Come superare la nostalgia
Interrogandomi sulla mia vita e sui miei insuccessi, ho realizzato che è da quando ero bambina che ho difficoltà nei rapporti umani, di tutti i tipi, ricreativi, affettivi, di studio e di lavoro. Il disinteresse, l'ostilità, la derisione e la disapprovazione che ho spesso incontrato, non potevano essere causati da una generica sfortuna, e ho capito recentemente che la causa doveva risiedere nel mio carattere, e in particolare in una patologia. Ho fatto alcune ricerche e ho capito di soffrire di disturbo della personalità evitante, più o meno dall'età di 7 anni. Mi ritrovo in ogni sintomo: insicurezza, desiderio di rapporti umani che però fuggo o gestisco in modo maldestro da sempre, vulnerabilità alle critiche e alla disapprovazione, idea che esse siano sempre e comunque giudizi definitivi, mondo immaginario in cui rifugiarmi, immaginazione ipertrofica, ansia nei confronti di qualsiasi responsabilità, paura della vita adulta, difficoltà a essere in sintonia con le mie emozioni e a riconoscerle, infatti mi sento arida e vuota mentre chi mi conosce mi definisce eccessivamente sensibile. Attualmente la mia vita di relazione è inesistente anche a causa del corona virus, ma ne sento un desiderio tale che per viverla sfiderei tutti i rischi di rifiuto che vengono dal mio carattere. Otto anni fa la mia famiglia mi indirizzò, o meglio mi costrinse, all'insegnamento, attività che ho sempre detestato e vissuto con angosce indicibili e che ha comportato per me un'umiliazione dietro l'altra, di cui non incolpo nessuno, se non la mia inettitudine a rivestire un ruolo così importante. Per insegnare ho dovuto lasciare l'attività in cui lavoravo come impiegata con i miei parenti, dove mi sentivo protetta, sicura di me e felice, e tuttora ne provo una nostalgia che mi causa depressione, stanchezza, e rifiuto per ciò che mi circonda e che mi aspetta. Temo che fuori da lì non potrò mai più essere felice. Ora sogno per settembre un futuro tranquillo da ATA nelle scuole, come collaboratrice, ma anche come segretaria, la mia famiglia ha capito e accettato le mie difficoltà, ma io temo sempre che a settembre qualche nuovo ostacolo mi costringerà a continuare con l'insegnamento, anche se capisco che questi timori sono irrazionali non riesco a metterli da parte. Ho voglia di superare la nostalgia per quello che non posso più avere, e di ricominciare a vivere, facendo pace con i miei difetti. Sono seguita da una psichiatra e da una psicologa ma sto lottando con tutte le mie forze per uscire da questa situazione, e forse una risposta potrebbe dirmi se sono sulla strada giusta e come posso comportarmi per affrontare meglio il futuro. Grazie per avermi letta. Mraina.
Cara Marina, lei descrive una condizione psicologico/personologica che si è consolidata negli anni ed a parte la diagnosi nella quale si riconosce le scrivo perché lei chiede se la strada che ha intrapreso è quella giusta e le confermo che è giusta. Lei si sta facendo aiutare in modo professionale dopo tanti anni in cui si è sforzata di fare da sola ed ha capito che i suoi sforzi non erano sufficienti per raggiungere gli obiettivi che lei vorrebbe per sé in campo relazionale e lavorativo. Quindi, immagino che lei abbia fatto un bilancio da cui è nata una consapevolezza che l’ha portata a prendere una decisione coraggiosa: ricorrere alla forma di fronteggiamento del disagio più evoluta a cui possiamo ricorrere noi esseri umani cioè l’aiuto dei nostri simili. Questa forma di aiuto è così importante che si è evoluta dal punto di vista sociale e culturale tanto che sono nate le professioni d’aiuto.
L’aiuto professionale è un aiuto che si sviluppa all’interno di una relazione sicura, caratterizzata da fiducia, rispetto e conoscenza di teorie e metodi per guidare le persone in un percorso di conoscenza di sé stessi e fronteggiamento di quei sintomi che creano disagio.
Disponibile per qualsiasi chiarimento, la saluto cordialmente, Monica Gozzi.
Psicologa, Psicoterapeuta - Reggio nell'Emilia