Come aiutare un parente psichiatrico
Quando una famiglia si trova in difficoltà a causa della presenza di un familiare con problemi mentali, si rivolge ai servizi sociali e sanitari per avere un aiuto e un sostegno alla persona malata. L’intervento dei servizi è volto, quindi, a offrire tutto l’aiuto possibile al paziente e se fosse necessario anche ad altri membri della sua famiglia, con la cura e la riabilitazione.
In seguito, ad una richiesta di sostegno o di aiuto, viene spontaneo pensare e credere che ci sia una lineare ovvietà sulla causalità fra la richiesta di intervento e l’obiettivo da raggiungere: mio figlio sta male e io vi chiedo un intervento che lo guarisca o che comunque lo faccia stare meglio e migliori la sua condizione attuale. Da quanto detto si evince e sembra essere palese e scontata, una reale e chiara richiesta di aiuto da parte della famiglia del paziente, il messaggio sembra essere: ho un problema per favore aiutatemi a risolverlo.
La famiglia con un malato psichiatrico sembra avere un reale desiderio di risoluzione di un disagio familiare e di una condizione che crea dispiacere a tutti i suoi membri. Ma se in un primo momento il messaggio percepito sembra essere chiaro, durante l’intervento ci si accorge che la richiesta della famiglia non corrisponda a quella iniziale e non coincida con il reale desiderio di una risoluzione del problema. Spesso il messaggio è ambivalente, creando confusione e incertezza agli operatori sanitari e alle varie figure coinvolte, intralciando così il loro lavoro; siamo davanti a un boicottaggio della famiglia richiedente aiuto. In uno dei miei casi, la madre di un paziente si lamentava che il proprio figlio non dava alcun aiuto nelle mansioni domestiche, ma alla proposta di fargliene fare, si opponeva, contraddicendo così il messaggio precedente di farsi aiutare.
Si può, quindi, notare come un paziente cresciuto in una famiglia di questo tipo, sia stato condizionato da una modalità relazionale con messaggi ambivalenti e contraddittori. Nello stesso caso, il paziente in un primo momento esprimeva il desiderio di passare più tempo con suo fratello e si poi alterava quando si cercava di far in modo che aumentassero le loro frequentazioni, dicendo che non si doveva entrare nelle loro dinamiche familiari. Da qui si evince come questa modalità boicottante appartenente ai genitori, sia stata acquisita anche dai figli.
Per evitare quindi che sia nella diagnosi e sia nella cura vi siano omissioni, fraintendimenti, errori di qualsiasi genere da parte delle figure professionali preposte, è necessario, quando si entra in contatto con una famiglia di questo tipo, tenere sempre bene in considerazione le dinamiche interne che condizionano i vari membri; non bisogna, quindi, mai dare nulla per scontato e le loro richieste d’aiuto non devono essere considerate sempre ovvie, chiare e lineari.
Psicologo, Psicoterapeuta - Pesaro e Urbino
commenta questa pubblicazione
Sii il primo a commentare questo articolo...
Clicca qui per inserire un commento