Dott. Rocco Luigi Gliro

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Dott. Rocco Luigi Gliro

Psicologo, Psicoterapeuta, Ipnotista, Practitioner E.M.D.R.

Mindfulness e Ipnosi - parte 1

1. MINDFULNESS E IPNOSI: UNA DEFINIZIONE.

Spesso mindfulness e ipnosi vengono messe in relazione da diversi studiosi, affermando che l’esperienza della mindfulness somiglia a quella ipnotica (Lynn, Malaktaris, Maxwell, Mellinger e van der Kloet, 2012).

Yapko (2011), uno psicologo americano, studioso nel campo del l’utilizzo dell’ipnosi per la terapia della depressione, autore del libro “Mindfulness e Hypnosis”, vede ipnosi e mindfulness come un unico processo.

Ciò nonostante, se ci sono alcuni aspetti che si possono sicuramente sovrapporre, in modo da far sembrare simili le due pratiche, in altri ambiti invece le differenze sono abbastanza nette facendo emergere l’unicità di ogni metodo.

Prima di entrare nel merito, però, c’è da fare una piccola precisazione che riguarda l’ipnosi tradizionale e quella Ericksoniana (altresì definita “la nuova ipnosi”).

In relazione alla prima, la mindfulness (meditazione di consapevolezza) si differenzia molto di più rispetto alla nuova ipnosi, dove invece le somiglianze appaiono sicuramente maggiori.

In questo lavoro verranno valutate le relazioni tra la mindfulness ed entrambe le ipnosi, con particolare attenzione a quella Ericksoniana. Inoltre, essendo la mindfulness una pratica meditativa, meditazione e mindfulness verranno usate in maniera interscambiabile.   

 Prima di tutto partiamo da una definizione chiara dei termini per chiarire eventuali ambiguità.

"Ipnosi" deriva dalla parola greca "Hypnos", dio del sonno nella mitologia greca, che significa per l’appunto sonno, anche se sonno non è proprio. Fu proposto e introdotto nel 1843 dal dott. Braid come un sostituto più accettabile per la comunità scientifica di termini come “magnetismo animale" o "mesmerismo". Secondo Braid, i fenomeni ipnotici dipendono esclusivamente da “un impressione sui centri nervosi” (Erickson M.H.,1980c).

L’ipnosi ha diversi risvolti. È prima di tutto uno stato di trance inteso come modificazione dello stato di coscienza, ma è anche un campo di ricerca e di cura psicologica o come modalità di accesso alla vita psichica inconscia del paziente (Erickson M.H., 1980a).

È definita da Milton Erickson come “uno stato di coscienza altamente focalizzato” aventi come caratteristiche principali:

- Attenzione focalizzata;

- Rapport esclusivo con l’ipnotista;

- Maggiore osservanza alle suggestioni dell’ipnotista;

- Accresciuta attenzione alle immagini interne rispetto a quelle esterne;

- Diminuzione della risposta d’allarme;

- Riduzione della capacità di pensare in modo critico.

L’ipnosi può anche trasformare la percezione del soggetto e quindi la sua esperienza in una differente forma di realtà (Revenstorf, 1996; Peter, 2009).

Il termine "meditazione" deriva invece dal latino "meditatio" e originariamente indicava ogni tipo di esercizio fisico o intellettuale.

Numerose sono le pratiche di meditazione, come quella buddista, cristiana, islamica, indù e ebraica.

Secondo Tart (2001): “alcuni aspetti che sono stati descritti come ‘autoipnosi’ da uno scienziato potrebbe essere descritto come ‘meditazione’ da un altro scienziato e viceversa”.

Diversi studiosi dell’università di Friburgo in Germania (Halsband, Mueller, Hinterberger, Strickner), nel loro articolo del 2009 pubblicato sul “British Society of Experimental & Clinical Hypnosis Contemp.”, citando anche Lutz (2004, 2008), affermano che esistono un’ampia varietà di pratiche meditative che hanno effetti diversi sulle funzioni cerebrali. Inoltre, continuano gli autori, Lutz suggerisce di raggruppare le tecniche di meditazione in due categorie principali:

1)    Attenzione Focalizzata,

2)    Monitoraggio Aperto.

Nel primo tipo di pratica, “Attenzione Focalizzata”, l’attenzione viene diretta su un oggetto specifico, ad esempio il respiro, cercando di mantenerla il più possibile e riportandola sull’oggetto scelto ogni volta che l’attenzione si sposta su altro non inerente la meditazione. Shamatha, per esempio, è una tecnica di meditazione che si focalizza su un oggetto e che produce effetti di serenità e calma. Ogni volta che il meditante si accorge che l’attenzione si è spostata su pensieri, sensazioni o emozioni, piacevoli o spiacevoli, l’istruzione è di notare tutto questo e con gentilezza riportare l’attenzione all’oggetto selezionato, come per esempio il respiro.

Nella seconda pratica, il monitoraggio aperto, Vipassana ne è un esempio, non c’è un oggetto specifico su cui dirigere l’attenzione. È caratterizzata da un’attenzione aperta, senza oggetto, osservando l’esperienza e coltivando l’intuizione, la contemplazione e l’introspezione.


2. LA MINDFULNESS

La parola mindfulness indica “Uno stato mentale che ha a che fare con particolari qualità dell’attenzione e della consapevolezza… …si riferisce semplicemente alla consapevolezza in quanto stato di coscienza, che potenzialmente è già presente in tutti noi.” (Siegel, Williams e Teasdale. Mindfulness, Al di là del pensiero, attraverso il pensiero, Bollati Boringhieri, 2014).

Questo stato mentale non è orientato a scopi o mete, ma ha il focus sul presente e a lasciar essere le cose come sono.

Difatti, mindfulness è la traduzione inglese della parola “Sati” che significa consapevolezza in lingua Pali, che può essere coltivata e sviluppata attraverso la pratica della meditazione, portando l’attenzione all’esperienza così come si svolge momento per momento.

La meditazione di consapevolezza o semplicemente mindfulness, è stata sviluppata e trasmessa dal Buddha, circa 2500 anni fa, e rappresenta una pratica per accrescere l’attenzione. Nella tradizione Theravada, propria del buddhismo antico, il metodo di meditazione è denominato vipassana, anche detta meditazione di consapevolezza o insight meditation, il cui fine è di coltivare “Sati”.

La diffusione della mindfulness la si deve a Jon Kabat-Zinn, che ha proposto la pratica della mindfulness in maniera diversa e in ambienti come gli ospedali, quindi non prettamente meditativi, a partire dal 1979, attraverso il protocollo MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction), al fine di facilitare la comprensione e soprattutto l’utilizzo in occidente.

L’interesse per la mindfulness è fiorita moltissimo nel corso degli anni, grazie proprio al protocollo MBSR di Kabat-Zinn, ma anche alle terapie cognitivo-comportamentali di “terza generazione” tra cui la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT) (Teasdale et al., 2000), la Dialectical Behavior Therapy (DBT) (Linehan, 1993) e l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) (Hayes, Strosahl & Wilson, 2003).

La popolarità della Mindfulness è cresciuta in maniera esponenziale, tanto che molte riviste importanti a livello mondiale, tra cui quella americana “Time”, si sono interessate a questa pratica di consapevolezza, tanto da considerarla addirittura una vera e propria rivoluzione.

Oltre a questo popolare interesse intorno alla Mindulness, cosa molto importante sono i numerosi studi scientifici, che si stanno moltiplicando negli ultimi anni, con il fine di comprendere l’efficacia clinica e l’impatto generale sulla persona di questa pratica di consapevolezza, nonché i processi neurofisioligici che sono alla sua base.

Come ha scritto lo stesso Kabat-Zinn nell’introduzione all’ultima edizione del suo celebre “Full Catastrophe Living” (2013): “La pratica della consapevolezza sta diventando una parte integrante del panorama sia americano, sia mondiale.”  

 

Nel suo libro Kabat-Zinn cita alcune ricerche che mostrano che certe zone del cervello rispondono all'addestramento alla meditazione, attraverso il suo metodo basato sulla pratica della consapevolezza (MBSR), producendo effetti positivi nel migliorare il benessere e la qualità della vita e influenzando varie attività come l’attenzione, la memoria, l’apprendimento, la regolazione emozionale e la valutazione delle minacce.

Usando scanning fMRI del cervello, alcuni ricercatori, di diverse università, hanno mostrato che otto settimane di addestramento MBSR producono svariati effetti su diverse aree del cervello (ispessimento di alcune aree del cervello e riduzione di altre, attività neuronale accresciuta in diversi circuiti e decresciuta in altri) associate all’apprendimento e alla memoria, alla regolazione delle emozioni e al senso di identità, al senso di presenza nel corpo e nel momento presente, all’esperienza del sé nel tempo, altresì chiamato circuito narrativo, o alla valutazione e risposta a situazioni percepite come minacciose.

La mindfulness, in breve tempo, anche grazie a queste ricerche, si è affermata non soltanto come fenomeno culturale ma soprattutto come un nuovo paradigma scientifico.

Secondo la definizione più classica e diffusa, data dallo stesso Kabat-Zinn et al. (2003), Mindfulness “È prestare attenzione, in modo particolare, intenzionalmente, al momento presente, in modo non giudicante, al dispiegarsi dell’esperienza momento per momento.”

Mindfulness ha anche il significato di processo di consapevolezza che emerge dall’esperienza meditativa.

In sostanza, è un modo diverso (rispetto alle modalità abituali di ognuno) di entrare in contatto con la propria esperienza (sia essa positiva, negativa o neutra), stimolando le risorse per ridurre il livello generale di sofferenza e accrescere il benessere (Germer, Siegel & Fulton, 2005), e, soprattutto, modificando il modo di relazionarci con il dolore e la sofferenza.

Praticata con serietà ed impegno, la meditazione di consapevolezza persegue l’obiettivo di coltivare la capacità di vedere le cose come sono e non come pensiamo che siano (Nyanaponika, 1965).

 

2.1.Brevi note sulle origini della mindfulness

Come già scritto prima, la meditazione di consapevolezza (mindfulness) è stata sviluppata e trasmessa dal Buddha. Le istruzioni originali del Buddha per eseguire tale pratica, brevi ed essenziali, appaiono in due principali scritture Buddhiste, l’Anapanasati-sutta (discorso del Buddha sulla consapevolezza del respiro) e la Satipatthana-sutta (i quattro discorsi del Buddha sulle fondamenta della presenza mentale).

Buddha spiega come coltivare la consapevolezza, con un’attenzione particolare all’inspirazione e all’espirazione che avviene attraverso il naso. Il respiro diviene così un oggetto di consapevolezza e viene usato per facilitare l’addestramento dell’attenzione.

C’è da precisare che chi pratica non utilizza l’attenzione solo al respiro, ma anche su altri aspetti della mente come i pensieri, le sensazioni fisiche, le emozioni e le percezioni, nonché la volontà (intenzione) e l’impermanenza dei fenomeni.

Dal punto di vista Buddhista ci sono due forme di pratica di consapevolezza (Shaw, 2006):

1.     Samatha. Meditazione di concentrazione. L’obiettivo è il conseguimento di uno stato di pacificazione interiore attraverso un assorbimento meditativo.

2.     Vipassanā. Meditazione di visione penetrativa. Sviluppa la massima consapevolezza di tutti gli stimoli sensoriali e mentali, per coglierne la reale natura. Il corpo e la mente sono il dominio nel quale è possibile scoprire, con una attenta visione, la verità.

 

Indipendentemente dal metodo usato, chi pratica rivolge l’attenzione al respiro monitorando nello stesso tempo pensieri, sensazioni ed emozioni senza alcuna censura o giudizio.

Nel momento in cui, come capita spesso, l’attenzione può distogliersi spontaneamente dal compito di concentrarsi sul respiro ("mind wandering"), al praticante viene chiesto di notare semplicemente dove si è spostata l’attenzione per poi tornare al respiro in maniera gentile e delicata.

All’apparenza facile, questa pratica si rivela molto impegnativa per chi è all’inizio. Diversi principianti, infatti, si lamentano di come inizialmente ci si distrae facilmente durante il focus sul respiro. Questo distarsi della mente dalla disciplina della meditazione è definita “mente errante” (Schooler et al., 2014) e chiamata scherzosamente “mente di scimmia”, perché la si paragona ad una scimmia selvaggia che salta continuamente da un ramo di albero ad un altro. Diversi sono oggi gli studi su questo fenomeno del vagare della mente (mind wandering).

Al contrario, quando la mente si cristallizza su un’idea, su un sentimento o su una sensazione si parla di “mente d’asino”, perché si comporta come un asino che, legato ad un palo, reitera insistentemente un comportamento inefficace al fine di liberarsi. I tibetani chiamano questo stato mentale shempa (Chödrön, 2006).

 

3. L’IPNOSI ERICKSONIANA

Milton Erickson è stato colui che nel XX secolo ha rivoluzionato il mondo dell’ipnosi, producendo tecniche innovative sia nell’induzione ipnotica che nella ipnoterapia, ispirando terapeuti di tutto il mondo.

Nell’ipnosi tradizionale, l’ipnotista aveva un ruolo importante, di superiorità rispetto al soggetto e al suo cambiamento, usando come tecniche di induzione principalmente la fascinazione e il rilassamento.

Nella nuova ipnosi, Erickson ha dato un taglio netto con la tradizione, mettendo al centro del cambiamento e dell’ipnosi il soggetto stesso con le sue risorse e capacità, alla base dell’approccio naturalistico e di utilizzazione.

La nuova ipnosi, come viene definita l’ipnosi ericksoniana, “si fonda su due concetti innovativi: l’utilizzazione, intesa come ‘filosofia d’intervento’ ma anche come tecnica, con cui si mette al centro dell’induzione ipnotica la relazione ipnotista-ipnotizzato, e il ‘tayloring’ (cucire su misura un abito) grazie al quale si esce da un approccio standard e ripetibile di induzione e di ipnoterapia per preferire una modalità tecnica di ipnosi elastica e adattabile alla peculiarità di ciascun singolo soggetto” (Del Castello-Casilli, 2007).

L’approccio ericksoniano all’ipnosi, definito anche naturalistico (Erickson parla di ‘comune trance quotidiana, riferendosi alle normali e naturali discontinuità della coscienza), si basa sul fatto che l’ipnotista accetta e utilizza la situazione del soggetto, senza ristrutturarla in prima persona, ma lasciando al soggetto tale responsabilità sfruttando le sue risorse, facendolo diventare protagonista attivo del suo cambiamento. L’approccio non è più autoritario e direttivo come nell’ipnosi tradizionale, ma si fonda sul riconoscere che nelle persone sono presenti delle risorse e abilità che possono essere potenziate grazie alla trance ipnotica.

Che cos’è l’ipnosi per Milton Erickson?

Vediamo cosa dice in una conferenza da lui tenuta all’America Society of Clinical Hypnosis nel 1959 a Youngstown in Ohio (tratto da “La ristrutturazione della vita con l’ipnosi” M.H. Erickson, E.L. Rossi, M.O. Ryan, Edizioni Astrolabio, 1987):

“…vorrei definire l’ipnosi come uno stato di consapevolezza speciale caratterizzato da ricettività alle idee..., …di ricettività speciale alle idee, di disponibilità speciale a esaminare idee”

Come afferma Erickson si tratta di una consapevolezza speciale, che usa un linguaggio diverso, e cioè quello della mente inconscia, ed è molto chiaro quando parla di ipnosi, non c’è per lui un margine di trattativa:

“nell’ipnosi impiegate la mente inconscia... …Il nostro pensiero ipnotico è quello della mente inconscia; prestiamo la nostra attenzione solo a una particolare idea, a un particolare pensiero di valore o significato nella situazione immediata” (Erickson, 1987).

Erickson parla quindi, sia di consapevolezza che di situazione immediata, e, all’apparenza, sembrerebbe richiamare alla mente una chiara somiglianza con la meditazione di consapevolezza e il momento presente di cui parla Kabat-Zinn nella mindfulness. Così non è però.

Infatti, per Erickson ipnosi è attenzione ad una sola idea, con una relazione esclusiva con l’ipnotista: “In trance ipnotica, ascoltereste me; e ascoltereste semplicemente le idee che vi presento. Non vi sarebbe necessario includere nella vostra consapevolezza le percezioni del fatto che sono seduto, che sono di fronte a voi, che tengo in mano il microfono, che sono seduto vicino al tavolo, e così via. Dareste la vostra piena, consapevole attenzione solo e semplicemente alle idee che vengono presentate” (Erickson, 1987).

La piena consapevolezza solo alle idee che l’ipnotista presenta. Vuol dire che c’è una chiara riduzione del campo percettivo, ottenuta attraverso le suggestioni che vengono impartite dall’ipnotista al soggetto che si trova in una trance ipnotica.

Nella Mindfulness, c’è anche (e sicuramente) un’attenzione ad un solo oggetto quando si pratica la meditazione sul respiro, ma questo non vuol dire che si precluda la possibilità di aprirsi ad altri oggetti, come per esempio pensieri, sensazioni, emozioni o altro. Il respiro, o l’oggetto su cui prestare l’attenzione, è un pretesto per restare sul presente, su ciò che succede momento dopo momento. L’attenzione non viene manipolata (nell’ipnosi tradizionale) o guidata (nella nuova ipnosi) per ridurre il campo percettivo, ma diretta al momento presente, a ciò che accade istante dopo istante, al fine di ampliare la percezione. E per quanto riguarda la relazione di esclusività tipica del rapport ipnotico, nella mindfulness questo non avviene, l’istruttore non catalizza su di sé l’attenzione della persona.

Ed ancora, la differenza che Erickson traccia con la mente conscia è veramente netta: “…sappiamo che nel pensiero conscio, ordinario, di ogni giorno, tendiamo a dedicarne una gran parte per orientarci verso ciò che immediatamente ci circonda. Per esempio, nel momento attuale state ascoltando me, siete anche consapevoli del fatto che c’è qualcuno seduto alla vostra sinistra, alla vostra destra, dietro a voi e avanti a voi; siete consapevoli del fatto che sto tenendo un microfono in mano, che sono seduto, che ci sono delle luci sul soffitto, e che c’è un orologio sulla mia testa” (Erickson, 1987).

Questa definizione sembra descrivere con esattezza una piena consapevolezza del momento presente, di ciò che succede adesso, di tutto ciò che accade in questo preciso istante.

Potremmo affermare che se chiedessimo a Erickson di confrontare l’ipnosi con la mindfulness, lui direbbe che l’ipnosi è essenzialmente “mente inconscia” e la mindfulness è fondamentalmente “mente conscia”.

La consapevolezza in trance ipnotica si riduce così come si riduce il campo di attenzione ad una sola idea, come un faro nella notte che illumina solo una parte, limitata, di ciò che sta intorno al faro stesso. La parte illuminata dal faro è la sola parte nitida e, nella consapevolezza del soggetto, il resto è avvertito sullo sfondo, in lontananza.

Scopo della mindfulness è esattamente il contrario, e cioè ampliare il faro della consapevolezza il più possibile, sempre e costantemente, non ci stancheremo mai di ripeterlo, a ciò che succede nel momento presente.

 

 

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