distress. Behavioral Sleep Medicine 6, 89-105.
Cortesi F, Giannotti F, Sebastiani T, Vagnoni C (2004). Cosleeping and Sleep Behavior in Italian School Aged Children. Developmental and Behavioral Pediatrics 25, 28-33.
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