Dott.ssa Valentina Sciubba

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Dott.ssa Valentina Sciubba

Psicologo, Psicoterapeuta, Psicosomatista

I miei genitori sono oppressivi e io non ce la faccio più a vivere cosi'

Sono una ragazza di 23 anni. Premetto che sin da piccolissima, sono sempre stata una bimba (poi ragazza) ligia al dovere, se prima non finivo i compiti non accendevo la tv, o uscivo o altro, aiutavo sempre in casa e senza lamentarmi, ubbidivo ai miei genitori in tutto e per tutto, e allo stesso tempo ero una bimba vivacissima con tanta voglia di fare, sveglia e pronta. Verso i 18 anni questo sistema è saltato. A scuola ero tra le prime si, ma ammetto che ho vissuto di rendita per i miei precedenti anni, ho iniziato a mentire ai miei per uscire fuori dalla mia città per vedere un ragazzo, poi è arrivata l'università mi sono iscritta ad una facoltà importante ma in una città che accontentasse la famiglia e non me, anche se avevo preso tutto con uno spirito d'iniziativa positivissimo. Il primo anno mi salta tra problemi non dipendenti da me e problemi di salute. Concludo con due o tre esami. Iniziano i primi sintomi di depressione, anzi ancora forse solo tristezza e insoddisfazione, perché non avevo ottenuto i miei risultati, non perchè non mi fossi impegnata, avessi perso tempo ecc., ma per motivi che non dipendevano da me. Il secondo anno, cerco di farmi coraggio ricominciare tutto da capo,riesco a dare un esame importante. Poi avviene una cosa che mi fa crollare il mondo addosso. Il mio ragazzo, che amavo più di ogni altra cosa, mi lascia. Lui mi faceva sentire veramente speciale, la donna più bella e in gamba della terra. Ma dopo due mesi in cui io presa dallo stress per gli esami o questa situazione di insoddisfazione, non lo cerco, se lo sento lo tratto male ecc, lui decide giustamente di lasciarmi (complice una relazione a distanza non approvata dai miei e che ci impediva di vederci come avremmo voluto). Riesco a dare un esame che avevo preparato prima che mi lasciasse, ma tutto il peso che stavo affrontando, le difficoltà a scuola, la città che accontentava i miei ma non me i miei, la convivenza con altri familiari che controllavano ogni mia mossa, mi cade addosso. Cerco di farmi forza, cerco di concentrare tutte le forze possibili per andare avanti e studiare, ma tutto ciò che ottengo è ritrovarmi priva di forze, motivazioni, voglia di vivere. Totalmente consumata. Mi butto a letto, mi perdo tra i miei pensieri, passo le mie giornate nella depressione assoluta, costante pensiero di suicidio, perchè non vedo via di fuga. Arriva il momento del confronto con i miei, io decido di lasciare l'università non perchè non voglia studiare, ma per non essere un peso economico per i miei, e visto che non do più risultati la migliore cosa è lasciare. Da qui succede di tutto. Rientro nel mio paese, passo le mie giornate INTERE a letto, con mio padre che ha delle reazioni assurde e violente nei miei confronti nonostante io stia male a letto. (Mio padre è l'uomo più buono del pianeta, non riusciva ad accettare che la sua figlia modello, stesse in quelle condizioni). Inizio anche ad accumulare pillole da parte di ogni tipo. Mi mandano dallo psichiatra, che dice che non ho problemi gravi, a livello mentale diciamo.. Io intanto vorrei andarmene, magari lavorare all'estero, perchè stare nel mio paesino con tutti che parlano di me e di quello che mi è successo mi pesa infinitamente. Chiudo i contatti con le miei migliori amiche, che avevano raccontato di nascosto a mia madre tutte le confidenze più personali, basando tutto sulla mia relazione con il mio ex e non sui miei problemi con la scuola. I miei non accettano che io lavori. Allora propongo di cambiare facoltà, ma solo quella in cui volevo iscrivermi sin dall'inizio, perchè trovo un errore iscrivermi in una facoltà nuovamente che accontenti loro e non me e rivivere l'incubo. Perchè sia chiaro, io voglio laurearmi, lo voglio più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ma la facoltà (dove io avrei dovuto fare la specialistica a dire dei miei), è nella città del mio ex. Quindi mi viene posto un muro davanti. Io mi metto a lavorare (un lavoro che odio, insoddisfacente, con una paga nulla), mi fanno cambiare psicologa, continuo a vivere la mia vita passivamente. Fino a quando mia madre ha un confronto con la mia psicologa, io mi rifiuto di andarci nuovamente, perchè mi rendo di essere solo vittima di un sistema. Io da tutto ciò esco fuori come la ragazzina capricciosa che batte i piedi se non ottiene ciò che vuole (quando io ho sempre sempre sempre acconsentito al volere dei miei anche quando non volevo), esce fuori che soffro di sindrome di peter pan (io che per non creare problemi ho accettato da piccola con grande maturità, all'età in cui veramente i miei coetani battevano i piedi, scelte fatte dai miei) e che per riprendermi devo fare uso di farmaci ecc. Mi è stato prescritto l'entact e io mi son rifiutata di prenderlo, perchè io ho la voglia di fare, viaggiare, muovermi.. sono i miei a negarmi tutto ciò. Anche uscire dal paese, perchè qui da me non mi va di vedere la stupida gente che fa pettegolezzo su di me, per loro è un problema. Quindi penso sia inutile prendermi un farmaco,se poi inevitabilmente arrivo a casa e mi butto a letto, mi chiudo e non vedo nessuno ugualmente. Alla fine ho un nuovo incontro con la psicologa, solo per accontentare mio padre e mi viene detto che io le faccio perdere tempo, che la sua ora può essere occupata da qualcuno che ne ha bisogno e che io sto bene così per questo non voglio collaborare.( io per 5 mesi mi sono spogliata di tutte le mie cose intime e personali per collaborare. Solo nell'ultimo incontro mi sono rinchiusa in me). Ah in tutto ciò dimagrisco tantissimo, quindi tutto il paese parla di me come l'anoressica, quando io anoressica non sono, mangio tranquillamente e non ho nessun tipo di disgusto per il cibo. Anche a casa vivono questo come un problema enorme. E per me l'essere magra è l'ultimo dei miei problemi. Non dormo, soffro d'insonnia, sono diventata molto brutta. Alla fine sembra che mia madre abbia accettato di farmi iscrivere a questa facoltà, dopo un anno in cui mi ha fatto sentire in colpa dicendo che non mi poteva mantenere, che si sarebbe indebitata, per mandarmi li. Ora esce fuori che hanno sbagliato, ricominciamo tutto da capo. Ma nessuno si preoccupa più. Pretendono che io dia esami alla mia facoltà (che è molto impegnativa, per cui non studiando da due anni, da auto didatta è praticamente impossibile), e nessuno si preoccupa di trasferimenti affitti, ecc nella nuova città. Per cui io continuo il mio lavoro schifoso, informandomi personalmente sulla nuova facoltà, sperando che tutto si sistemi, ma ho quasi la certezza che a settembre ritornerò a dover accettare le loro condizioni. Inutile dirvi che non voglio suicidarmi, ma non vedo mai una via d'uscita da tutto ciò. E dopo aver dovuto affrontare pure la terapia, che io non volevo fare ma ho accettato per i miei, e vedere che non ha funzionato, penso che non uscirò mai più da questo stato, penso che non riuscirò mai a laurearmi, penso che se anche mi fosse data l'occasione di ricominciare, non riuscirei ad ottenere nulla. Sento che quello di cui ho bisogno è fuggire da qui, lontano, e invece sono sempre più rinchiusa e legata a questa situazione terribile.
Gentile utente, situazioni come la sua sarebbero affrontate al meglio con una terapia familiare, tuttavia se i membri della famiglia non sono disponibili, scelga lei uno psicologo di sua fiducia (non scelto da altri) perchè lo psicologo può cercare di migliorare le relazioni e i problemi connessi anche vedendo un solo membro del gruppo familiare. Al proposito le consiglio la Psicoterapia della Gestalt