I ricordi: dove finiscono?
L’oblio è particolarmente rapido all’inizio, ma successivamente ha la tendenza a stabilizzarsi e a procedere su scala logaritmica con un andamento fisso a gradini, dove ogni gradino, comporta la perdita del doppio dei ricordi rispetto al gradino precedente.
Ebbinghaus, tuttavia, non fu in grado di trovare una spiegazione a questo procedere dell’oblio, avanzando solo poche ipotesi.
Studi odierni, invece, hanno dimostrato che la capacità del cervello è stata calcolata, facendo riferimento all’unità di misura della memoria dei recenti super-computer in dieci miliardi di flops, ovvero le operazioni in virgola mobile (FLoating point Operations Per Second).
Attualmente la memoria centrale dei maggiori super-computer è capace di eseguire 33,86 biliardi di calcoli al secondo. I meccanismi psichici del dimenticare invece sono altri e molto complessi; il cervello conserva le informazioni che considera utili (cui accede spesso) e dimentica tutto cio’ che non richiama alla memoria da tempo.
I neuroni e le sinapsi nervose, conservano tutti quei ricordi che sono legati ad un'emozione, e che coinvolgono quindi emotivamente l’individuo. Non sempre però le emozioni aiutano la memoria; durante un esame ad esempio, si va “nel pallone” non riuscendo a ricordare ciò che si è studiato, cio’ è causato dall’ansia che stimola l’aumento dell’attività dei centri dell’emozione, ostacolando la capacità di sradicare i ricordi dalla mente.
Per recuperare quindi la memoria occorre ottenere uno stato di rilassamento psichico e corporeo, così che l’attenzione non è più debita dal panico e può incentivarsi alla ricerca delle nozioni immagazzinate; molto utile in questi casi il Training Autogeno In Psicoterapia. Oggi è ancora molto enigmatico capire dove finiscono i ricordi dimenticati, tantissime teorie a riguardo sono molto discordanti tra loro, ma rilevante uno studio condotto negli anni 50 da Wilder Penfiel, un neurologo che attuò degli studi su individui affetti da epilessia.
Penfiel per individuare i focolai epilettici di un migliaio dei suoi pazienti, ne sondò la corteccia celebrale con degli stimoli elettrici. Stimolando i lobi temporali riusci’ ad evocare nei pazienti voci di persone, motivi musicali e immagini, prima confuse e successivamente sempre più nitide. Inizialmente pensò che lo stimolo facesse rivivere ricordi abbandonati in piccole porzioni celebrali (dove si era persa la direzione dell’impulso celebrale), oggi invece sappiamo che non c’è nessuna certezza che l’evento evocato sia realmente accaduto e potrebbe anche essere una sorta di sogno (Steven Rose 2005), vissuto come un ricordo dal paziente che gli attribuisce un nuovo significato, associandolo ai veri ricordi.
Un altro automatismo psichico che porta alla dimenticanza è la errata catalogazione dei ricordi che riemergeranno successivamente, spesso rievocati da un evento assolutamente divergente, diceva Andrew Young psicologo statunitense, dimostrando che gli errori possibili sono tre:
Non avviene mai quindi che si riconosca una persona, che se ne conosca il nome e si ignori tutto della sua vita, questo perché il cervello individua prima i tratti somatici del viso, riconoscendolo come familiare e non, passando da un altro magazzino dei ricordi, (Memoria semantica, episodica e autobiografica), dove sono conservate le notizie meno importanti, per poi ultimare con il recupero vero e proprio del nome.
Dalla mia personale esperienza clinica, la difficoltà nei ricordi è dovuta anche alla mancanza di significato dei nomi, ricordiamo ad esempio il mestiere di un individuo, ma non il suo vero nome e tutto si amplifica in presenza di stress, distrazione, sofferenza, interferenze psichiche e fisiche con il mondo esterno che ci influenza nel “ qui ed ora “. Anche i ricordi della prima infanzia cadono nell’oblio quando i bambini apprendono nuove nozioni grazie al linguaggio, questo perché la capacità di relazionarsi con gli adulti con un linguaggio acquisito, permette di rappresentare un nuovo mondo (Memorie linguistiche, memorie Prelinguistiche).
Sigmund Freud affermava che i ricordi della prima infanzia non sono stati mai rimossi completamente, le cose che crediamo di aver dimenticato sono ancora li’ e possono riapparire nella coscienza, nascosti nell’inconscio.
L’io infatti coincide con l’inconscio, parte adattiva della nostra psiche, media tra gli impulsi del nostro mondo interno e le esigenze esterne della nostra realtà.
E fra l’inconscio e l’Io, troviamo il “Super-Io” che discosta nell’inconscio tutte le pulsioni inaccettabili, perché considerate vergognose o dolorose come un meccanismo di difesa, una protezione inconscia presente in ogni individuo.
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