Cosa siamo diventati, cosa diventeremo? Una prospettiva psicologica sulla pandemia
Da Marzo 2020 tutto il Paese si è trovato soggetto a forti restrizioni, relative alle libertà personali, che hanno minato il nostro senso di comunità, altresì identitario, scatenando in ognuno reazioni differenti. Trattare la psicologia delle masse non è quanto può dirsi un compito semplice, poiché, come sappiamo dalle più recenti teorie dei sistemi complessi, “Il tutto è più della somma delle singole parti” (Zerbetto, 1998). Questa formulazione, cardine nella psicologia gestaltica, evidenzia l’importanza della singolarità degli individui, di cui è indispensabile tener conto, soprattutto nel momento in cui si vada ad indagare un fenomeno di portata mondiale, qual è la pandemia da CoVid-19. Tenendo presente quanto premesso, è possibile delineare profili diversi di reazione al momento passato e attuale. Individui che tendevano già dapprima ad isolarsi dal contesto sociale non hanno difatti denunciato ingenti difficoltà nell’aderire alle restrizioni; ciò che non si può certo dire per la maggioranza della popolazione, che invece ha in vari gradi sofferto le stesse. È possibile individuare una sofferenza importante certamente nell’impossibilità di ammettere quanto stia accadendo: parliamo dell’adesione a teorie del complotto e negazioniste. Questi individui sono probabilmente tanto spaventati dagli eventi da non poterne ammettere l’esistenza. Sul fronte opposto, ma allo stesso livello di terrore, in quanto gli opposti, all’estremo, si toccano, potremmo individuare tutta quella fascia di popolazione che già dapprima manifestava comportamenti fobici e/o ossessivi rispetto alle malattie da contagio, i quali comportamenti sono inevitabilmente andati ad acuirsi. Le restrizioni ed il lockdown in particolare hanno poi comportato, per i più, il confronto con tematiche esistenziali, quali la solitudine, la morte. La privazione di stimoli esterni ha in qualche modo obbligato lo sguardo a volgersi all’interno.
Quest’ultimo atteggiamento riflessivo, per quanto di difficile accettazione in una società come l’occidentale post-moderna, caratterizzata dal culto dell’immagine e della performance, è divenuto, in individui abbastanza solidi da potersi permettere un’esplorazione profonda di sé, una risorsa importante, un’occasione per operare un cambiamento radicale del proprio modo di essere al mondo, con se stessi e con l’Altro. Ci troviamo, in questo momento, a un punto di svolta per quanto concerne il contenimento della pandemia, ma anche la gestione della stessa a livello tanto personale, individuale, capillare quanto mondiale: è stato previsto e si sta difatti verificando un nuovo picco di contagi, al termine della bella stagione e ancora non vi è garanzia di un vaccino che soddisfi i protocolli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS – WHO) di sicurezza per la popolazione (https://www.euro.who.int/en/home). La prospettiva di un’ulteriore chiusura paventa non solo il collasso economico, ma anche l’emergenza di nuove e ulteriori fragilità psicologiche. Si sta provvedendo, tuttavia, alla messa in campo di nuove e ulteriori risorse nell’ambito della Salute Mentale: area della cura dell’individuo per troppo tempo sottovalutata e marginalizzata e la cui richiesta ora prepotentemente si impone alle autorità. Il potenziamento del Sistema Sanitario, al fine di adempiere alle esigenze emergenti assieme a una nuova e diversa consapevolezza dei limiti, dunque delle potenzialità insite negli stessi, da parte della cittadinanza saranno con ogni probabilità le risorse migliori da mettere in campo per il prossimo futuro, per assicurarci un futuro.
Bibliografia
- Maturana, H. R., & Varela, F. J. (1985). Autopoiesi e cognizione: la realizzazione del vivente. Marsilio editori.
- Zerbetto R. (1992). La Gestalt, Milano, Xenia, 1998. Torino, Utet.
Psicologa e Psicoterapeuta ad indirizzo Psicoanalisi della Relazione - Rieti - Roma
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