Recensione Psicologica di White Oleander
White Oleander
Regia Peter Komninsky
Dal romanzo di Janet Fitch
USA drammatico 2002
Interpreti principali:
Alison Lohman, Michelle Pfeiffer
Il film inizia dalla fine.
Astrid lavora ad alcune valige e deve iniziare dalla fine per poter comprendere tutta la sua vita, è solo così che può accompagnarci narrando la sua vicenda.
Astrid è un’adolescente, vive con la madre Ingrid, un’artista estremamente anticonformista, donna affascinante e manipolatrice, che ha fatto di tutta la sua vita un elogio all’indipendenza emotiva e all’addomesticamento della solitudine. Ma non è proprio così.
Ingrid si lascia sedurre da un uomo che alla fine la scarica. Incapace di tollerare la frustrazione lo uccide, avvelenandolo con l’oleandro che coltiva in giardino. Finisce in carcere, condannata a trentacinque anni di reclusione. Astrid, remissiva ma estremamente intelligente, con spiccate doti artistiche, viene affidata ad una coppia: Starr Thomas, ex spogliarellista redenta e Rey, carpentiere che non vede da anni moglie e figlio. Vivono già con la figlia di lei e due bimbi in affido.
Starr la converte alla propria chiesa Astrid e quando Ingrid se ne accorge, si infuria e le fa capire che si sta facendo cambiare, “lei è perfetta così com’è perché è sua figlia, deve imparare a stare da sola a non aver bisogno di niente e di nessuno”.
Ingrid riesce ad avere potere anche dal carcere. Ricevuto il divieto materno di star bene in questa famiglia, ben sapendo di rompere l’equilibrio, Astrid si lascia sedurre da Rey. Starr le spara (sotto shock vede gli oleandri bianchi nel bicchiere di latte), finisce in ospedale e subito dopo in istituto. Qui la vita non è facile, dall’aspetto angelico deve far fronte all’invidia delle altre ragazze, si taglia i capelli, cerca di rendersi meno appariscente. Conosce Paul, disegnatore di fumetti molto capace, ma la madre svaluta anche lui, ricordandole che deve imparare a stare da sola.
Arriva la seconda famiglia, una coppia di attori. Astrid vive la quotidianità con Claire, mentre il marito è spesso via e probabilmente ha un’altra relazione parallela. La ragazza si sente amata, in grande sintonia con Claire, donna semplice e affettuosa.
Ingrid non è disposta a “perdere” la figlia, così fa in modo di conoscere Claire e riesce a far leva sui suoi temi dolenti, sull’impossibilità di avere figli, sui conflitti col marito, sulla sua depressione, ecc. Così Astrid la trova morta nel letto, a causa dell’overdose di farmaci.
Ancora si troverà in istituto, dove avrebbe modo di andare con una terza famiglia, una coppia molto buona, ma rifiuta, sa che la madre non approverebbe e ha già fatto troppo del male, chiede invece di andare con una russa che accoglie varie ragazze per farle lavorare.
Astrid continua la scuola e segue le regole della casa, fino a quando l’avvocato della madre le chiede di mentire per farla uscire di prigione.
La ragazza cambia il proprio look, capelli neri, vestito punk, fuma. Si reca in carcere, la madre è sconvolta, non la riconosce. “E’ tutta colpa sua!”, se vuole che torni come prima, se vuole che testimoni le deve dire tutta la verità.
La madre accetta e le racconta che non è lei ad aver lasciato suo padre ma lui, l’ha tradita e se n’è andato quando Astrid aveva sei mesi. Si è rifatto vivo quando ne aveva otto ma non gli ha permesso il riavvicinamento, era troppo adirata con lui.
Le confessa che non era pronta ad avere un figlio, a dedicare energia e tempo, “le stava sempre addosso come un ragno”, l’ha abbandonata per un anno da una vicina di casa e quando è tornata Astrid era lì alla porta ad aspettarla, del resto Astrid l’ha aspettata anche quando l’ha lasciata sull’autobus o l’ha legata davanti ad una vetrina e anche ora che è in carcere.
Astrid se ne va profondamente arrabbiata e amareggiata, per non essere mai stata al centro di sua madre. Non andrà più a trovarla e le chiede finalmente di lasciarla libera.
In tribunale Ingrid non la farà testimoniare, la lascia fuori dandole finalmente il permesso di essere libera di andare nel mondo, di amare, di essere sé stessa ….
La scena finale vede Astrid nell’esatta collocazione di quella iniziale, davanti alle sue quattro valigie, che può finalmente chiudere: la prima famiglia affidataria, la seconda famiglia, la russa, sua madre.
Adesso vive con Paul a New York e ha di nuovo i suoi bei capelli biondi e nonostante tutto sa che sua madre la ama, finalmente ha rinunciato a lei come oggetto di possesso narcisistico, ma non a sé stessa, alla propria notorietà, alle mostre e agli articoli sui giornali, anche dal carcere e fa in modo che la figlia lo sappia.
Questa pellicola mostra un’impreparazione ad assumere il ruolo genitoriale da parte di certe madri, ma anche la parte narcisistica della genitorialità, un narcisismo preponderante e insano. La figlia viene valorizzata in quanto estensione della propria supposta perfezione. La madre di Astrid è presa da sé stessa, dai propri bisogni, dalla propria creatività artistica, che non riesce a concretizzarsi nella creatività relazionale, quindi genitoriale. Non rispetta i bisogni della figlia, non riesce ad essere né empatica, né protettiva, anzi la sottopone ad esperienze nocive, le fa condividere le sue condizioni da adulta e le propina un modello di vita, che lei stessa è incapace di portare avanti. La figlia dovrebbe arrivare al punto di non aver bisogno di niente e di nessuno, ma pretende che mantenga un legame inviolabile con lei.
La istiga a nascondere la parte migliore di sé, ad essere distaccata e cinica, a non piangere, la istiga a mantenere un patto di segretezza, simbolo di un legame indissolubile. Non deve dimenticare mai di chi è figlia, di pensare con la propria testa, ma in realtà la spinge a pensare con la Sua testa, rafforzando una simbiosi velenosa: “Non vai da nessuna parte finchè non ti do il permesso”.
E Astrid è rinchiusa in queste spire, infatti inizia la pellicola dichiarando di essersi sentita al sicuro solo accanto ad una donna pericolosa come lei, mostrando così la perversione del legame, il ruolo di vittima rispetto ad una dipendenza insana. La ragazza fa abortire tutte le situazioni affidatarie, proprio perché la madre non le permette di stare in relazione con altre madri, ponendola nella delicata condizione della “doppia appartenenza conflittuale” tipica dei figli affidatari.
L’affidamento non è possibile se i genitori naturali non lo permettono e così capita alla nostra protagonista, che riesce a stare solo con l’affarista russa, che non ha nessun interesse ad accudirla o a viverla come una figlia, ma è solo un paio di braccia in più per i propri traffici. Alla fine la signora dai capelli neri (mentre le altre sono biondissime ed eteree come la madre), è assai più simile a Ingrid, in quanto prende con sé le ragazze solo per il proprio bisogno, ecco la chiave di questa riuscita, è il tipo di relazione che Ingrid conosce.
Non a caso gli oleandri bianchi coltivati, venivano recisi e conservati in un bicchiere di latte, creando un contrasto simbolico potente: un latte velenoso!
Erik Fomm enunciava che tutte le madri possono dare latte ai figli, ma non tutte elargiscono latte e miele. Bhe Ingrid forniva latte e veleno, lo stesso che ha condotto Astrid a distruggere l’equilibrio della prima famiglia affidataria, a beccarsi un proiettile, ad assistere alla morte della seconda madre affidataria, a tagliarsi i capelli per nascondere la propria bellezza, ecc. “L’amore ti umilia, l’odio di calma”, le propina la madre. Le ripete che è perfetta, sono perfette e non hanno bisogno di niente e nessuno!
E Ingrid, non scalfita da niente riesce a rimanere splendida anche in carcere, a costruire le sue opere, ad essere pubblicata sulle riviste, a ricevere consensi … Lasciata andare Astrid perché è l’unico modo per essere ancora amata da lei, alla fine una scelta ancora narcisistica.
Sicuramente la madre non vuole danneggiare la figlia, ma nella sua struttura di personalità, nella sua qualità relazionale, cedere all’altro qualcosa di sé, compreso il proprio corpo (“mi stavi attaccata come un ragno”), lo spazio, l’energia, sentirsi legati fino a riconoscerne e accettarne la dipendenza, o il bisogno emotivo, comporta per lei, la morte della propria identità. Non è disposta a rinunciare a sé per la propria figlia, non riesce a mettersi da parte, non riesce ad essere veramente sola come esibisce, non vuole essere dimenticata e sostituita. Rinuncia alla testimonianza solo per non rompere il legame con lei. La figlia dopo un anno, pur piccola era alla porta ad aspettarla e ancora ora la implora di lasciarla andare: nessun altro può amarla per sempre come lei!
E la figlia subisce questo legame a doppia mandata, sentendosi in colpa e in parte responsabile dell’assassinio commesso dalla madre, sapeva cosa stava facendo e poteva fermala, ma non l’ha fatto. E un po’ forse è così …. Forse l’unico modo per liberarsi dalla sua influenza ma anche l’impossibilità di farlo era non fermarla.
Solo quando Ingrid l’ha lasciata andare, Astrid comprende, può essere sé stessa, vivere …. Riesce a distanziarsi dalle idee paranoiche della madre, di doversi difendere dal mondo, prendendo su sé la responsabilità di essere stata velenosa come la madre, mortifera.
E del resto la ragazza, per sostenere il proprio narcisismo di base, non può far a meno di credere che la madre la ama! Per un figlio è troppo intollerabile pensare di non essere amato e voluto dal proprio genitore. Il filo è incancellabile!
Chiude tutte le valigie, con la certezza che ciascuno di queste persone l’ha amata, chiude con questi pezzi di percorso, li distrugge per poter mettere radici, mentre “sua madre li avrebbe venduti” nell’aura splendente della propria esibizione. Astrid non vuole più essere sola, nega di essere indipendente, ha bisogno della madre, ha bisogno di altro …..
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