Dott.ssa Martina Landucci

Dott.ssa Martina Landucci

Psicologo, Psicoterapeuta

La depressione Post-partum: cosa fare?

Depressione post-partum

La nascita di un figlio è un’esperienza fortissima che scatena forze prima del tutto sconosciute.
Questo evento si inserisce nella vita della donna creando uno sconvolgimento dell’equilibrio precedente e come ogni fase di cambiamento può avere dei risvolti positivi o negativi. Ecco che non per tutti la nascita di un figlio è foriera di emozioni, pensieri e momenti di gioia: le statistiche dimostrano che il 70% delle puerpere soffre di “baby- blues”, ovvero quell’insieme di piccole alterazioni dell’umore che seguono il lieto evento.

La depressione post-partum ha sintomi simili al baby blues, come senso di stanchezza e di fallimento, sentimenti aggressivi nei confronti del bambino o di incapacità a sostenere il proprio ruolo di madre, ma con un’intensità maggiore. Maggiore è anche l’interferenza negativa sulla vita quotidiana e sul rapporto madre-bambino e sullo sviluppo emotivo, comportamentale e cognitivo del bimbo.

La depressione post-partum riguarda circa il 15/20% delle neomamme e compare nel primo anno di vita del bimbo.

I sintomi della depressione sono:

 

  • Umore depresso: pianti frequenti, irritabilità, senso di inadeguatezza, colpa e autosvalutazione
  • Bassa autostima, sentimenti di impotenza e disvalore
  • Ansia e preoccupazioni per il bimbo, il compagno
  • Alterazioni del sonno e/o dell’appetito
  • Perdita del desiderio sessuale
  • Mancanza di piacere o interesse nelle attività quotidiane precedentemente svolte
  • Fatica o mancanza di energia
  • Problemi a concentrarsi
  • Pensieri ricorrenti di morte.



La condizione di malessere dipende da una serie di fattori che si intrecciano e integrano vicendevolmente creando una situazione che influisce su tutti i piani dell’essere:

 

  • Fattori fisici, quali sbalzi ormonali e fattori immunologici, assieme alla fatica del post-partum che diventa un potente fattore di stress;
  • Fattori contestuali: i ritmi sballati imposti dal bambino inducono una stanchezza importante;
  • Fattori sociali, come la scarsità di aiuto e sostegno, ma anche il cambiamento di ruolo della donna in ambito sociale;
  • Fattori cognitivi: quando la neomamma non vede soddisfatte le sue aspettative, spesso irrealistiche, sull’essere madre o sul bambino, oppure riesce a far fronte da sola ai compiti che l’immaginario collettivo attribuisce alla figura della “buona madre”, corre il rischio di sentirsi “sbagliata”;
  • Fattori psico-emotivi: la nascita di un figlio comporta la rielaborazione, più o meno forte e rapida, della propria personalità che, se caratterizzata da bassa autostima o tendente al perfezionismo, può rendersi più fragile. Inoltre il timore per le imminenti responsabilità e il cambiamento del proprio aspetto fisico vanno a influenzare l’immagine di sé, senza contare che gli ormoni influiscono fortemente sulla gestione dell’emotività.



L’importanza di chiedere aiuto

Nella nostra società è ormai molto difficile mobilizzare le risorse esistenti all’interno della comunità locale e così, purtroppo, nel nostro paese troppo spesso si decide di chiedere aiuto solamente dopo molto tempo, quando la sofferenza e le difficoltà delle mamme si sono protratte da tantissimo tempo.
È comune pensare che la donna in gravidanza sia felice per la formazione della nuova vita e per parecchi anni si è creduto che l’aumento degli ormoni in gravidanza proteggesse dalla depressione. Per questo motivo stati depressivi transitori o permanenti che emergono in questi momenti così delicati della vita non vengono riconosciuti.

A causa dello stigma sociale che riguarda il disagio psicologico e spesso la sua confusione con la “malattia mentale”, conducono la donna a non esprimere ai familiari o al partner la difficoltà vissuta e le indagini indicano che solo il 20% circa delle madri colpite dal disturbo ricevono un trattamento adeguato.

Riuscire invece a cercare aiuto dall’inizio, fin dalle prime “avvisaglie”, crea le condizioni per una riduzione dell’incidenza e della gravità della depressione.
In questa situazione già caratterizzata da mille difficoltà, l’isolamento, il non sentirsi comprese, la vergogna e la paura del giudizio degli altri, sono tutti fattori che enfatizzano il malessere.
Inoltre tra i fattori di rischio certi che aumentano la probabilità di sviluppare una depressione post-natale, vi è l'accumulo di eventi stressanti: è noto ormai che un evento è quanto più stressante e critico quanto più lo si vive in isolamento, senza possibilità di condividerlo, nel silenzio…

In questo contesto l’intervento psicologico è volto anche a stimolare la capacità delle neomamme a trovare soluzioni sia ai problemi di ordine pratico, che alla rivoluzione emotivo-psichica che si trova a vivere.


L’aiuto in pratica


Nell’insorgenza della malattia sono coinvolti comportamenti di chiusura e isolamento: l’accumulo di eventi stressanti e la difficoltà di chiedere aiuto, con il conseguente isolamento che enfatizza lo stato di stress e la percezione di solitudine, fanno parte di una serie di comportamenti che denotano una cattiva gestione dello stress.

In questo contesto il primo passo è promuovere la consapevolezza e la conoscenza della sindrome e sviluppare capacità di problem solving per uscire dall’isolamento e cercare sostegno.
Nel dettaglio la donna ha bisogno di essere accolta, ascoltata e sostenuta nel percorso che la porta alla liberazione dai sensi di colpa e vergogna che la depressione post-partum fa emergere.
L’autostima e l’immagine di sé come donna e come madre sono state fortemente minate e l’aiuto avrà l’intento di condurre la donna verso recupero della fiducia nelle proprie capacità di essere madre.

Lo step successivo è quello di ricostruire la relazione con il proprio bambino che sovente viene alterata dai disturbi dell’umore, e che soprattutto viene lesa dai sensi di inadeguatezza della neomamma, che la spingono ad allontanarsi dal bimbo.

Nel dettaglio interventi di rilassamento e tecniche a mediazione corporea e del respiro possono aiutare a gestire meglio l’ansia e molte delle alterazioni fisiologiche del puerperio (sonno, alimentazione, etc.). Integrati poi con la psicoterapia mirata, sosterranno la donna o la coppia lungo un percorso di integrazione ed elaborazione del vissuto.


Conclusione


È vero che si sono fatti passi da gigante nell’ambiente medico al fine di assicurare alle donne una maternità sana e una tutela della salute del suo corpo e di quella del bambino; inoltre esistono tanti percorsi di sostegno alla maternità, che però troppo spesso, prendono in considerazione solo gli aspetti ostetrico-ginecologici. Appare evidente quindi che parallelamente a questo sviluppo scientifico, in questi anni si sono persi molti elementi di sostegno, come la presenza di figure di accompagnamento che si facessero carico dei cambiamento che si verificano nella psiche.

L’immagine sociale del ruolo di madre si è caricato di aspettative, interne ed esterne, che troppo spesso vengono deluse dalla realtà, conducendo la neomamma a non sentirsi adeguata e sviluppare così tutta una serie di comportamenti caratterizzati da evitamento, chiusura e timore nei confronti dell’esterno.
Ricordiamoci invece dell’importanza di chiedere aiuto, di non sottovalutare mai il dolore psichico, nostro o degli altri, e impariamo ad affrontarlo senza vergogna.

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