Dott.ssa Paola Liscia

Dott.ssa Paola Liscia

Psicologo, Psicoterapeuta

Tentato Suicidio → Arrivare a compiere un gesto estremo

Venire a conoscenza del tentativo di suicidio di una persona a cui si è legati, è una notizia che scuote profondamente l’animo umano.

Oltre al dolore e al senso di impotenza per l’accaduto, il pensiero successivo riguarda il motivo per cui ciò sia potuto accadere e la possibilità di fare qualcosa affinché ciò non succeda nuovamente.

Le ragioni per cui si arriva a compiere un gesto così estremo sono molteplici, tanto che non è semplice riuscire ad attuare una prevenzione efficace. Quando una persona decide di porre fine alla propria vita, manifesta l’espressione estrema del suo disagio e il suicidio diventa l’unica soluzione possibile.
Gli studi compiuti sul fenomeno hanno permesso di identificare delle caratteristiche comuni tra le persone che tentano il suicidio: la presenza di una patologia psichiatrica, una forte depressione, l’uso di droghe o alcol, esperienze di perdita molto dolorose come quelle di una persona amata o del lavoro e la presenza di una malattia fisica molto grave. Naturalmente non è detto che chi si trovi a vivere una delle situazioni sopracitate, tenterà il suicidio, poiché tutti noi possediamo le risorse per affrontare questo tipo si situazioni stressogene, tuttavia questi possono essere degli indici utili a mantenere uno stato di maggiore attenzione sia in chi le vive, sia in chi gli sta vicino.

Il tentativo di suicidio può avvenire sia in presenza che in assenza di un disturbo psichiatrico, la differenza sta nella diversa capacità sia di stare in contatto con la realtà, che nella capacità di contenere i propri impulsi. Questi fattori possono essere inoltre alterati dall’uso di una sostanza che come in presenza di una sintomatologia psicotica, presuppongono una distorsione della realtà e uno scarso controllo dei propri impulsi, soprattutto se il tentativo di suicidio avviene attraverso un atto violento.
Chi ha un maggiore controllo sui propri impulsi ha la capacità di pianificare con cura il proprio tentativo, utilizzando modalità meno violente e curandosi di lasciare dei piccoli indizi per poter essere salvato.

E’ stato constatato che la maggior parte delle volte il tentativo di suicidio può esser considerato come un indiretta richiesta d’aiuto, tanto che la percentuale di quelli che falliscono è molto più elevata di quelli che giungono alla morte.
Accogliere la richiesta e darle la giusta importanza, può aiutare a prevenire un nuovo tentativo, ecco perché quando un fatto simile accade o qualcuno manifesta l’intenzione di compierlo, non ne va mai trascurata l’importanza. In questi casi occorre rivolgersi alle istituzioni o ai professionisti competenti sia a scopo preventivo che curativo, prima, durante e dopo l’accaduto.
Sopravvivere al tentato suicidio, porta con se una serie di cambiamenti che riguardano sia chi lo ha agito che chi gli sta vicino.

Il suicida mancato si trova a fare i conti con il suo fallimento, con le motivazioni che l’hanno portato al gesto estremo, con il confronto e le reazioni delle persone a cui è legato.
Questo aspetto apre una serie di reazioni emotive, di difficile gestione, tanto che può diventare un ulteriore problema da affrontare, anche in questo caso l’aiuto di un esperto e della rete di persone a cui si è legate, diviene un bene prezioso di cui è preferibile servirsi.
I familiari e gli amici della persona che tenta il suicidio possono diventare più ansiosi e protettivi, per prevenire ulteriori ricadute, e maggiormente preoccupati davanti al minimo stato di malessere della persona. In questi casi è importante riuscire a parlare dell’accaduto e imparare a comunicare in modo più esplicito e diretto affinché non sia necessario agire nuovamente un comportamento autolesivo per attirare l’attenzione.

Nel cambiare occorre stare attenti al rischio di restare incastrati in una dinamica ricattatoria, dove per evitare che l’altro si tolga la vita, si è disposti ad accontentare qualsiasi sua richiesta.

In questi casi è preferibile che anche la famiglia sia coinvolta nel processo terapeutico del paziente, così da evitare che questa si assuma la responsabilità della sua vita, impedendogli di portare avanti il suo percorso di crescita.

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