Adolescenti iperconnessi: i rischi a cui i nostri figli sono esposti nell'era digitale
ADOLESCENTI IPERCONNESSI:
I rischi a cui i nostri figli sono esposti nell’era digitale
L’adolescenza è un periodo fondamentale nella formazione dell’identità dell'individuo. Durante questo periodo il cervello si modella, si definiscono le reti di connessione neurale che consentono alla persona di acquisire competenze cognitive, emotive e relazionali che rimarranno stabili per il resto della vita. Da questa fase di transizione psicologica e neuro-biologica prenderà poi forma il cervello adulto.
L’adolescenza, in quanto periodo di transizione, di ricerca e costruzione della propria identità, è una fase in cui l’esposizione a determinati fattori di rischio può favorire l’esordio di patologie psichiche. Oltre ai fattori risaputi come traumi, maltrattamenti e abusi, droghe, anche l’utilizzo smodato della tecnologia gioca un ruolo importante.
I giovani di questo periodo storico stanno crescendo in un mondo dominato dalla tecnologia digitale. Vengono definiti “i nativi digitali”.
Questa è l'era della comunicazione permanente, oltre ogni barriera.
Ma ci siamo chiesti quali sono i rischi cui i nostri figli vanno incontro vivendo nell'era digitale?
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato che l’utilizzo eccessivo di smartphone, videogiochi, Internet e social network determina delle conseguenze sullo sviluppo cerebrale.
L'onnipresenza della tecnologia nella vita quotidiana provoca una sovrastimolazione sensoriale. I ragazzi sono continuamente esposti a micro-stimolazioni attraverso gli smartphone: messaggi, alert e like contribuiscono a creare uno stato di allerta, con conseguenze a carico dell’attenzione, della memoria e dei ritmi del sonno.
L'utilizzo di uno strumento tecnologico nelle ore serali è in grado di alterare il ritmo sonno -veglia, in quanto espone alla luce brillante degli schermi, che invia un segnale stimolante al cervello interferendo con l’insorgenza e il mantenimento del sonno. Anche la sola presenza di un dispositivo può essere fonte di sovraeccitazione: i ragazzi faticano a dormire perché ricevono messaggi o perché devono controllare i like su Instagram, oppure perché devono collegarsi su un gioco online.
La tecnologia altera i concetti di tempo e spazio, accelera i ritmi di vita e allo stesso tempo riduce le distanze. Questa riduzione dei tempi e degli spazi favorisce una sovrabbondanza di informazioni e di richieste. I ragazzi dunque faticano a gestire tutte queste sollecitazioni, come se il tempo non fosse mai sufficiente. Questo può comportare una tensione che si esplicita nel continuo bisogno di controllare lo smartphone più volte anche in assenza di reali segnali o nell’interrompere continuamente le attività per l’arrivo di una mail, o di un messaggio. Inoltre, la paura di “perdersi qualcosa” se non si è connessi può causare l’insorgere di uno stato di ansia qualora si incontrino degli impedimenti.
L’efficienza della tecnologia ci porta anche ad utilizzare di meno la memoria, perché demandiamo al cellulare o a internet la conservazione di un numero sempre maggiore di informazioni. Ci sono applicazioni per ricordarsi di ogni cosa e che ci ricordano di ogni cosa, per cui smettiamo di avvertire l’urgenza di memorizzare un indirizzo, oppure un percorso, o la data di compleanno di un nostro amico, perché tanto il nostro telefono se ne occuperà. La memoria diventa sempre più esternalizzata.
L'effetto è che dimentichiamo come si svolge una determinata azione, ma sappiamo come chiedere a uno strumento di svolgerla per noi. L’attenzione si potenzia a discapito della performance.
I dati ISTAT segnalano che quasi il 95% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni utilizza internet. In Italia sono stimati in 300mila tra i 12 e i 25 anni quelli con dipendenza da internet. Gli adolescenti sviluppano dipendenza tre volte più degli adulti.
L’utilizzo eccessivo di questi dispositivi può portare i ragazzi all’isolamento sociale e a sviluppare un senso di estraneità dalla realtà circostante. Il cellulare e il tablet diventano così il riempitivo dell'enorme vuoto che si crea attorno a loro e il sedativo che permette loro di non sentire l’angoscia della solitudine. Tutto ciò, disconnettendosi però dalle proprie emozioni, allontanandosi dalla consapevolezza di sè. E dalla realtà circostante. Anestetizzandosi.
E più la tecnologia fomenta la falsa illusione di riuscire a porre rimedio a tutto questo dolore, più il senso di vuoto aumenta e la difficoltà a comunicare con l’esterno appare insormontabile. Attraverso questo circolo vizioso, l’adolescente rischia di perdere una fase fondamentale e preziosa della propria vita, un periodo in cui poter esplorare e individuare le proprie potenzialità attraverso la socializzazione.
La tecnologia in sè stessa non facilita la reale formazione di tutte quelle capacità relazionali di base che si sviluppano normalmente attraverso il dialogo, attraverso l’interazione faccia a faccia con l’altro, che favoriscono le relazioni interpersonali.
E’ all’interno di una relazione reale che impariamo a comprendere e gestire le nostre emozioni, che impariamo a riconoscere le emozioni dell’altro e ad empatizzare. Le relazioni virtuali non hanno la vividezza e la profondità emotiva delle relazioni reali, pur ricordandole. Da una frase letta su uno schermo non riesco a cogliere la ricchezza della comunicazione non verbale dell’altro, fatta di sguardi, cambiamenti del tono della voce, emozioni tradite sul volto, oppure comunicate attraverso il linguaggio del corpo.
Diversi studi hanno analizzato gli effetti cognitivi dell’esposizione ai videogiochi : la loro struttura è stata ideata per andare ad attivare il circuito della ricompensa, ovvero quell’area del cervello legata al piacere. È per questo motivo che diventa facile scivolare in un utilizzo eccessivo di questi mezzi, soprattutto qualora non vi siano regole esterne che lo impediscano. Sono accattivanti. E tale attrattività diventa quindi molto difficile da contrastare. Perché per un adolescente la realtà virtuale può rappresentare una soluzione inconsapevole ad un momento di difficoltà nella vita reale: in internet o su Facebook c’è l’illusione di poter trovare facilmente amici, eludendo le problematiche che si incontrano nel mondo reale. Questo porta a investire in relazioni virtuali, apparentemente appaganti, che dunque possono favorire un isolamento sociale. Si pensi ad esempio al fenomeno dei ragazzi Hikikomori (termine giapponese che significa letteralmente "stare in disparte"), una sindrome sociale che sta dilagando nei paesi più sviluppati tra i giovani dai 14 ai 30 anni, i quali interrompono ogni contatto con il mondo esterno per lunghi periodi (da alcuni mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi nella propria camera. Questi ragazzi vivono solo attraverso il web. Si rifugiano in una realtà alterata da videogame e giochi di ruolo. Il loro unico contatto con l'esterno è la rete virtuale che si creano. Abbandonano gli studi, tagliano ogni relazione, hanno difficoltà a dialogare persino con i genitori.
La tecnologia permette enormi vantaggi sul versante dell’acquisizione delle conoscenze, mentre – se utilizzata in eccesso - rischia di ostacolare la creazione di quelle competenze emotive, affettive e relazionali indispensabili per un adolescente che sta per affacciarsi al mondo adulto. Chiudersi in casa per giocare ai video game, o interagire con i pari attraverso uno schermo, priva i ragazzi di quelle esperienze sociali che permettono loro di acquisire quelle competenze indispensabili per la definizione della propria identità all’interno del gruppo, all’interno del mondo.
Da queste considerazioni deriva l’urgenza da parte di genitori e educatori di tutelare il corso del loro sviluppo, favorendo l'esposizione a fattori positivi e limitando l'esposizione a fattori potenzialmente dannosi. Diventa quindi centrale la necessità di prestare attenzione ai ragazzi che mostrano un rapporto fusionale con questi strumenti.
Il ruolo della famiglia è essenziale per individuare i primi segnali di disagio. L’attenzione non deve essere rivolta solamente alla rilevazione di eventuali situazioni “limite” ma sarebbe bene si focalizzasse anche su tutto ciò che nel quotidiano ci fornisce delle informazioni sul modo di vivere dei nostri figli.
I segnali a cui prestare attenzione sono diversi. Tra questi può essere importante rilevare eventuali problemi del sonno (insonnia, risvegli notturni, ipersonnia diurna), manifestazioni somatiche frequenti (cefalea, nausea, vomito), comportamenti aggressivi (ad esempio quando i ragazzi vengono interrotti durante l’utilizzo di questi mezzi). Il ritirarsi dalle relazioni sociali può costituire un altro importante segnale d’allarme. È bene inoltre valutare attentamente se sia presente una perdita di interesse per le attività e gli hobby quotidiani, o se vi siano dei cambiamenti importanti nel funzionamento scolastico.
Mantenere spazi di condivisione nella famiglia è fondamentale e permette di capire quali difficoltà stanno incontrando i ragazzi, e in che modo le stanno vivendo.
Inoltre un genitore ha il diritto e il dovere di dare delle regole, per delimitare i confini. Talvolta ci si chiede fino a che punto sia giusto imporre dei limiti.
Nel momento in cui tali limitazioni hanno la funzione di tutelare e salvaguardare lo sviluppo dei nostri figli, esse sono lecite, e benefiche. Nel caso dei dispositivi tecnologici, monitorare il tempo che i nostri figli impiegano su smartphone o videogiochi, e concordare assieme a loro i limiti d’utilizzo, spiegando il motivo di tali regole, ci permette di proteggere la loro fase di crescita. In aggiunta, aiutarli ed indirizzarli nei momenti di noia a non ricorrere sistematicamente al telefono o al tablet (funzione di riempitivo). Questo stato di noia, potrebbe essere per nostro figlio uno stimolo importante per attivare il pensiero. L’esperienza dell’annoiarsi porta con sé una spinta motivazionale. Una spinta creativa. Che il ricorso immediato alla tecnologia sopprime.
Si tende a pensare alla noia come a qualcosa di negativo, come tempo perso. Ma alcune ricerche dimostrano come la noia abbia un effetto positivo sulla fantasia. L’era digitale sta invece togliendo le occasioni di annoiarci, riempiendo ogni nostro momento libero. In questo modo viene però tolta ai bambini e agli adolescenti la possibilità di sognare ad occhi aperti, la possibilità di fantasticare, di ideare, abilità fondamentali per lo sviluppo del pensiero creativo.
Il filosofo tedesco Martin Heidegger descrive così la noia: “… si è annoiati da qualcosa e il tempo sembra andare piano; non si riesce a trovare qualcosa da fare per riempire il tempo… L’inquietudine dell’uomo contemporaneo nasce proprio quando esiste un tempo liberato dall’occupazione programmata del quale è divenuto schiavo; attraverso una grande quantità di passatempi, l’uomo fugge da ogni occasione di sosta e di riflessione ed è questo l’indice della più grande perdita di sé. Ma è proprio nello stato di angoscia prodotto dalla noia che l’uomo può essere portato a riflettere sulla sua condizione esistenziale, può arrivare a comprendere se stesso, ascoltando la propria coscienza, i propri impulsi e desideri. In questo modo all’uomo è permesso di trovare la sua possibilità più propria all’interno del complesso di possibilità di essere dal quale è caratterizzato.(Heidegger, 1992).
Limitando dunque l’intrusione dei dispostivi tecnologici nei momenti vuoti, nei momenti di condivisione con la famiglia e con i pari, stimolando i ragazzi ad intessere e coltivare relazioni non solo attraverso il web, ma soprattutto nella realtà, ci permette di preservare in loro la possibilità di vivere tutte quelle esperienze di cui necessitano per sviluppare quelle competenze che saranno preziose nella loro vita affettiva, sociale, scolastica e lavorativa.
Psicologo, Psicoterapeuta - Gorizia
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