Agency: di cosa si tratta?
Agency, non è un costrutto psicologico masticato frequentemente in Italia. Ricordo di aver partecipato ad un convegno a Firenze, che trattava di questa particolare abilità. Ci partecipai incuriosita, perché era legata ad un’esperienza dei reduci di guerra e al disturbo post traumatico da stress.
Siccome è un disturbo al quale mi sono avvicinata da diverso tempo, prima occupandomi delle donne vittime di violenza domestica, poi di abusi, convincendomi sempre di più che il trauma è un concetto generico, una cosa può risultare traumatica per una persona e non per un’altra, tutto dipende dalla maturazione raggiunta dall’individuo, dalle sue risorse e dal sostegno che può incontrare nell’ambiente circostante famigliare e sociale.
I relatori, di tutto rispetto, Jonathan H. Slavin, presidente del Massachusetts Istitute For Psychanaliss e Miki Rahmani, docente emerito di Hebrey University di Gerusalemme, presenziarono al convegno, dal nome accattivante, “La resuressione dell’agency dalle ceneri della guerra: un Figlio diviene terapeuta di suo padre”. Oltre a narrare le sedute di questa persona, che diventava terapeuta del padre facendo leva, sulla capacità dello stesso di ritrovare il proprio senso di valore ad emergere dalle ceneri nel quale era caduto. Si proiettò inoltre un video molto popolare in quel periodo su fecebook. Il video, rappresentava un bambino di tre anni, molto dolce, che disqusiva sul fatto se mangiare o meno il polpo, che gli aveva cucinato la madre. Un bambino, molto intelligente, non c’erano dubbi, perché da quella cosa in particolare, riusciva a generalizzare sul fatto, che tutti gli animali che mangiamo, devono morire, e che lui non gradiva in particolare, che degli animali dovessero morire, per soddisfare l’appetito di qualcuno, ed in particolare il suo.
Mi colpì la sensibilità della madre, che aveva fatto il video. Se questa, avesse fatto come la maggior parte dei genitori, obbligandolo a mangiare tutto, perché solo così, sarebbe cresciuto forte e sano, non saremmo qui a parlare di agency. Questa madre, lo ascolta e accoglie la sua richiesta, emozionandosi.
Comincia a circolare una situazione di grande valore. Si emoziona, prende molto sul serio quello che il figlio gli comunica; il bambino, capisce di aver agito sull’ambiente, provocando emozione. Questa emozione, non si perde, ma serve al figlio stesso per intuire, di aver fatto qualcosa di bello.
Probabilmente non serve, un episodio unico, per poter istaurare questa capacità di agency, ma scommetto, che questa madre, così attenta, sarà stata in grado di replicare in altre situazioni, questa bella interazione diadica.
Dopo un po di tempo, mi trovavo personalmente a riflettere, su come poter cambiare, una situazione e quale teoria psicologica poteva venirmi in aiuto. Così, mi tornò alla mente questo concetto di agency, che è diverso dall’autostima. L’autostima, è un modo di sentirsi, si ricollega, a un principio interno.
L’agency è più una sensazione di efficacia a poter influire sull’ambiente circostante, da un principio individuale, si arriva ad uno globale e si concretizza, più o meno consapevolmente la capacità a poter influenzare l’ambiente esterno; una specie di influencer.
Dalla parte opposta quando l’ambiente è sordo a qualsiasi richiesta venga prodotta da un individuo e nello specifico da un bambino in formazione, si riproduce la stessa situazione, dell’esperimento della rana, che dentro una pentola, dove viene gradatamente scaldata l’acqua, finisce per morire bollita, perché si abitua al calore dell’acqua, via via, sempre più calda e quando questa, comincia a bollire, non ha più la forza per poter uscire e salvarsi la vita.
Questo esempio della rana, mi è servito molte volte a comprendere il comportamento, di certe persone, che rimangono per anni, in situazioni molto complesse, ma poi mi dico, che probabilmente hanno fatto come quella rana, inibendo i centri del dolore e trovando normale ciò che non lo è. Così un bambino al quale vengono continuamente negate questa potenzialità, gradatamente le perderà e si abituerà a farsi guidare, più che a guidare lui stesso. Le strutture sociali e organizzative forniscono una serie di pratiche sociali condivise, questo vale per i sistemi relativamente piccoli come quello famigliare, a quelli più vasti, delle organizzazioni sociali.
Le persone con agensività, riescono a trarre vantaggio dai vincoli istituzionali della struttura stessa, sfruttano le risorse date dal sistema e sono meno soggette allo scoraggiamento imposto da esso. Le loro scelte sono influenzate dal grado di efficacia a gestire gli eventi; la perseveranza, la resilienza, aumenta; la qualità della prestazione subisce un miglioramento, se io mi sento adeguato e sento, che l’ambiente mi apprezza, la mia prestazione migliorerà. L’agentività (agency) è la facoltà di far accadere le cose, intervenendo sulla realtà, esercitando un potere causale.
L’agency non è semplicemente un tratto o un’attività del singolo individuo, ma piuttosto un modo contestualmente agito, di essere nel mondo.
Ne consegue che l’agency, è sempre un evento sociale, che non avviene in un vuoto, o in un ambiente deserto. James P. Lantolf e Steven L. Thome 82006, p.143, sostengono che l’agency è qualcosa di più del controllo volontario sul comportamento. Essi spiegano che l’agency comporta anche la capacità di assegnare rilevanza e significato alle cose e agli eventi.
A questo proposito l’agency, è sottilmente distinta, dal concetto di libero arbitrio, la dottrina filosofica, secondo cui, le scelte sono significativamente libere, o indeterminate e non il prodotto di catene causali. Albert Bandura, identifica cinque capacità di base: la capacità di simbolizzazione, cioè di rappresentare simbolicamente la conoscenza, tramite ad esempio il linguaggio.
La capacità vicaria, di previsione, ciò la capacità di anticipare gli eventi futuri, importante sia a livello emotivo che motivazionale. Di autoregolazione, capacità di stabilire obiettivi e di valutare le proprie azioni, facendo riferimento a standard interni di prestazione. Di autorifessione, cioè di riflettere in modo consapevole su sé stessi. Esse assegnano a ciascuna persona un ruolo proattivo, selettivo e trasformativo nei confronti dell’ambiente. Queste capacità, pur essendo distinte, operano abitualmente in sinergia.
C’è un continuo feedback tra queste competenze di base, gli esiti delle azioni, in relazione al contesto entro il quale si agisce, producendo, una capacità in base, all’esperienza di efficacia propria, o altrui. Ci sono dei disturbi psicologici, che inibiscono questa capacità. Il disturbo post- traumatico da stress, ad esempio, produce nel soggetto, la sensazione, di non essere più padrone delle proprie azioni, in quanto ciò, che ha procurato il trauma, ha sovrastato il sistema. Altre patologie, come la schizofrenia, hanno la caratteristica di inibire questa capacità. Il soggetto percepisce forze esterne, che dirigono il suo comportamento e i suoi pensieri. Ad esempio, la sensazione, che il suo braccio non sia mosso da una forza volontaria, ma dall’esterno. Nel disturbo narcisistico di personalità, ci può essere una sovrastima di questa competenza.
Hascalovitz e Ohbi (2015), hanno studiato in laboratorio, questa abilità. Nel narcisismo non clinico, questa capacità di agency , è stata studiata attraverso il paradigma, dell’intetional binding. Tale paradigma, misura la differenza, che esiste tra: l’intervallo di tempo oggettivo tra un’azione e il suo effetto (ad esempio tra il click del mouse e la comparsa di un’immagine sullo schermo) e la percezione soggettiva dell’intervallo trascorso.
Quando erano i soggetti stessi, a completare l’azione, il tempo stimato, tra l’azione e l’effetto, risultava inferiore a quando i soggetti erano spettatori dell’azione. Questo esperimento è la misura del senso di agency che il soggetto ha.
Queste capacità migliora, non solo con la conoscenza delle proprie capacità, ma anche con la comprensione delle specifiche abilità richieste per quella prestazione particolare.
Forme più articolate di agency esistenziale, riguardano il sentirsi in potere di compiere scelte, la sensazione di essere impotenti e vittime di regole morali sulle quali non abbiamo controllo.
Quando nello specifico aderire ad ogni sorta di regole morali, è una nostra libera scelta. La nostra condotta è sorretta da strutture cognitivo-valutative che nel corso dello sviluppo si affinano secondo come, ha risposto l’ambiente circostante alle stesse.
Buona Vita!
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Ottima spiegazione, complimenti!
Antonio il 16/09/2020
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