Sono diventata quello che ho sempre condannato
Sono una donna di 34 anni, non sposata, dalla vita sentimentale molto confusa. Sono la prima di una famiglia molto numerosa, genitori assenti e molto infantili, poco responsabili (mio padre concentrato sul lavoro, mia madre bugiarda e rancorosa nei confronti di mio padre, incapace di gestire malattie e morte dei cari). Da piccola ero brillante, era il mio modo per farmi notare in una famiglia in cui mi sentivo invisibile. Questo ha abituato mio padre ai miei successi, che non venivano comunque valorizzati, ma hanno reso i miei fallimenti inaccettabili. Quindi ho lottato sempre per raggiungere la perfezione per sentirmi accettata e benvoluta. Vivevo con ansia e disperazione gli insuccessi o le mie difficoltà che tenevo nascoste per paura di essere giudicata o allontanata. Ho deciso di vivere da sola dopo il diploma e ho finalmente vissuto un periodo spensierato superficialmente, perché l'ansia di essere un fallimento e non riuscire ad essere indipendente alimentata da mio padre era il mio pensiero costante. Sono sempre stata di piacevole aspetto è piuttosto spigliata, quindi tanti corteggiatori. Ovviamente ero attirata dall'unico che mi usava. Fino a quando ho incontrato un ragazzo apparentemente più maturo, finalmente un punto di riferimento, una famiglia, una casa. Il rapporto si è rivelato fin da subito difficoltoso a causa della distanza e alla depressione latente del mio compagno, dovuta alla insoddisfazione lavorativa. Ho provato con tutti i mezzi a tenere vivo questo rapporto mettendo in secondo piano le mie esigenze, le amicizie, il lavoro. Ho passato molti anni in solitudine, dedicandomi esclusivamente a lui, annullandomi per non avere scontri vista l'incompatibilità caratteriale. Fino a quando abbiamo deciso di sposarci e io di lavorare e di avere un minimo di indipendenza. Questo ha rotto l'equilibrio perché dedicavo tutta me stessa al lavoro(ero molto insicura) e in più lavoravo su turni quindi ero spesso stanca e gli dedicavo poco spazio. I litigi e il rancore erano all'ordine del giorno. I nostri rapporti sessuali diventavano sempre più sporadici fino ad annullarsi. Contemporaneamente ricevevo molte attenzioni e questa cosa mi ha destabilizzato. Tutto questo unito allo stress prematrimoniale e all'ansia di organizzare tutto senza il minimo supporto della mia famiglia mi ha portato ad annullare tutto a 6 mesi dal sì e dopo quasi 10 anni di rapporto. Ho cercato di rendermi indipendente e ci sono riuscita cambiando anche città, perché ero stanca di sentirmi dire che ero insieme a lui per farmi mantenere e che da sola non sarei riuscita a sopravvivere. Per i primi 3 mesi andava tutto bene cercavo solo di reagire e non pensarci poi sono crollata. Mi sono resa conto di non avere più punti di riferimento, mi sentivo senza senso di esistere. Ho cercato di fare di tutto per riconquistarlo, ho usato ogni mezzo possibile. Come al solito ho lavorato sodo, ogni giorno per fare capire che mi ero sbagliata, che il lavoro per me non contava niente e che potevo rinunciare a tutto pur di tornare con lui. Insomma per l'ennesima volta non ho dato valore a me stessa. Nonostante abbia conosciuto in quel periodo una persona che mi amava e che poteva darmi tanto non ho avuto dubbi, volevo tornare con il mio ex. Lui solo una sua breve storia fallimentare e parecchi tira e molla si è riavvicinato. Abbiamo ricominciato la storia con molta energia e subito progetti matrimoniali. Fino a che si presentano gli stessi problemi uniti alla distanza geografica e al mio rancore poiché mi sentivo “la seconda scelta“. Ho conosciuto un collega più giovane di me, bello, molto dolce e molto stabile e sicuro di sè. Mi faceva ridere,stare bene, mi faceva sentire apprezzata e quando il rapporto era agli sgoccioli io lo tradisco. Non riesco a portare avanti i progetti matrimoniali e lo lascio. Continuo la relazione,sebbene piena di dubbi. Io vengo da una convivenza e avevo superato i 30. Lui 28 anni,ambizioso e individualista, con storie molto brevi alle spalle e con desideri di famiglia ma non progetti concreti. Ero scettica perche sapevo che prima o poi sarei ricaduta nella disperazione per la perdita del mio ex. Nonostante i numerosi viaggi, la spensieratezza e il grande affetto nutrito per questo ragazzo, la ricaduta c'è stata ed è stata forte. Il ragazzo mi è stato vicino come ha potuto, io ho segretamente cercato di riallacciare i rapporti con il mio ex e al suo no definitivo sono caduta in un baratro dal quale ancora oggi non riesco ad uscire. Ho continuato il mio rapporto con il collega,che ha scoperto intanto i miei tentativi e mi ha perdonata. Anche con lui rapporti sempre più sporadici,si è trasformato tutto in una amicizia affettuosa e trascorriamo il tempo libero insieme. Lui mi lascia spesso sola per andare dalla sua famiglia. Mi sento insoddisfatta. In questo periodo mi avvicino molto al ragazzo conosciuto durante la prima rottura con l'ex. Mi è sempre piaciuto moltissimo ma per rispetto del suo sentimento non mi ero mai sentita di provare un approccio se non fossi stata sicura. Ma in un momento di debolezza ho deciso di vederlo perché volevo capire se riuscivo a provare per lui quello che non riuscivo più a provare. Ho scoperto una grande intesa sessuale, per la prima volta nella mia vita e mi faceva sentire amata e importante più di ogni cosa. Ma non sono riuscita a chiudere la relazione con il collega, anche perché il lavoro per me era diventato la “mia famiglia“ e anche questa volta avevo paura di ritrovarmi sola e soprattutto ero terrorizzata da quell'ennesima separazione. Quindi per un anno ho mantenuto due vite facilitata dalla distanza geografica e ho vissuto tutto con uno strano distacco. Razionalmente sapevo di fare del male a delle persone che amavo e che cercavo comunque di appagare in tutti i modi, ma rifiutavo l'idea di poter provocare dolore. Proprio io che avevo sofferto tanto. Ho avuto anche delle occasioni per poter chiudere uno di questi rapporti ma la paura di perdere queste persone ha annullato le mie buone intenzioni. Non riuscivo più a capire con chi stavo per i sensi di colpa e con chi per piacere. Sono diventata quello che ho sempre condannato e non so come uscirmene.
Gentile Alba,
mi sembra che lei abbia centrato il problema: da una parte un rapporto che le dà prossimità e sicurezza, dal'altra un altro più appagante che però probabilmente le richiederebbe cambiamenti impegnativi e maggiore incertezza. Forse, oltre ad occuparsi della situazione presente, potrebbe giovarle migliorare la propria autostima, i sentimenti di autoefficacia e di sicurezza personale, anche elaborando i vissuti del suo periodo evolutivo. Occuparsi insomma sia del presente che del passato. Se consulta uno psicologo sarà comunque compito del professionista scegliere le strategie più appropriate per aiutarla a realizzare al meglio i suoi diritti e bisogni.
Cordiali saluti