Come spiegare il disturbo psicotico a mio figlio

Buongiorno, mio figlio di 27 anni e' ricoverato in psichiatria a causa un episodio psicotico che dura ormai da un mese. E' infatti convinto, tra le varie cose, di avere un microchip nel cervello e che io non sono la sua vera madre. Ora da 12 giorni gli stanno somministrando risperidone, i medici hanno detto di aspettare un miglioramento prima di spiegare cosa gli sta succedendo, di essere graduale nel farlo. Ma esattamente c'e' un modo migliore per dire certe cose anche in base al carattere diffidente del ragazzo? Grazie

Durante un episodio psicotico, la capacità di comprendere e percepire la realtà è profondamente compromessa. In questi momenti, cercare di spiegare razionalmente ciò che sta accadendo può non solo essere inefficace, ma anche controproducente, perché la persona non è in grado di elaborare le informazioni in maniera lucida. La consapevolezza è, per così dire, "disconnessa" dalla realtà, e qualunque tentativo di spiegazione rischia di essere percepito come una minaccia o una manipolazione, soprattutto in presenza di deliri persecutori o di sfiducia, come sembra essere il caso di suo figlio.

I medici le hanno consigliato di aspettare perché, in questa fase, l’obiettivo principale è stabilizzare i sintomi psicotici attraverso il trattamento farmacologico, in questo caso il risperidone. Il farmaco mira a riportare il paziente a un livello di consapevolezza che gli permetta di affrontare la realtà con maggiore serenità. Questo processo richiede tempo e pazienza, poiché i farmaci necessitano di agire per ristabilire un equilibrio mentale. Personalmente, sono contrario all’uso di farmaci in questi casi, poiché vi è il rischio che le crisi diventino ricorrenti e cicliche, mentre in passato la psicosi tendeva a manifestarsi come un singolo episodio isolato.

La vera domanda da porsi è: perché sente il bisogno di spiegare? È come voler spiegare a una persona depressa che non dovrebbe essere triste o a una persona anoressica che deve mangiare. La comprensione logica da parte di suo figlio non risolverà la sua condizione in modo immediato. Un tossicodipendente, ad esempio, sa che non dovrebbe drogarsi, eppure continua a farlo, anche se capisce razionalmente il danno che ne deriva.