Oscurita → I luoghi oscuri
“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, chè la diritta via era smarrita.”
(1) Dante Alighieri inizia così la sua Divina Commedia regalandoci questa mirabile immagine che è diventata nell’immaginario collettivo il simbolo archetipico per eccellenza del luogo oscuro, specchio perturbante del mondo interiore, dove si può ritrovare autenticamente se stessi solo accettando di potersi smarrire negli intricati labirinti dell’anima. Nell’introduzione a ‘Luoghi della letteratura italiana’ i curatori scrivono:” I luoghi sono importanti come luoghi in sé, ma spesso lo sono altrettanto come specchio del mondo interiore. Un altro elemento qualificante è pertanto il rapporto esterno-interno che ogni luogo comunica in modo proprio. Nei luoghi si entra e si esce, portando con sé l’esperienza interiore e arricchendola di quella acquisita nel mondo esterno. C’è una continua trasmissione tra esterno del luogo e interno dell’uomo.”
(2) La disciplina psicologica nel suo complesso e non soltanto la psicologia del profondo sostiene la stessa idea di fondo che è stata approfondita con ricerche e ipotesi di cui alcune sono riportate in questa raccolta di saggi. In particolare James Hillman, punto di riferimento di quella specifica corrente della psicologia del profondo che è la psicologia immaginale, si è occupato dell’anima dei luoghi. Nel suo saggio Hillman inizia parlando dell’architettura che, secondo lui, è troppo spesso considerata soltanto costruzione, disegno, concetto, mentre in realtà è anche e soprattutto immaginazione, concetto questo fondamentale nel pensiero dello psicologo statunitense accanto a quello di anima. L’autore continua sostenendo che un secondo punto fondamentale nel trattare dell’anima dei luoghi è il recupero del senso dell’individualità del luogo andato perso con i fondamenti del pensiero razionalista: ogni luogo ha una sua precisa specificità, così come, aggiungerei, ogni persona con le sue preminenti ed indistinguibili differenze individuali. Hillman con le sue riflessioni ci riporta indietro nel tempo:” Nell’antica Grecia, luoghi quali crocevia, sorgenti, pozzi, boschi e simili avevano specifiche qualità e specifiche personificazioni: dei, demoni, ninfe, daimones, e se si era inconsapevoli di tutto questo, se si era disattenti alle figure che abitavano un incrocio o un bosco, se si era insensibili ai luoghi, si correva un grave pericolo. Si poteva esserne posseduti. Consideriamo, per esempio, la ninfolessia: le ninfe o Pan potevano sopraffare il viandante. Perciò si doveva essere consapevoli di quello che accadeva, di quale spirito, di quale sensibilità, quale immaginazione presidiava un particolare luogo, o come la psiche, l’anima, corrispondevano al luogo in cui ci si trovava. Alcuni luoghi venivano evitati, mentre in altri si traeva beneficio e si otteneva guarigione.”
(3) Hillman continua dicendo che l’uomo con la sua opera manipolatoria ha pervertito il carattere originario di certi luoghi e che è quindi importante recuperare l’intima e peculiare qualità di un determinato luogo che si manifesta, afferma l’autore, al nostro corpo attraverso i sensi. Di questo continuerò a parlare più avanti trattando dell’atmosfera peculiare che appartiene al luogo e che fa parte delle sue caratteristiche che, secondo Hillman, noi non sappiamo riconoscere. Scrive L’autore: “Non sappiamo riconoscere l’anima del luogo. Questo è dovuto alla cultura in cui viviamo. Abbiamo perso la nostra risposta all’estetica. L’an-esteticità ci anestetizza. I suoni sono così forti che le orecchie si sono intorpidite. Un fenomeno chiamato ”frastuono psichico”. Si può comprare qualsiasi anestetico in farmacia. Ma cos’è l’anestesia? Cosa significa questa parola? Significa essere senza sensibilità, compresa la sensibilità estetica. Significa essere esteticamente incompetenti: in stato di stupore, stupidi. “Stupido” è più preciso di “ignorante”. E’ un’idea contigua a quella di stupore-nessuna sensazione, nessun senso estetico. Questo, credo, è l’aspetto più importante della formazione di un architetto: il risveglio della risposta estetica, il risvegliarsi dall’anestesia. Tornare all’animismo, al paganesimo. Si diventa pagani come i Celti, gli Indiani, perché ci si accorge che tutto è vivo. Tutto comincia a ‘parlare’ un po’. Non si è più anestetizzati. Questo è l’ultimo punto fondamentale. Ritengo che quest’analgesia, o anestesia, domini la nostra cultura non solamente per evitare il dolore, ma in tanti altri modi sottili. Se invece i sensi rimangono vivi, acuti, non anestetizzati, la sofferenza, alimentata dal vivere contemporaneo, non potrà soffocarli, non potrà spegnerli.”
(4) La mia ipotesi di lavoro, nello specifico, è che esistano dei luoghi, particolarmente oscuri come la selva di Dante, che evocano e attivano la parte più oscura dell’animo umano che può essere posseduto dalle immagini archetipiche attivate dal luogo stesso dotate di un particolare potere fascinatorio. In Tipi Psicologici, tra le definizioni, alla voce Partecipazione Mistica, Jung scrive:” Questo termine risale a Levy-Bruhl. Con esso si intende un tipo particolare di legame psicologico con l’oggetto. La partecipazione mistica consiste nel fatto che il soggetto non può distinguersi chiaramente dall’oggetto, ma è legato a questo da un rapporto diretto che si può chiamare identità parziale. Questa identità è fondata sull’originaria unità di soggetto ed oggetto; la partecipazione mistica è quindi un residuo di questo stato primordiale. Essa non investe la totalità dei rapporti fra soggetto ed oggetto, ma solo determinati casi nei quali si presenta il fenomeno di una così particolare relazione. Naturalmente la partecipazione mistica è un fenomeno che è dato osservare nel miglior modo tra i primitivi; è però frequentissima tra gli uomini civilizzati, anche se non con la stessa estensione e intensità. Tra gli uomini civilizzati essa si verifica di regola tra persone, più di rado tra una persona e una cosa. Nel primo caso essa è una cosiddetta ‘relazione di traslazione’, nella quale l’oggetto acquista (in genere) un’influenza per così dire magica, ossia assoluta, sul soggetto. Nel secondo caso si tratta o di un’azione analoga esercitata da una cosa oppure di una sorta di identificazione con una cosa o con l’idea di questa.”
(5) Per esempio, un’identificazione con i luoghi o con l’idea dei luoghi che hanno un’influenza e un’atmosfera magica o maligna, la quale cattura l’individuo in una sorta di incantesimo: in questo senso uso il termine ‘luoghi oscuri’. C’è tutto un filone narrativo e cinematografico, per esempio, che ha come protagonista la casa stregata, maledetta, infestata da spiriti inquieti che non riescono a trovare pace: il luogo che dovrebbe rappresentare il rifugio, la sicurezza, la pace, in questi contesti si trasforma in un luogo oscuro dove avvengono delitti mostruosi dove la casa è un’entità pulsante di vita propria. Purtroppo molto spesso la realtà supera di gran lunga la più fervida delle immaginazioni e cosi nella storia del crimine sono passate alla ribalta molte abitazioni che si sono rivelate teatro di efferati omicidi: il luogo oscuro per eccellenza della casa è la cantina, ed è lì infatti che efferati serial killer hanno cercato di occultare i resti delle loro ignare vittime, attirate nella trappola come mosche nella ragnatela. Anche nei sogni la casa ha un valore simbolico molto importante e tra i suoi vari luoghi la cantina rappresenta, come ci ricorda Bachelard in ‘Poetica dello Spazio’, “l’essere oscuro della casa, l’essere che partecipa alle potenze sotterranee.”
(6) La cantina è la rappresentazione simbolica dell’inconscio e di tutti i fantasmi che lo abitano: se l’uomo non avrà il coraggio di affrontare la sua cantina interiore, rifugiandosi nelle rassicuranti razionalizzazioni della soffitta, rischierà di esserne sopraffatto, se non affronterà i fantasmi che la abitano e non li integrerà coscientemente, questi lo possederanno come spiriti maligni. I serial killer essendo patologicamente incapaci di simbolizzare agiscono le loro fantasie di sesso e di morte, si identificano completamente con l’oscurità che diventa il loro regno di distruzione; le loro colpe vengono sotterrate in cantina e i cadaveri diventano l’humus che alimenta le tenebre dell’incoscienza in una compulsione a ripetere inarrestabile. Molto spesso il genere cinematografico horror che citavo più sopra ha come protagonisti degli adolescenti, vittime molto spesso di sette sataniche che vogliono immolarli alle loro divinità ctonie. Anche in questo caso vorrei poter dire che si tratta soltanto di finzione cinematografica, invece nella realtà il fenomeno del satanismo continua a far parlare di sé in occasione di fatti che assurgono alla ribalta della cronaca per la loro mostruosità: basti pensare ai delitti del cosiddetto Mostro di Firenze e più di recente ai delitti e ai presunti suicidi, che potrebbero nascondere fatti ben più inquietanti,legati alla setta satanica denominata ‘Le Bestie di Satana’, fatti questi avvenuti nel Nord Italia. Se osserviamo con attenzione i luoghi del ritrovamento delle vittime, il momento in cui avvengono gli omicidi rituali, i luoghi che i satanisti scelgono per i loro cerimoniali diabolici, ci rendiamo conto dell’oscurità che avvolge il loro mondo: le cerimonie avvengono di notte, il loro, come quello dei serial killer è un regno avvolto dalle tenebre, i partecipanti sono mascherati e quindi anche la loro identità è avvolta dall’oscurità; i luoghi posti ai crocevia quando sono all’esterno sono quasi sempre luoghi occulti, segreti, immersi nella natura e di non facile accesso ai non iniziati; si tratta molto spesso di cimiteri e chiese sconsacrate. Le loro vittime preferenziali, oltre agli animali sacrificati durante i riti, sono bambini e adolescenti la cui innocenza è offerta votivamente a Satana per ottenerne i favori. Le vittime possono essere sfruttate per orge sataniche caratterizzate da sadismo pedofilo. In molti casi i loro carnefici sono i genitori stessi complici della setta per denaro o perché essi stessi adepti credono che sacrificando il loro figlio otterranno denaro e potere. Molto spesso sono gli stessi adolescenti ad avvicinarsi al satanismo che rappresenta per loro una modalità per esprimere la loro rabbia e il loro spirito ribelle e apparentemente anticonformista.
Nel suo libro ‘Delitti Rituali’(7) Angelo Zappalà, psicologo e specialista in Criminologia Clinica, fa riferimento ad uno studio (Emerson, Syron, 1995) compiuto su 143 adolescenti coinvolti nel satanismo che ha evidenziato come l’abbracciare questo credo sia l’espressione di un disagio: rappresenta una forma di ribellione e un tentativo di appartenenza ad un gruppo che gli permetta di superare le difficoltà che incontrano con i coetanei e la solitudine. Il Satanismo , continua l’autore, gli fornisce sentimenti di potenza che compensano la loro inconsistente autostima. Cito testualmente:” I membri maschi di questi gruppi soddisfano in particolare il loro bisogno di potere e mostrano atteggiamenti rivendicativi verso il mondo , le femmine manifestano, più dei maschi, sentimenti nichilistici; hanno in genere disturbi alimentari ed anche comportamenti di automutilazione. Questi adolescenti vivono in famiglie problematiche, con intensi conflitti familiari e non di rado le femmine sono state vittime di abuso sessuale.”
(8) Le sette che siano di matrice satanica o no puntano sulla fragilità psichica dell’individuo che privo di punti di riferimento può trovare nella setta una risposta al proprio smarrimento. Ma paradossalmente è proprio cadendo nella rete mistificatoria e manipolatoria della setta che l'individuo finirà per perdersi completamente trasformandosi in un automa nelle mani di individui senza scrupoli.
Ci si può perdere in molti modi credendo illusoriamente di aver trovato un approdo stabile e sicuro. A tal proposito vorrei fare riferimento al film ‘The Family Man’. Il protagonista, un uomo di successo e all’apparenza gratificato dal suo lavoro e dalla sua posizione sociale, una mattina si risveglia in una casa umile e sconosciuta e si ritrova sposato con la donna che molto tempo prima aveva lasciato per rincorrere denaro e potere. Si ritrova inoltre proiettato anche nel ruolo di padre e tutto questo lo disorienta e terrorizza. Tenta di tornare nella sua lussuosa dimora ma viene scacciato così come non viene riconosciuto dai suoi colleghi e amici di un tempo tutti appartenenti all’alta società. Lentamente si rassegna a questa dimensione meno elevata socialmente e riesce con il passare del tempo ad apprezzarne i valori, la genuinità fatta di piccole cose quotidiane. Si ritrova innamorato della donna che un tempo rappresentava solo un ostacolo e si ritrova ad amare i suoi bambini.
Ma quando il miracolo sembra avvenuto una mattina si ritrova nuovamente proiettato nella vita di un tempo che ora, con angoscia, riesce a vedere veramente per quello che è: falsa e vuota, priva di calore. Mi limiterò a questa citazione anche se il film non è certamente finito qui, per dire che a volte per rincorrere l’effimero cerchiamo di perdere il contatto con l’essenziale: anche se certamente ciò ci pone drammaticamente di fronte alla nostra misera condizione di umani alle prese con i propri limiti è attraverso questa limitatezza che dovremmo ricercare la nostra autenticità perché le ali di cera delle nostre sfrenatezze potrebbero attirare l’invidia degli dei e farci cadere rovinosamente in un vortice abissale e senza speranza.
L’atmosfera che caratterizza un luogo, si tratti di luogo reale oppure raccontato come nel sogno o nelle fantasie, è qualcosa di tangibile e intangibile allo stesso tempo: è come un’impronta digitale che lo rende unico ed irripetibile. Facendo sempre riferimento all’idea dei luoghi oscuri, penso alla loro particolare coloritura che ci trasmette determinate intuizioni, determinate sensazioni, un determinato sentimento, ispirandoci dei particolari pensieri sul luogo stesso o facendoci riflettere in generale sulla nostra vita e su noi stessi, influenzandoci profondamente. L’atmosfera di un luogo è quel qualcosa che può invitare ad entrare o può spingere alla fuga. Se si tratta di un interno questo può dipendere anche dal design o dall’allestimento dello spazio: un luogo troppo vuoto può determinare angoscia pur lasciando spazio, un luogo eccessivamente pieno può invece trasmettere oppressione ed una sensazione claustrofobica che toglie il respiro: quante volte avrete sentito pronunciare questa frase:” Vado a prendere una boccata d’aria!!” oppure l’espressione “ Mi sembri uno che sta seduto sui carboni ardenti!!”
La nostra reazione emotiva ad un determinato luogo e alla sua particolare atmosfera può essere determinata anche dai suoi particolari odori: mi viene in mente l’odore di muffa caratteristico di certe case rimaste chiuse per tanto tempo, gli odori forti della campagna che mi investivano quando ero bambino, gli odori caratteristici dei luoghi di mare, gli odori inquietanti di certi reparti ospedalieri e delle case di cura per anziani, gli odori forti di disinfettante e di urina che caratterizzano nel loro squallore le stazioni ferroviarie e i bagni pubblici; gli odori oscuri della putrefazione e della morte violenta, del sangue che non circola più, della vita strappata crudelmente. Anche la vista può cogliere con precisione l’atmosfera caratteristica di certi luoghi e condizionarci: le luci al neon, le luci stroboscopiche delle discoteche così eccessivamente psichedeliche rispetto ai colori tenui dell’alba o alla penombra riflessiva del tramonto così evocativi e ispiratori. Pensiamo anche ai suoni: certi luoghi sono invivibili per quanto sono rumorosi; certamente diversi i suoni che udiamo passeggiando lungo la spiaggia o immersi nel folto di un bosco, tutt’altra musica e atmosfere completamente diverse che potrebbero nuovamente mutare se all’improvviso proprio lì, in piena notte, udissimo un urlo straziante e delle grida d’aiuto: gli scenari che si potrebbero profilare nel nostro teatro interiore sono innumerevoli e tutti molto inquietanti. Le atmosfere inquietanti di certi luoghi sono rappresentate mirabilmente ancora una volta dalla cinematografia. Mi viene in mente un esempio cinematografico per tutti che raccoglie in sé tutto ciò che ho cercato di rendere in questo mio scritto sull’oscurità di certi luoghi, sulle loro atmosfere inquietanti e sulla psicodinamica dei protagonisti che in essi si muovono: “Il Silenzio degli innocenti di J. Demme.
Oltre alla mirabile rappresentazione del carcere di massima sicurezza e dei personaggi inquietanti che in esso sono racchiusi, alle atmosfere gotiche della casa del serial killer e quant’altro mi sembra di dover segnalare, per entrare nel vivo delle oscure dinamiche che caratterizzano certe relazioni, la relazione pericolosa che nel film vede la giovane agente speciale dell’FBI, Clarice Starling alle prese con il mostro Hannibal Lecter, lo psichiatra assassino e cannibale abile manipolatore delle menti di coloro che hanno la malcapitata sorte di incrociare il suo cammino. Credo che in assoluto i colori che rappresentino meglio questo film siano il rosso e il nero. Rosso come il sangue degli innocenti e nero come il silenzio agghiacciante della loro morte. La giovane Clarice nel film è magneticamente attratta dal personaggio inquietante e affascinante che a sua volta è attratto dall’innocenza della donna, la quale per rimanere lucida e portare a termine il suo lavoro dovrà cautamente muoversi tra le innumerevoli trappole psicologiche che la mostruosità del suo pericoloso interlocutore metterà in atto per intrappolarla nella propria ragnatela di perverso dominio. Tutto questo ci parla dei lati oscuri delle relazioni caratterizzati dal bisogno di controllo e di dominio e dalla perversione sadomasochistica e da pericolosi meccanismi di identificazione proiettiva dove i propri lati oscuri e non integrati ci imprigionano in una prigione di follia senza fine nella quale vittima e carnefice sono complici. L’atmosfera di un luogo può essere inoltre determinata dall’inatteso che ci disorienta: un incontro che non ci aspettavamo e che magari ci scatena turbamento, l’irruzione di qualcosa di trasgressivo rispetto ai nostri schemi mentali o ai nostri principi morali come quando durante la festa a casa di conoscenti in un luogo di solito per noi familiare un personaggio a noi estraneo e che ci siamo trovati a conoscere inaspet-tatamente in quell’occasione, inaspettatamente ci propone o ci dice qualcosa che ci disorienta; un paesaggio inaspettato che si para di fronte ai nostri occhi riempiendoci di magico stupore.
L’inatteso ci sorprende e, per definizione, ci trova quasi sempre impreparati nel bene come nel male e ci pone di fronte alle nostre insicurezze come di fronte a desideri inaspettati o a sensazioni che mai ci saremmo sognati di poter provare. L’inatteso è perturbante, ci destabilizza e può rivelarsi pericoloso in certi casi soprattutto se fondiamo la nostra vita sulle certezze e dedichiamo poco spazio all’incerto e al dubbio. L’inatteso ci rivela i nostri luoghi oscuri interiori, la nostra ombra, che come un acrobata può sospingerci in delicati esercizi di funambulismo rendendo precario il nostro equilibrio ma al tempo stesso rendendoci in grado di poter saggiare le nostre potenzialità e la nostra natura più autentica. L’inatteso ci pone di fronte ad inevitabili responsabilità etiche che ci impongono di affrontare la nostra colpa, la nostra fragilità, la nostra natura umana fatta di nobiltà ma anche di miserie. I pazienti molto spesso portandoci un sogno ci dicono ‘ho fatto un sogno’ intendendo con questo un’intenzionalità cosciente che con il sogno ha poco a che fare: potremmo invece dire che il sogno rappresenta con la sua paradossalità e irrazionalità l’inatteso che spiazza la coscienza e che cerca di educarla ad una visione più complessa e profonda che guardi alle innumerevoli persone dentro di noi a quella dimensione infera che ci abita e che ci chiama a sé invitandoci a relativizzare l’assolutismo razionale ed erculeo del nostro io. Il mondo infero è psiche scrive Hillman e ancora:” Quando usiamo l’espressione mondo infero, inferi, ci riferiamo ad una prospettiva del tutto psichica, dove tutto il nostro modo di essere è stato desostanzializzato, sbarazzato della vita naturale. La Ba del mondo infero egizio come la psyche del mondo infero nella Grecia omerica, era la persona tutta intera, come in vita ma svuotata della vita. Ciò significa che la prospettiva del mondo infero altera radicalmente la nostra esperienza della vita. Essa non è più importante in sé ma soltanto in ragione della psiche . Per conoscere la psiche fin nelle sue ultime profondità, per una vera psicologia del profondo, bisogna inoltrarci negli inferi.
(9) Abbiamo parlato dei luoghi oscuri come evocatori del mondo interiore, abbiamo accennato ai luoghi oscuri presenti nel mondo interiore e fatto riferimento ai luoghi oscuri teatro di crimini violenti, ai luoghi della letteratura e della cinematografia e ai luoghi naturali o artificiali dotati collettivamente di forte valore archetipico. Ora la storia che seguirà è una versione reale della fiaba di Cappuccetto Rosso. Quando ci si perde per non dar retta ai segnali o avvertimenti, il bosco o il giardino diventa oscuro per la mancanza di lucidità o per l’irruzione del serpente/lupo travestito: l’innocenza e/o l’inconscietà fanno il resto. In questo caso il luogo è più che altro una cornice, un contesto, che non la cosa centrale che invece è rappresentata dalla relazione di plagio, potere e abuso. Va detto quindi che non sempre il luogo appare come oscuro, che qualcosa di oscuro può manifestarsi in un luogo che aggancia un aspetto oscuro interiore. In questo caso il serpente del sogno/uomo violentatore riportato di seguito che aggredirà la giovane donna in un bosco, luogo concreto reso oscuro dal crimine, che poteva accadere dovunque. O forse per meglio dire è un luogo oscuro nella mente del criminale, identificato con il lupo/serpente. Neil Russack, nel suo ‘Animali guida’, scrive come più sopra accennavo dell’importantissimo simbolo del serpente in relazione ad una sua paziente. Russack sostiene che il simbolo del serpente ci dà la capacità di metterci in contatto con i nostri istinti più profondi, con la nostra vita animale, e in questo senso ci viene in aiuto. Quando incontriamo il serpente, lo shock di questo incontro ci pone una domanda che ha qualcosa a che fare con il nostro riuscire a restare fedeli a questo livello profondo di sentimenti e di istinti e al nutrimento che da ciò ci deriva. Riferendosi a una sua paziente, l’autore racconta che la donna era cresciuta in una famiglia rigidamente patriarcale, nella quale il comportamento individuale doveva conformarsi alle rigide convenzioni di una religione cristiana fondamentalista. Osserva Russack che questa paziente sperimentò in un sogno, essendo testimone della trasformazione di un uomo in serpente, la potenza istintuale del serpente stesso, la quale come mostra il sogno che qui riporto, può esplodere nel più famigliare dei giardini: [Sono ad una festa con un mio amico. Stiamo chiacchierando in giardino. Mentre passeggiamo dirigendoci verso il roseto che sta dietro il pergolato, vediamo un uomo, un generale dell’esercito, che si sta trasformando in serpente. E’ molto grosso. La persona che lo sta trasformando in serpente sembra un mago, o ha comunque a che fare con la magia, e si guarda intorno per vedere se è osservato. Dopo aver compiuto la ‘magia’ scompare Mentre il Generale si sta trasformando da uomo in serpente, lo afferro. Mentre lo tengo fermo con le mani lo Guardo negli occhi. Mi conosce. Non capisco che cosa significhi la sua espressione. Si trasforma molto rapidamente, ma la testa si trasforma per ultima. Penso che vorrebbe che non avessi visto la trasformazione perché sa che vivrò sapendo quello che è successo e che vorrò capirne il significato. Sa che nessuno mi crederà e che, se parlerò a chicchessia di quanto è accaduto, sarò in pericolo. Sembra che si senta dispiaciuto per quello che dovrò sopportare a causa di ciò di cui sono testimone. Nel sogno non sono spaventata dall’uomo-serpente; sono perplessa sul significato della trasformazione. Mi domando se sia ‘contro le regole’ e se sia necessario che la riferisca a qualcuno. Mi domando se la civiltà sia in pericolo, visto che è possibile trasformare gli uomini inserpenti. So che la trasformazione ha uno scopo, che essa rende l’uomo-serpente capace di qualcosa che gli uomini, di solito, non sono in grado di fare. So che ha fatto una scelta. So che, nella forma in cui si è trasformato ha maggiore potere. Dico all’uomo che è con me che dovremmo informare qualcuno, prima che il generale si trasformi del tutto. Lui ribatte che nessuno mi crederà. Discuto con lui perché so di stare dicendo la verità e che la verità dovrebbe essere creduta. Sono certa di quello che so e questo sapere dovrebbe essere accettato. Mi spiega (come farebbe ad un bambino) che nessuno crederà a quello che so.
(10) Dopo aver narrato il sogno Russack riporta anche un episodio dell’adolescenza della paziente, in cui dopo la fine delle lezioni a scuola la sognatrice, che allora aveva quindici anni, aveva perso l’autobus. Un uomo gradevole, dai lineamenti marcati, le si avvicinò in automobile e le chiese se avrebbe accettato un passaggio a casa. Si rese conto immediatamente che in quell’uomo c’era qualcosa che non andava e che avrebbe fatto meglio a non accettare un passaggio da uno sconosciuto, ma lui aveva un aspetto gradevole e sembrava affabile, cosicchè accettò.. All’inizio lui si avviò nella direzione giusta, ma poi svoltò verso la campagna e i boschi. La ragazza era sempre più spaventata. Lui si fermò in un luogo appartato tentando di violentarla, ma lei riuscì a sfuggirgli. Aveva troppa vergogna per riuscire a raccontare la sua esperienza a chicchessia, ma sentiva che si trattava del violentatore che aveva assassinato diverse ragazze della sua età. Dopo questo incidente, prima di venire catturato, ne uccise ancora una. Dice Russack: “E’ una storia che riguarda come il nostro rapporto con il serpente può guastarsi. La ragazza non si fidava dei propri istinti e preferiva seguire la falsa razionalità che aveva appreso dai genitori, tutta legata all’essere puliti, buoni, gradevoli. Se si trascura la propria energia da serpente e il proprio rapporto con essa, si diventa vulnerabili all’istinto di qualcun altro: l’energia maligna del serpente riesce a penetrare nella nostra vita. Sia la vittima che il criminale accolgono l’energia del serpente in modo sbagliato. La vittima non ha rapporto con il serpente, e il criminale si identifica con esso: ha perso i valori umani e quindi diventa un serpente. Non è il serial killer ad aver mangiato il serpente, è il serpente ad aver mangiato lui.”
(11) I luoghi oscuri possono inghiottirci nella loro tenebra se non diventiamo coscienti della loro e della nostra ombra: siamo tutti delle vittime potenziali se non integriamo i nostri lati distruttivi. Maturare psicologicamente significa uscire dal paradisiaco giardino dell’infanzia, da quell’ingenua innocenza con cui vorremmo guardare gli altri e noi stessi e scorgere soltanto il bene: il male esiste ed esistono degli individui molto pericolosi che ne sono affascinati. Il male dell’innocenza e l’innocenza del male. Gli archetipi come modelli di comportamento dell’uomo hanno sempre due polarità e considerarne una soltanto attiva una visione scissa e parziale sul mondo e sulle cose del mondo. Nella sua visione complessa e immaginale della psiche Hillman invece ci invita ad abbracciare l’archetipo nella sua interezza per non perdere di vista la totalità. Nella sua approfondita analisi dell’opera di De Sade attraverso cui esplora il lato oscuro dell’Eros, Thomas Moore ci parla dell’archetipo dell’innocenza che nell’opera sadiana è personificato da Justine. “Talvolta si vede la maschera di Justine indossata da gente che strumentalizza l’innocenza per evitare le dure realtà imposte dalla vita o che sgorgano dal cuore”.
(12) Thomas Moore, riprendendo la visione hillmaniana della psiche ci invita invece ad abbracciare insieme a De Sade sia l’innocenza che la corruzione perché “la vergine e il vecchio sporcaccione vanno insieme come un tandem. L’uno suscita l’altra.”
(13)Più avanti continua:” Tentati di schierarci in questo tandem sadiano dell’innocenza e della crudeltà, tenderemo piuttosto a identificarci con Justine e a proiettare il libertino. Con questo atto ci liberiamo della colpa e ci crogioliamo nell’innocenza. Allora l’innocente, semplicemente ‘si sente in colpa’, che è diverso dall’appropriarsi della propria colpa reale. “L’uomo saggio,” dice Jung “impara solo dalla propria colpa.” E “guarderà dentro il proprio cuore”, una frase che echeggia le intenzioni di Sade romanziere, per domandarsi perché questo debba capitare a me. Ciò non significa esattamente perdere l’innocenza, ma piuttosto individuare il tandem che conduce all’innocenza. I sensi di colpa ci invitano a perfezionare l’innocenza con uno sguardo rivolto alla nostra stessa crudeltà. Essendo un sintomo, il sentimento di colpa sostiene l’innocenza, ma invita anche alla responsabilità. Andare fino in fondo con i propri sensi di colpa, alla fine potrebbe condurre a un’effettiva presa di coscienza della colpa.”
(14) Nei luoghi oscuri colpevolezza ed innocenza si legano assieme diabolicamente. L’assassino e la vittima sono legati da un destino comune che li porterà alla distruzione. Questo succede sia nella realtà esterna che nella realtà interiore dove l’assassino come aspetto intrapsichico può uccidere la possibilità dell’Io di integrarlo ed incanalarlo creativamente. La fanciulla che si inoltra nel bosco può diventare vittima della sua stessa innocenza adolescenziale se questa la rende inconsapevole: lì si può annidare un lupo cattivo, magari sotto le sembianze di un gentile signore, e magari è proprio da questo che lei viene fatalmente attratta. Inoltrarsi nel bosco, riprendendo l’immagine dantesca, ha quindi a che fare con la sfida della maturità, del confronto con il lato oscuro della vita, del rischio di perdere se stessi nel rapporto con l’altro quando prevalgono le proiezioni interne e le dinamiche distruttive. I luoghi diventano oscuri quando ospitano un dramma iniziatico che non sempre finisce con la rinascita e quando permangono nella memoria collettiva caricati di un valore psicologico universale che è al tempo stesso monito e invito all'esplorazione. Come tutti gli archetipi bipolari.
BIBLIOGRAFIA.
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