Mia figlia di 6 anni circa un mese fa ha cominciato ad andare in ansia per i compiti
Buongiorno, sono la mamma di due bambine una di 11 anni e una di 6 che frequenta la prima elementare. E' proprio di quest'ultima che voglio parlare, è sempre stata una bambina solare, piena di energie e voglia di fare, molto intelligente e precoce nell'apprendimento. Ha iniziato l'anno scolastico con entusiasmo non vedeva l'ora di iniziare questa nuova avventura, non ha avuto mai nessun problema di inserimento nemmeno all'asilo, mai una lacrima. Ebbene all'improvviso circa un mese fa ha cominciato ad andare in ansia per i compiti, passiamo dei w-end interi a ricontrollare i suoi quaderni perche' lei nn crede di aver finito i compiti perchè in classe dice che i suoi compagni la distraggono e forse non ha preso tutti i compiti, ci obbliga telefonare ai compagni per avere la conferma che non ci sono cose che lei ha dimenticato. All'inizio era preoccupata solo per i compiti di inglese per poi passare nelle ultime due settimane a tutti i compiti d tutte le materie. Ho parlato con le insegnanti che nn si sonoa accorte di nulla anzi in classe è una bambina serena, amorevole e altruista, è una delle migliori mi dicono già legge e scrive alla perfezione. Le maestre l' hanno spostata di banco (su sua richiesta) da quei compagni che la distraevano e mi confermano che non ha nessun problema di socialità con i compagni. Eppure le cose sono precipitate la mattina le vengono dei veri e propri attacchi di panico con mal di pancia e conati di vomito, ieri è venuta a casa da scuola col mal di pancia, poi a casa non veva più niente. Stamattina voleva stare a casa ha pianto appena sveglia perchè diceva “sicuramente ieri mentre lei non c'era le maestre hanno dato dei compiti nuovi“. e trova banali scusi come “non ho comprato i coriandoli per il lavoretto in classe“ (cosa che ho chiesto e non si doveva fare oggi). Mi dice “ho paura“ con le lacrime agli occhi e se le chiedo di cosa mi risponde sempre la stesso: “dei compiti“. Non fa più colazione la mattina e finchè non è davanti alla scuola non smette di piangere. Non riesco proprio a capire cosa le possa essere successo e come mi devo comportare con lei. Vi ringrazio per l'ascolto, buona giornata
Gentile sig.ra Paola,
il problema da lei descritto è molto frequente, ma non necessariamente complicato o drammatico. Naturalmente non è possibile risolverlo con una consulenza via mail, perchè la soluzione passa attraverso la ricerca del significato del disagio che sua figlia sta esprimendo; ciò si può fare solo con l'aiuto di uno psicologo esperto in queste tematiche, che attraverso la conoscenza del contesto e delle circostanze in cui è sorto questo sintomo può ricavare gli elementi utili a fornire indicazioni adeguate per risolvere il problema. Spesso queste forme di disagio vengono definite come "fobia scolastica", per il fatto che investono quel contesto attraverso difficoltà nello studio, rifiuto o timore nell'andare a scuola, paura dell'insegnante, dei compagni,ecc. Ma tutto ciò non significa che la scuola sia il luogo in cui il problema è sorto, bensì che essa è il contesto in cui si manifesta un disagio che può benissimo essere nato altrove (problemi familiari, relazioni difficili con un genitore, un parente, traumi o eventi dolorosi accaduti di recente, ecc). Le farò un esempio. Tempo addietro feci una consulenza a due genitori che avevano un problema analogo al suo. Il figlio di 6 anni, alcuni mesi dopo aver iniziato la scuola senza alcuna difficoltà, sviluppò una resistenza insolita e improvvisa a recarsi a scuola, espressa in forma di paura e somatizzazioni (mal di pancia, nausea, vomito). Bene, un'indagine approfondita sulla vicenda familiare permise di comprendere che il rifiuto della scuola era in realtà causato dal fatto che il padre era stato da poco costretto ad un pensionamento precoce (la madre invece lavorava ancora), ed era molto depresso. Passava le giornate a casa ed era lui a gestire il figlio. In breve, il sintomo del bambino esprimeva la preoccupazione per un padre che vedeva sofferente e dal quale temeva di staccarsi lasciandolo solo per andare a scuola, angosciato dal timore per il suo stato emotivo sofferente. Tre colloqui furono sufficienti a far emergere la dinamica familiare complessiva in cui era sorto il sintomo e a risolvere il problema. Le ho raccontato questo episodio per evidenziare come i "semi" del disagio di un bambino possano nascere in un "luogo psichico" (in questo caso la famiglia) e andare a "germogliare" (se mi concede la metafora) in un altro (la scuola). Vorrei inoltre sottolineare come questi problemi spesso non denotino "malattie", "disturbi" o "patologie" nel bambino, ma al contrario siano la migliore dimostrazione di quanto grandi possano essere l'attaccamento e la sensibilità dei bambini per ciò che accade intorno a loro, specie se riguarda i loro genitori. E di come, per via della sua immaturità evolutiva, il bambino non sia in grado di verbalizzare l'ansia, la preoccupazione, il dolore, in quel caso per la sofferenza del genitore, ed arrivi a dar voce a questi stati emotivi nell'unico modo che gli è consentito dalla sua tenera età: ovvero, esprimere il desiderio di stare vicino al padre attraverso lo sviluppo di un sintomo "estemamente funzionale allo scopo".
Quindi non abbia esitazioni a consultare un bravo psicologo, vedrà che una volta messa a fuoco la situazione e individuato il signicato di ciò che sua figlia esprime attraverso le sue attuali preoccupazioni, troverete insieme la strategia più efficace per risolvere il problema.
Se vuole contattarmi per un approfondimento saro' lieto di aiutarla.
Cordiali saluti