Psicologia Investigativa → Psicologo Investigazione
E’ intuibile, infatti, che lo psicologo nel suo operare clinico deve procedere come un investigatore che a partire da indizi psicologici riportati dal paziente in forma verbale e non verbale lo porteranno a formulare delle ipotesi sulla sua problematica e l’investigatore in ambito giudiziario dovrà necessariamente avere o comunque maturare delle competenze psicologiche per poter leggere e interpretare non soltanto gli indizi materiali ma anche per sondare l’animo del presunto colpevole o del testimone, soprattutto, ma non solo, quando questo risulterà essere, per vari motivi, particolarmente reticente.
In questo articolo mi occuperò delle possibilità applicative della psicologia al processo investigativo ma non solo rivolte all’analisi della scena del crimine per stilare il profilo psicologico dell’autore sconosciuto di un crimine violento ma anche alle altre figure che intervengono sulla scena giudiziaria, cioè l’investigatore e l’equipe investigativa, il testimone e la vittima. Di tutto questo, ma non solo, si occupa la psicologia investigativa.
Questa branca della psicologia giuridica nasce in Inghilterra nel 1985 grazie al lavoro di ricerca dello psicologo ambientale David Canter che si contrappone all’approccio statunitense che fa capo all’Unità di Scienza Comportamentale del Federal Bureau of Investigation. In Italia un prezioso lavoro di riflessione e di ricerca nell’ambito della psicologia investigativa è stato effettuato dal compianto Prof. De Leo e collaboratori che tra l’altro hanno tradotto un importante lavoro di Canter edito da Carocci. Questo gruppo di lavoro ha sottoposto, più di quanto abbiano fatto altri studiosi del settore, ad una riflessione critica e metodologica alcune aree significative della psicologia investigativa a partire dal cosiddetto profilo psicologico e criminologico sull’autore ignoto del reato.
Viene inoltre esplorato un altro importantissimo campo di studio della psicologia investigativa che è quello dell’ analisi vittimologica cioè dell’analisi delle caratteristiche della vittima e dei processi interattivi che la legano all’autore del reato durante il fatto criminale. Gli studiosi fanno inoltre il punto sugli studi inerenti la Psicologia della Testimonianza cercando di centrare l’attenzione sulla applicabilità di questa disciplina nell’ambito delle tecniche di indagine giudiziaria. Viene comunque centrata l’attenzione soprattutto sul profiling psicologico e criminologico con un approccio critico che esplori soprattutto i suoi fondamenti epistemologici – conoscitivi. Infatti la maggior parte degli studi sul tema presentati in Italia sono soltanto una rilettura acritica del modello statunitense e molte volte non tengono in considerazione il contesto socio culturale italiano rimanendo ancorati quindi ad una dimensione poco reale e troppo “cinematografica” tanto da distorcere i reali contorni di una disciplina che rischia di essere percepita dai più come una sorta di ‘abilità magica’ che poco riflette quella che è la sua concreta possibilità applicativa che deve fare invece i conti con oggettive difficoltà e limitazioni che puntualmente nella fiction vengono aggirate.
Insomma, il profiling psicologico non si sostanzia soltanto sulle abilità intuitive del profiler, che nell’immaginario cinematografico diventano magiche addirittura, ma si deve basare su solide basi scientifiche; la scientificità di tale metodologia investigativa deve essere quindi analizzata a partire dai due principali requisiti epistemologici che definiscono una disciplina come scientifica, cioè la presenza di un paradigma e la falsificabilità dei suoi assunti fondamentali. Al riguardo De Leo e collaboratori cercano di sondare anche la validità empirica del profiling a partire dai principali studi condotti su tale metodologia e cercano altresì di valutare l’importante relazione tra vittimologia e profiling. Bisogna infatti tenere in considerazione che le possibilità applicative del profiling non si limitano soltanto alla stesura del profilo criminale ma riguardano anche l’ambito delle tecniche d’interrogatorio del presunto colpevole, di eventuali indiziati o del testimone più o meno reticente e possono essere utilizzate anche per altre tipologie di reato, per esempio lo stalking, le rapine seriali, gli stupri seriali, etc e non solo quando ci troviamo di fronte ad omicidi seriali.
Inoltre la psicologia investigativa, nella sua specifica applicazione al profilo della vittima, può essere utile ed efficace nei casi di persone scomparse. Inoltre, Gaetano Pascale e Pasquale Striano in “Aspetti di Psicologia Investigativa” ci illustrano un argomento molto particolare e poco trattato sebbene di fondamentale importanza per attività investigative volte alla lotta alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e alla pedofilia anche on line, cioè ‘le condizioni di stress dell’agente sotto copertura’. Il ruolo della scienza psicologica è fondamentale in questo settore oltretutto per la selezione e la formazione di questa particolare tipologia di investigatori che dovranno lavorare in condizioni stressogene al limite della sopportabilità e dovranno di conseguenza possedere delle qualità e delle caratteristiche non comuni. [G. Pascale, P. Striano, 2006] Ancora, come introduzione a questa importante branca della psicologia giuridica, mi sembra importante segnalare anche il contributo di un altro criminologo, Marco Monzani, che nel suo lavoro dal titolo “Crimini allo specchio” sottolinea la primaria importanza di un atteggiamento falsificazionista quando ci si approccia al processo di analisi investigativa e quindi anche al criminal profiling. L’autore sottolinea quanto i profili criminologici possano indirizzare o addirittura influenzare e sviare in modo involontario le investigazioni sul campo. L’autore insiste quindi sulla necessità di utilizzare una metodologia scientifica corretta, ovvero, scrive Monzani, di valutare qualsiasi assunto prima di passare ad ulteriori riflessioni e prima di utilizzarlo per estrarre da esso nuovi elementi dai quali estrapolare ulteriori sviluppi investigativi. In definitiva non bisogna dare nulla per scontato e non essere mossi da uno spirito verificazionista che tende a confermare le ipotesi di partenza che invece dovrebbero essere vagliate da un atteggiamento scientifico di tipo falsificazionista, l’unico metodo di lavoro, specifica l’autore, in grado di metterci al riparo dal rischio di sposare incondizionatamente, assolutamente e senza possibilità di smentita determinate ipotesi di lavoro. [Marco Monzani, 2007]
Nel loro lavoro, precedentemente citato e pubblicato on line sul sito http://www.jus.unitn.it/users/dinicola/criminologia-ca/topics/materiale/dispensa_2_1.pdf, De Leo e collaboratori parlando della psicologia investigativa come di una nuova sfida per la psicologia giuridica, delineano i cinque assunti fondamentali alla base della teorizzazione dell’Investigative Psychology di David Canter: “il primo è relativo alla cosiddetta “coerenza interpersonale”, secondo la quale le azioni commesse da un criminale durante un reato, per quanto bizzarre od estreme, sono sempre conformi alla sua struttura psicologica e personologica: lo psicologo può pertanto inferire alcune caratteristiche del reo dalla semplice analisi delle interazioni del criminale con la vittima. Il secondo assunto è la “significatività del luogo e del tempo del delitto”: la loro scelta per la consumazione del reato secondo Canter non sono mai casuali, e rivelano non soltanto importanti informazioni oggettive sul suo autore (ad es. la familiarità con la topografia della scena del delitto, la probabile zona di residenza, il grado di expertise criminale, etc.), ma anche le sue “mappe mentali criminali”, ovvero le rappresentazioni interne del mondo che utilizza nella sua attività deviante (Canter e Larkin, 1993 cit. in De Leo, Melania Scali,Vera Cuzzocrea, Massimiliano Giannini, Gian Luigi Lepri, Psicologia Investigativa: una nuova sfida della Psicologia Giuridica in http://www.jus.unitn.it/users/dinicola/criminologia-ca/topics/materiale/dispensa_2_1.pdf ). Il terzo assunto è relativo alla convinzione dell’autore che le “caratteristiche criminali” del reo siano classificabili all’interno di categorie e subcategorie esplicative, sulla base della tipologia dei comportamenti dispiegati durante il delitto. […] Il quarto cardine del corpus teorico del suo approccio, ovvero il concetto di “carriera criminale”, si riferisce alla valutazione delle possibili precedenti attività criminali compiute dal soggetto e della loro tipologia. Questo concetto appare fortemente connesso all’ultimo assunto importante del modello di Canter, la “forensic awareness”, ovvero il grado di sofisticatezza dei tentativi di depistaggio e/o occultamento di reato adottati dal criminale durante la commissione del delitto che lo spinge, ad esempio, a costringere la vittima di uno stupro a lavarsi per eliminare possibili campioni di liquido seminale piuttosto che limitarsi a cancellare genericamente le tracce della sua entrata nell’abitazione della vittima. […] “ (G. De Leo, M. Scali, V. Cuzzocrea, M. Giannini, G. L. Lepri, Psicologia Investigativa: una nuova sfida della Psicologia Giuridica in http://www.jus.unitn.it/users/dinicola/criminologia-ca/topics/materiale/dispensa_2_1.pdf , pag 373 – 374)
Canter critica l’approccio statunitense definendolo poco scientifico ad esempio la classificazione dicotomica del criminale come “organizzato” o “disorganizzato” considerata dall’autore anglosassone troppo riduttiva e non sottoposta ad una sicura validazione scientifica. Un’altra differenza molto importante è che il modello americano, centrato esclusivamente sull’analisi della scena del crimine dalla quale poi si ricava il profilo del criminale, non prende in considerazione la vittimologia considerata invece molto importante nel modello inglese di Canter ai fini della comprensione della complessità del fenomeno criminale. (Marco Monzani, 2007) Il modello inglese di Canter, scrive Marco Monzani, utilizza studi empirici e statistiche sempre più aggiornati e tenendo sempre in considerazione la scienza psicologica e i suoi concetti teorici, mentre il modello statunitense si basa soprattutto sulle esperienze precedenti. (Marco Monzani, 2007).
Monzani continua dicendo che Canter, vista la sua estrazione psicologico ambientale, ritiene che la psicologia sia direttamente applicabile allo studio del crimine e sostiene che il crimine stesso consiste in una transazione interpersonale, in una interazione durante la quale i criminali producono azioni socialmente significative e quindi considera che il comportamento criminale e le sue dinamiche sono assimilabili a qualsiasi altro comportamento sociale e devono quindi essere studiati con le stesse metodologie. (Marco Monzani, 2007) L’autore affronta poi un altro aspetto dell’approccio della Psicologia Investigativa: “Canter, poi, ritiene importante la valutazione e l’interpretazione di tutti quei segnali criptici presenti nell’azione del criminale: il mondo segreto in cui vive, l’attenzione impiegata per sfuggire alla cattura, il grado di esperienza dimostrato, gli aspetti particolari dell’azione che possono suggerire un certo tipo di personalità, le abitudini del criminale che possono essere “trasportate” dalla sua vita quotidiana […] Il paradigma utilizzato da Canter può essere definito cognitivista, o meglio, social cognitivista, per distinguerlo dagli approcci di altri studiosi del campo, come Burgess; egli, cioè, ritiene fondamentale, per la comprensione del comportamento deviante, lo studio dei resoconti autobiografici internalizzati, i quali definiscono la struttura più stabile dell’identità personale: per Canter tali resoconti dei serial killer sono accomunati da tratti di egocentrismo, mancanza di empatia, e presenza di ossessioni personali. Tali ombre sono rintracciabili, secondo Canter, sulla scena del delitto e […] analizzabili con la tecnica del profiling.
Per quanto riguarda la classificazione dei reati violenti, egli critica l’impostazione dell’ FBI presentata nel Crime Classification Manual […] Canter ritiene più utile classificare le azioni criminali in espressive e strumentali: le prime sono la conseguenza di frustrazioni, rabbie e rivendicazioni, mentre le seconde sono finalizzate all’ottenimento di un risultato “materiale” che può essere, ad esempio, un tornaconto economico ottenuto attraverso l’impossessamento di oggetti di valore e di denaro.” (Marco Monzani, pagg. 36-37, 2007)
Con questo articolo ho voluto introdurre i lettori a questa disciplina perché rappresenta un nuovo ambito applicativo di non poco interesse professionale anche se ancora nel nostro Paese sono molte le resistenze all’introduzione della nostra figura professionale nel processo investigativo ritenuto da sempre di competenza di altri specialisti soprattutto investigatori appartenenti alle forze dell’ordine. Ma con la legge del 7 dicembre del 2000, n. 397, si modifica in modo radicale la possibilità operativa del consulente a cui ora vengono riconosciuti compiti collegati alla ricerca di fonti di prova. Questa legge, di conseguenza, provoca l’ingresso della psicologia come scienza forense con poteri di tipo investigativo. Con questa legge nasce nel nostro Paese la possibilità di applicare la psicologia, come scienza forense, al processo investigativo e non solo alla fase processuale come succedeva prima. Con l’art. 391 bis del codice di procedura penale il consulente psicologo entra quindi nel contesto penale con un ruolo di partecipazione professionale attiva che si esplica nella possibilità di spaziare in una attività di ricerca che non si limita alla risposta ai quesiti del magistrato. Il comma 1 dell’art. 391 consente ai consulenti tecnici di poter sentire eventuali persone in grado di fornire informazioni utili per l’attività investigativa e gli artt. 391 sexies e septies regolamentano le modalità attraverso le quali i consulenti possono intraprendere attività di sopralluogo per acquisire documentazione diretta di carattere ambientale. (L. Rossi, A. Zappalà, 2004) E’ evidente che per rispondere a queste nuove sfide professionali, che riguardano anche l’importante ambito delle investigazioni difensive, lo psicologo deve prepararsi adeguatamente e curare la propria formazione in maniere ineccepibile viste le responsabilità alle quali è chiamato a rispondere in ambito giudiziario e investigativo. Come scrive A. L. Fargnoli, il ruolo del consulente psicologo con l’introduzione di questa legge cambia radicalmente ed è chiamato a rispondere a nuovi quesiti che richiedono competenze e professionalità del tutto specialistiche e riconosciute come valide dalla comunità scientifica. Il suo compito, continua Fargnoli, era in precedenza, esclusivamente quello di valutare tutti i fattori soggettivi che intervenivano e che si evidenziavano nel corso della sua indagine psicologica, relativi perciò alla ricerca di una “verità soggettiva” ossia del vissuto psicologico dell’individuo, della sua verità e del suo modo di percepire, di sentire e di vivere determinate esperienze; oggi si affianca, aggiunge Fargnoli, il compito di indagare e valutare anche la “verità storica” relativa ai fatti oggetto di indagine operando un lavoro a quattro mani in collaborazione con il lavoro svolto dall’investigatore. Di conseguenza, spiega Fargnoli, lo psicologo è chiamato a partecipare attivamente alla raccolta delle fonti di prova e in questo modo viene ufficializzata la sua presenza sulla scena del crimine in fase di sopralluogo tecnico e la sua partecipazione a quelle attività di ricostruzione dell’evento criminoso che sono proprie della criminalistica.
Scrive Fargnoli: “La nuova posizione in cui lo psicologo si viene a trovare, lo porta necessariamente ad operare in contesti più o meno simili ai precedenti, ma con procedure e metodologie assai più avanzate. Il suo ruolo ad esempio sulla scena di un crimine diventa oggi un supporto innegabile ai fini di una rapida e corretta risoluzione di un caso. La sua professionalità è in grado di offrire informazioni, altrimenti irreperibili, relativi alla comprensione del crimine violento nella valutazione del comportamento deviante, dove per devianza si intende un comportamento che si allontana in maniera più o meno pronunciata dai modelli sociali dominanti e si manifesta come violazione di valori condivisi e regole concordate […]” (A. L. Fargnoli, pag. 8, 2005)
Nei casi di crimini violenti, continua l’autore, la psicologia si affianca all’attività investigativa partecipando attivamente all’osservazione ed all’analisi della scena del crimine a cui segue la costruzione dell’offender profiling, ossia, spiega Fargnoli, la valutazione delle caratteristiche di personalità, socio-demografiche dell’autore sconosciuto di reato, che si basa, continua Fargnoli, essenzialmente sulla raccolta, analisi e valutazione di informazioni riguardanti le tipologie e le modalità di comportamento che l’autore del reato ha messo in atto sulla scena del crimine. In questo senso, spiega Fargnoli, lo psicologo partecipa attivamente in collaborazione con l’investigatore, a quella che nel mondo anglosassone viene definita “analisi investigativa criminale” cioè all’esame ed alla valutazione delle informazioni e delle tracce comportamentali che rappresentano l’evidenza dell’agito sulla scena del crimine, per individuarne, continua l’autore, le caratteristiche di personalità analizzando il suo modus operandi, la scelta della vittima e le condizioni di opportunità per attuare il suo proposito criminale. (A. L. Fargnoli, 2005)
Scrive infatti Fargnoli: “La Psicologia Investigativa, infine, contribuisce ad effettuare un’analisi psicologica e criminologica dei fatti avvenuti, su una base di riferimento multidisciplinare unitamente a quella delle scienze forensi. Si può arrivare alla ricostruzione di una cronologia dei fatti, la dimensione storica dell’evento-reato, anteriori e posteriori all’omicidio, attraverso la ricostruzione dinamica dell’episodio e del suo scenario, ma anche alla costruzione di un identikit psicologico del probabile autore di reato attraverso l’ulteriore analisi comparativa con altri casi simili ed alla eventuale presenza di analogie tra essi. Oltre all’osservazione del fenomeno concentrata sull’autore del delitto, lo psicologo, pone attenzione anche allo studio della vittima quale elemento fondamentale che collega la scena del delitto al soggetto che lo ha commesso: “quel” corpo infatti “parla”. Esso è il testimone muto dell’azione violenta dell’altro, ne porta i segni e si pone come elemento puntiforme della scena: l’attività dello psicologo viene ad esplicarsi, in questi casi, nell’osservazione della posizione del corpo della vittima, delle ferite inferte, di tutte quelle azioni non necessarie ad uccidere che evidenziano un’eventuale patologia dell’assassino, che “narrano” il suo percorso logico-simbolico, gli effetti che intendeva produrre col suo agire e quelli che gli sono “sfuggiti al controllo”, alla “pianificazione”, alla “volontà consapevole”. Non ultimo il compiacimento, o meno, del proprio atto. Tutto diventa “leggibile” come narrazione dell’evento.
La vittima, infatti, è l’esito delle azioni dell’autore. Ciò che si può osservare inoltre è il teatro, la rappresentazione (la ‘schené’) che sta a significare una forma di linguaggio estremo (violento) attraverso cui l’autore libera l’insopportabile pressione dei suoi contenuti psichici. Risulta quindi fondamentale in questa fase l’osservazione complessiva del campo dell’azione: uno “sguardo globale” che spazia a 360° su tutto l’evento; fase che comprende anche l’utilizzo delle sue qualità intuitive, passando attraverso l’esame della scena del crimine, l’analisi dell’azione ed infine l’analisi delle informazioni raccolte. Soltanto a questo punto, all’interpretazione di tutti gli elementi seguirà la costruzione di un profilo. La Psicologia Investigativa si configura in questo modo come un’ulteriore opportunità a sostegno dell’attività dell’investigatore rendendo operativo, non solo un nuovo metodo, ma anche una nuova capacità di sentire, di cogliere e interpretare l’evento criminoso.” (A. L. Fargnoli, pagg. 9-10, 2005). Anche Fargnoli analoga l’attenzione liberamente fluttuante dello psicoanalista, ovvero, spiega l’autore, l’attività mediante la quale l’analista coglie gli elementi essenziali della narrazione del suo paziente e ricostruisce con lui la “sua scena” ponendo particolare attenzione alla percezione globale dei frammenti, delle tracce mnestiche, delle immagini, delle fantasie che costituiscono il pezzi della sua storia, all’attività dello psicologo investigatore che, come l’analista, spiega Fargnoli, somiglia all’archeologo, infatti anche lui raccoglie tracce, frammenti sparsi, residui di un vissuto e stabilisce, continua Fargnoli, un collegamento tra “quella realtà” che non c’è più e la realtà oggettiva che è realmente sotto i suoi occhi al fine di descriverla e, soltanto allora, tentare di spiegarla. (A. L. Fargnoli, 2005)
Scrive infatti l’autore: “Così, trovando i punti di collegamento tra gli elementi sparsi sulla scena del crimine, dando loro una sequenzialità (nello spazio in cui sono stati agiti e nel tempo in cui sono avvenuti e nella modalità in cui sono stati espressi), connotandoli di senso e traducendoli in una significazione compiuta, lo psicologo investigatore analizza, descrive, racconta, ed infine “spiega” i percorsi seguiti dall’autore del reato e pertanto in un certo senso, ‘risolve’ (da res-solvo = sciolgo la cosa, il nodo) l’evento criminoso.” (A. L. Fargnoli, pag. 11, 2005) Ho voluto concludere questa mia breve introduzione alla Psicologia Investigativa con il lavoro di Amato Fargnoli perché mi sembra che esprima mirabilmente la complessità della disciplina e dei fenomeni che è chiamata ad affrontare.
BIBLIOGRAFIA
De Leo, G., Scali, M., Cuzzocrea V., Giannini M., Lepri, G. L., Psicologia Investigativa: una nuova sfida della Psicologia Giuridica in http://www.jus.unitn.it/users/dinicola/criminologia-ca/topics/materiale/dispensa_2_1.pdf
Pascale, G., Striano P. (2006), Aspetti di Psicologia Investigativa, Experta Edizioni, Forlì
Canter, D., Alison, L. (2004), Il Profilo Psicologico, Carocci, Roma
Monzani, M. (2007), Crimini allo specchio. Omicidi seriali e metodo scientifico, Franco Angeli, Milano
Rossi, L., Zappalà, A. (2004), Che cos’è la Psicologia Investigativa, Carocci, Roma
Fargnoli, A. (2005), Il contributo della Psicologia all’attività investigativa, in Fargnoli, A. (a cura di), Manuale di Psicologia Investigativa, Giuffrè Editore, Milano
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