Disturbo Paranoide di Personalita
Il mondo è vissuto come ostile e guardato sempre, nei contesti più vari, con diffidenza e sospettosità, con conseguente predilezione per uno stile di vita solitario.
Sfiducia e sospettosità portano le persone che soffrono di questo disturbo ad avere un atteggiamento ipervigilante (ricercano segnali di minaccia, di falsità e di significati sottostanti nelle parole e nelle azioni altrui), ad agire in modo cauto e guardingo, ad apparire “fredde” e prive di sentimenti; questi soggetti sono, inoltre, eccessivamente permalosi, polemici, ostinati e sempre pronti a contrattaccare quando credono di essere criticati o maltrattati.
La sensazione prevalente, praticamente costante, nelle persone che presentano il disturbo paranoide, è quella di minaccia, pericolo, aggressione. Ne conseguono uno stato di allerta e di tensione fisica molto forti. Tipicamente le persone con disturbo paranoie, infatti, presentano pensieri del tipo: “Non si può mai abbassare la guardia!”, “Appena ti rilassi sono pronti a fregarti!”. A volte la sensazione interna assume una diversa sfumatura, quella della derisione, e gli altri, più che pericolosi, sono percepiti come sprezzanti o provocatori.
La reazione emotiva e, quindi, il conseguente comportamento variano:
Gli individui con questo disturbo possono essere anche morbosamente gelosi e sospettare, senza reali motivi, che il coniuge o il partner sia infedele. Questi soggetti presentano, inoltre, due importanti difficoltà che si rinforzano reciprocamente. La prima è rappresentata dall’incapacità di porsi nella prospettiva dell’altro, di distinguere il proprio punto di vista da quello altrui; l’altra è la difficoltà a distinguere tra mondo esterno (realtà obiettiva) e mondo interiore (proprie sensazioni e idee).
La sensazione pervasiva di minaccia, ad esempio, non viene mai considerata come un vissuto soggettivo, una fantasia o un’ipotesi, ma come un dato di realtà assoluto e certo. Spesso le persone con questo disturbo sentono di non avere capacità sufficienti per gestire determinate situazioni e provano quindi un senso di costrizione da parte del mondo esterno rispetto alle loro scelte.
Le indicazioni per capire se si soffre di disturbo paranoide di personalità
Innanzitutto chi soffre di questa malattia, difficilmente si rende conto di aver bisogno di un aiuto terapeutico. Per lui, sono gli altri la vera causa dei suoi problemi. Spesso è il partner esasperato che obbliga la persona ad andare da uno psichiatra. Infatti la sfiducia che nutre il malato si estende anche a chi lo può curare. Il fatto che un soggetto con disturbo paranoide si rivolga spontaneamente ad un terapeuta per chiedere cura è già di per sé un indizio prognostico favorevole che fa deporre per un disturbo non eccessivamente grave e quindi plausibilmente accessibile alle cure.
Le indicazioni per individuare il disturbo sono il possedere quattro o più delle seguenti caratteristiche:
Quindi chi soffre di questo disturbo è, o spesso gli dicono di essere, eccessivamente permaloso o geloso e soprattutto sempre sospettoso, sul “chi va là”. Gli altri non ispirano quasi mai fiducia.
La persona con disturbo paranoide, infatti, pensa che c’è sempre “sotto c’è una fregatura” e si aspetta di essere in qualche modo danneggiato, sfruttato o umiliato. In genere preferisce limitare i contatti con gli altri e tende ad isolarsi e a condurre, anche se con sofferenza, uno stile di vita solitario. Può alternare dei periodi in cui prevale l’ansia e la tensione, a periodi più rabbiosi e rancorosi o anche stati di depressione e abbattimento; quello che è certo è che non conduce una vita serena, ma prevale comunque uno stato di sofferenza ed una difficoltà a “vivere bene nel mondo, con gli altri”.
Alcuni di questi sintomi, tuttavia, si possono ritrovare anche in altre patologie, è quindi in genere necessario rivolgersi a persone competenti che possano fare una diagnosi seria ed accurata. Alcuni esempi: spesso nel disturbo paranoide troviamo sintomi ansiosi e/o depressivi che potrebbero farci pensare a disturbi d’ansia o a un disturbo dell’umore (disturbo bipolare e depressione); l’eccessiva sospettosità caratterizza, inoltre, anche il disturbo borderline di personalità e le idee di riferimento caratterizzano anche i disturbi deliranti e la schizofrenia; il ritiro sociale, infine, è presente sempre nel disturbo schizoide. Nel tempo questo disturbo può causare problemi lavorativi, coniugali, relazionali e, in alcuni casi, può portare ad un isolamento che peggiora e rinforza il disturbo stesso.
Il trattamento
Come già accennato in genere le persone che soffrono di questo disturbo non cercano spontaneamente aiuto, ma sono spesso i parenti ad insistere per diverse motivazioni, tra le quali più frequentemente uno stato depressivo del soggetto, un suo progressivo isolamento sociale o problemi relativi a comportamenti rabbiosi e aggressivi.
La psicoterapia cognitiva individuale, di matrice post-razionalista, è attualmente da considerarsi il trattamento d’elezione per i numerosi dati ottenuti dalla ricerca sul campo che ne confermano la validità.
Nell’ambito di questo orientamento clinico la strategia d’intervento per il disturbo paranoide di personalità è volta ad individuare non solo i comportamenti disfunzionali, ma anche il tessuto di cognizioni, gli aspetti affettivi e le strategie che caratterizzano il disturbo; in altre parole, il paziente è allenato a riconoscere e identificare quali emozioni prova, come pensa, agisce e fronteggia i problemi.
L’obiettivo finale è quello di migliorare la qualità di vita della persona, rispettando le sue esigenze e le sue priorità. Per raggiungere tale obiettivo è indispensabile creare, fin dalle prime sedute, le condizioni per stabilire un buon rapporto terapeutico; il terapeuta eviterà, infatti, il coinvolgimento in dinamiche relazionali patologiche, accordandosi sugli scopi e gli obiettivi del lavoro terapeutico.
Più specificatamente il trattamento si basa, in un primo momento, sul riconoscimento degli stati d’animo che sono tipici dalla persona con questo disturbo; in altre parole si aiuta il paziente a riconoscere, ad esempio, lo stato di minaccia, pericolo o derisione, a cui seguono emozioni quali ansia, tensione, rabbia, oppure lo stato in cui sente di essere stato escluso dagli altri, a cui, invece, seguono tristezza ed isolamento.
Grazie alla presa di consapevolezza e alla maggiore conoscenza di questi e altri stati d’animo è possibile, in un secondo momento, lavorare per migliorare le due importanti difficoltà che tipicamente presentano i soggetti con questo disturbo: l’incapacità di porsi nella prospettiva dell’altro e la difficoltà di distinguere tra mondo esterno e mondo interiore. Questo è uno degli aspetti più importanti del trattamento ed è fondamentale per regolare lo stato interno del soggetto e le sue relazioni.
Per insegnargli a porsi nella prospettiva dell’altro, ad esempio, si guida la persona ad “osservare i processi mentali” del terapeuta; quest’ultimo, infatti, illustra ed esplicita al paziente cosa pensa in un dato momento, come arriva a determinate conclusioni e quali elementi prende in considerazione per formarsi delle convinzioni. Il terapeuta, inoltre, mostra in vivo quanto questa difficoltà occupa la mente del soggetto e quanto gli condiziona la vita e le relazioni.
Un’ulteriore parte del trattamento, infine, è costituito dalla messa in discussione delle interpretazioni disfunzionali del paziente riguardo al comportamento e alle intenzioni degli altri, attraverso la formulazione di ipotesi alternative alle sue convinzioni. In altre parole il paziente viene allenato a fornire nuove interpretazioni delle situazioni, dei comportamenti e dei pensieri degli altri. Questo permette al soggetto di migliorare le sue difficoltà ed acquistare nuovi strumenti per verificare l’attendibilità delle sue interpretazioni e ipotesi.
La psicoterapia, dunque, non solo mirerà a costruire delle strategie utili e adeguate per affrontare e gestire gli stati interni e le difficoltà di cui abbiamo parlato, ma permetterà al paziente di migliorare funzionamento sociale e relazionali interpersonali. La terapia farmacologia non è bene che sostituisca un trattamento terapeutico, ma tutt’alpiù in affiancamento, poiché anch’essa può venir vista con sospettosità e di conseguenza difficilmente viene seguita dai pazienti.
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