Penso che il problema sia proprio mio marito
Tra fidanzamento e matrimonio stiamo insieme da 13 anni. Eravamo compagni di classe alle elementari. All'inizio era tutto rose e fiori, come in quasi tutte le storie d'amore. Ci siamo fidanzati nel 2006. Esattamente un anno dopo sono rimasta incinta. Avevo 25 anni, il mio sogno di vita è sempre stato diventare madre. Pensavo che finalmente il mio sogno si sarebbe avverato. Non avevamo problemi di soldi, io ero precaria ma guadagnavo bene, lui non guadagnava tantissimo ma ha sempre avuto un ottimo posto di lavoro. I miei genitori rimasero scandalizzati da questo evento. Nessuno la prese bene, nessuno. Il giorno che diedi la notizia non me lo scorderò mai. Io per i miei genitori ero uno scandalo. "E ora cosa penserà la gente!!". Ma quale gente? Ma cosa me ne frega della gente?? Ero terrorizzata. Terrorizzata perchè le orribili parole che mi sono state sputate addosso da mio padre soprattutto, mi hanno segnata e tuttora sono piena di cicatrici. Decisi comunque di interrompere la gravidanza per volere dei miei e di quello che poi diventò mio marito. Di quella mattina ho l'immagine impressa e stampata nella mia mente della mia mano che contiene quella pillola e le parole dell'infermiere che mi dice "se le mandi giù non si torna più indietro". E avrei dovuto ascoltarlo. Ora sarei stata strafelice perché avrei avuto mio figlio accanto. Quando uscii dall'ospedale, mio marito quasi insistette nel farmi dormire a casa sua. E così feci. Ma quella sera lui usci con i suoi amici. Erano le 3 di notte e di lui nessuna traccia. Piangevo nel letto come una disperata presa da attacchi di panico e ansia. Lui non rispondeva al telefono. Mi rispose intorno alle 5 di mattina dicendomi che aveva lasciato il tel nella macchina di un suo amico e che era andato a mangiarsi una piadina. Rientrò alle sei di mattina. Tante volte ho chiesto il perché del suo comportamento ma lui ha sempre pensato di non aver fatto nulla di grave. Nel corso degli anni le sue mancanze sono state tante. Abbiamo due figli ed è inutile descrivere la sua assenza, anzi, la sua mancanza nell’aiutarmi, anche solo per sostenermi moralmente. Ho avuto due cesarei e per lui è come se non avessi fatto nulla. Non mi ha mai sostenuta, ha sempre pensato a se stesso, ha sempre pensato ai suoi allenamenti di calcio anche la sera in cui tornai a casa dalla clinica fresca di operazione alla colecisti. Lasciata sola con mia figlia di 3 anni e il piccolo di 4 mesi. E 4 mesi prima avevo avuto il cesareo. Quelle poche volte che uscivamo quando la prima figlia era ancora neonata, lui ci riaccompagnava a casa e poi riusciva per rientrare a orari sconosciuti. Non si è mai ricordato di un compleanno. Non mi ha mai fatto sorprese o regali, regali che provenissero direttamente dal cuore. Perché di regali ne ho ricevuti, ma dopo aver urlato come una pazza isterica. Non ha mai pensato a me come donna, moglie e madre dei suoi figli. Il suo primo ed unico pensiero è il suo benessere. Si fa sempre ciò che piace a lui. Se dobbiamo fare qualcosa per me, inizia a cacciar scuse e alla fine mi fa perdere sempre tempo. Quindi sono costretta a rimanere a casa perché ormai si è fatto tardi. Non hai mai pensato che i figli mangiano e che quindi, bisogna cucinargli. Perché non solo lui per lavoro, esce la mattina alle 6 e torna il pomeriggio alle 18.30 ma, quando torna o va agli allenamenti o esce in bicicletta per i suoi giri notturni nelle campagne. La questione calcio in realtà credo sia finita ma non perché gli ho detto io che non esiste che durante la settimana faccia gli allenamenti e il sabato e la domenica, giornate buttate perché lui ha le partite. No! Lui ha deciso di non andare più a calcio perché deluso dalla società e perché si è fatto male al ginocchio. Io mi occupo di tutto, casa, lavoro, figli, scuola, sport dei figli. Io per me non faccio nulla. Io e i bimbi usciamo di casa alle 8 e rientriamo alle 17, solo perché non iniziano ancora nessuno sport, altrimenti rientreremmo più tardi.
Negli ultimi due anni sto avendo problemi a lavoro. Sono anche andata da uno psicologo pensando che il problema fosse solo mio. Non ho continuato gli incontri perché troppo dispendiosi. Ultimamente ho avuto due settimane di forte depressione, o almeno credo che sia così. Sono stata a casa in malattia per forti dolori addominali, pianto isterico e voglia di fare nulla. Il mio medico curante mi ha detto di iniziare con delle gocce di xanax che prendo molto saltuariamente in realtà. I problemi a lavoro continuano, e lui continua ad essere assente, a non sostenermi, a non aiutarmi. Quella che parla e che discute sono sempre e solo io. Ho avuto più volte momenti di rabbia nei suoi confronti, comportamenti da isterica ma da lui mi sono soltanto sentita dire che sono pazza. Poi chiude la porta e se ne va. A livello sessuale è cambiato molto. Negli ultimi anni è diventato molto più materiale ma la cosa non mi stupisce dato il suo noto egoismo. Io gli parlo, gli parlo tanto ma da lui non esce una frase logica. Mi sento dire solo ed esclusivamente “ah addirittura”? Non mi ricordo feste in cui sono stata tranquilla, feste che mi sono goduta, uscite serali, cene o pranzi al ristorante. Niente, nessun ricordo felice o sereno. E sempre per colpa di mio marito. Il mio rapporto con i miei genitori non è mai stato idilliaco. Una famiglia in cui non si parlava mai e quando si provava a parlare, il problema principale era sempre e solo mio fratello. Quindi, ho sempre vissuto un po’ dietro le quinte. Mia madre non mi ha mai chiesto come stavo dopo l’aborto. Non mi ha mai sostenuta. Lei stessa ha sofferto di depressione quando ero piccola e tutta quella sofferenza riguardo la sua assenza, che fosse un abbraccio o una semplicissima parola come “brava”, me la porto dietro. Non sono felice e mi sforzo ogni giorno di esserlo perché ho due bambini che sono la mia vita. Ma se non sto bene io non stanno bene nemmeno loro e quindi devo trovare una soluzione, perché so che la soluzione c’è. E questa mattina ho avuto l’ennesima conferma che alla base dei miei problemi, c’è mio marito. E non mi dite che devo uscire con le mie amiche o che devo ricavarmi del tempo per me stessa, perchè significherebbe lasciare a lui i bambini che automaticamente andrebbero dalla nonna ed io mi ritroverei a sentirmi le solite lamentele di mia madre che mio marito lascia sempre i bambini a lei e lui si fa le cose sue.
Mi sforzo di vedere la luce alla fine di questo tunnel ma, questo tunnel sembra non avere una fine!!
Buonasera Giorgia,
la lettura della sua lettera mi ha suggerito diversi spunti di riflessioni e quesiti, che vorrei condividere qui con lei.
Dal racconto che lei fa emerge un’immagine di lei stretta tra suo marito, la sua famiglia di origine ed i suoi figli (che sono le sue relazioni principali a cui ha fatto riferimento), senza alcun riferimento ad altre dimensioni relazionali (amici, conoscenti, ecc.). Le tre relazioni a cui fa riferimento sembrano poi essere tutte relazioni in cui lei sia in debito, in obbligo; appunto come se avesse un debito da pagare. Relazioni in cui dà, investe energie, senza però trovare nessuna forma di reciprocità e ricarica. Sembrerebbe anche che il rapporto con suo marito sia stato inizialmente un modo di uscire dalla pressione della sua famiglia e trovare una sua via di autorealizzazione, che però lei vedeva nell’avere un figlio; dimensione relazionale a sua volta in cui oggi sembra lei sia “tenuta” più a dare che ricevere.
La dimensione che sembra caratterizzare il suo racconto e la sua vita sembra essere la delega a qualcun altro della sua ricerca della felicità, senza però riuscire ad elaborare una sua ipotesi sul suo futuro, sulla sua autorealizzazione (per esempio in parte anche nel lavoro ed in altre relazioni extra famiglia e figli), sulla quale provare a costruire un percorso di sviluppo personale autonomo ed indipendente. Mi domando perciò, nel lavoro fatto con lo psicologo precedentemente come avete lavorato sull’elaborazione della sua esperienza di aborto, che sembra un punto di snodo importante della sua vicenda esistenziale, stretta appunto in questa rete “famiglia, marito, figli”, dove quasi lei sparisce come soggetto attivo.
Mi domando inoltre se con lo psicologo avete lavorato sulla comprensione del senso (in chiave emozionale e relazionale) del suo rapporto con queste tre dimensioni cruciali della sua vita: famiglia d’origine, marito e figli, per sviluppare la sua comprensione rispetto ai suoi modi di stare nelle relazioni, in una maniera funzionale alla sua crescita personale, alla realizzazione del suo potenziale esistenziale e della sua soddisfazione personale. Questo credo che sia un possibile percorso di sviluppo lungo il quale lei possa trovare e sperimentare nuove modalità di vita relazionale, individuando dei suoi obiettivi esistenziali da perseguire attraverso nuove modalità relazionali e nuovi attori relazionali e contesti, con cui interagire.
Si tratta però di un percorso non immediato ed in cui può essere utile la guida (almeno inizialmente per acquisire un metodo di approccio alla definizione e risoluzione del problema) di uno psicologo in grado di accompagnarla nella ricerca delle sue risorse interne ed esterne per affrontare la situazione e ridisegnare nuovi scenari per il suo sviluppo personale. Non vedo nella sua narrazione di questa sua vicenda relazionale, nessuna forma di malattia da curare con farmaci, quanto invece l’effetto smorzante di modelli culturali e relazionali che l’hanno costretta in questa situazione conflittuale senza apparenti uscite.
Le auguro di trovare la forza e le modalità di incamminarsi lungo questo percorso e di trovare lo psicologo giusto per supportarla nello sviluppo della sua capacità decisionale rispetto alla propria vita.